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L'aborto nella Costituzione francese

L'aborto nella Costituzione francese

"L’aborto è davvero un diritto da poter rendere costituzionale? No certamente... è una pratica, come il divorzio, che deriva da una scelta personale, non un diritto/dovere..."

Domenica, 10/03/2024 - Non è una grande soddisfazione vedere la grande intesa, perfino con la signora Le Pen, sull’integrazione costituzionale del diritto d’aborto da parte di quella Francia che pochi giorni fa in Consiglio d’Europa ha votato contro la direttiva che condannava come stupro la violenza di genere agita senza il consenso della donna.

L’aborto è davvero un diritto da poter rendere costituzionale? No certamente, se facciamo il confronto con la pena di morte, che la Francia ha eliminato dalla Costituzione quando ha capito l’enormità per lo Stato di tale condanna, di cui uno Stato civile non poteva sostenere la legittimità. L’aborto non è assolutamente la pena di morte del concepito secondo l’espressione dei fondamentalisti; ma è una pratica, come il divorzio, che deriva da una scelta personale, non un diritto/dovere.

Ma è una questione che non richiede alcuna determinazione giuridicamente assoluta proprio perché attiene a un problema di ben definita specificità di uno dei due generi umani relativamente alla riproduzione: non essendo possibile che abortisca un uomo, nasce il sospetto che, paradossalmente, il diritto limiti più che favorire la donna. Infatti la Costituzione italiana, a parte l’uguaglianza dei sessi dell’art.3, non poteva menzionare la differenza di genere perché nemmeno il femminismo usava quell’espressione e tutto quello che è stato chiesto e/o concesso per legge ai diritti femminili si è basato sull’interpretazione dell’uguaglianza. Tuttavia la differenza viene indirettamente menzionata dall’art. 37, dove si ricorda che per la donna lavoratrice, che pur ha gli stessi diritti del lavoratore, le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. Dove - a prescindere dalla contorsione linguistica in una Costituzione stilisticamente elegante - compaiono una madre e un bambino da “proteggere”, mentre la lavoratrice sta adempiendo una non meglio precisata “funzione familiare” (un appalto alle donne della cura dei bambini e, magari, le faccende domestiche?).

Sto esprimendo dubbi giuridici che avevo anche mentre difendevo l’approvazione della 194: non li esprimevo perché non mi piacciono gli aggiornamenti strumentali in materia costituzionale (anche quello dell’art.51) e perché ritenevo - e ritengo - opportuno “interpretare” i principi costituzionali della prima parte lasciando immutato il testo storico fondamentale. Ma se qualcuno pensasse di avanzare la proposta francese anche da noi, sia ben chiaro che i problemi non sono così tranquilli. Non tanto per ossequio alla Chiesa cattolica (la stessa “ministra della famiglia, della natalità e delle pari opportunità” ha già messo le mani avanti avvertendo che la 194 è un’ottima legge), ma proprio perché a livello di massa potrebbero esserci donne suggestionate dal Movimento per la vita o che credono di eliminare i bastoni tra le ruote che limitano il funzionamento della 194, potrebbero essere d’accordo con i francesi: sarebbe uno dei modi con cui il patriarcato vince ad opera di donne che accettano i metodi del modello unico.

Perché il vero diritto da impugnare da parte delle donne è la maternità. Obiettivo duro, che non dovrebbe essere esigito per non imitare quella paternità che è stata diritto ingombrante per secoli la sfera dei poteri. Il potere più grande è, infatti, la riproduzione, in cui l’uomo - che ha “per natura” protagonismo irrilevante - può imporre la gravidanza non voluta. Senza il consenso. La donna infatti non ricorre volentieri all’aborto e anche la pillola abortiva non è un integratore innocuo: vorrebbe solo figli voluti, può accogliere anche quelli arrivati “per caso” o per imprudenza, ma “se non lo può tenere o comunque non lo vuole”, proprio le testimonianze delle campagne per arrivare alla 194 ci hanno dato le prove che nessuno la ferma. E i secoli di clandestinità sono stati la piaga sociale a carico del genere femminile da non dimenticare.

Se la maternità fosse diritto femminile, l’aborto sarebbe un caso di autodeterminazione della volontà della donna e il problema sarebbe di competenza della sanità. Senza le solite accuse di ignorare la questione, quasi sempre drammatica, psicologica e morale: i medici per essere tali conoscono “la cura” anche delle situazioni problematiche della vita dei/delle pazienti. Ormai la pillola ru486 sempre più abortiva sta privatizzando l’aborto e il mio femminismo ritiene sbagliato accettare l’irrilevanza della pratica. L’uomo non ha neppure più bisogno di chiedere il consenso, tanto la donna stessa provvede a togliergli le conseguenze. Se la maternità fosse diritto si ridimensionerebbero anche le norme circa le nascite e i riconoscimenti dei bimbi di due mamme o le gravidanze per altri: il diritto verrebbe impugnato da chi giuridicamente è il soggetto responsabile davanti alle leggi.

La donna è sempre scomoda, ma il diritto deve prima o poi adattarsi al riconoscimento che l’umanità non è neutra e la persona asessuata non la definisce e tanto meno la paternità è modello di riferimento per la maternità. Che non sia conveniente lo testimonia il silenzio con cui i media hanno registrato la novità francese.

 


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