Tante le ingerenze che nella Russia di Putin stanno minando il diritto di scelta per le donne, frutto di dolorose battaglie e in vigore dal 1920 (esclusi gli anni staliniani)
Lunedi, 05/03/2018 - Nel 2011 è stata approvata una legge che restringe alla 12ma settimana la possibilità di abortire in modo legale; nel 2013 è stato stabilito il divieto di pubblicizzare l’aborto ed è stata approvata anche una proposta che obbliga gli ospedali a dotarsi di un nuovo speciale certificato per eseguire interruzioni di gravidanza. Dal 2015, infine, dopo un accordo tra la chiesa ortodossa russa e il ministero della Salute, i consulenti pagati dalle associazioni contro l’aborto (es: San Basilio il Grande) possono lavorare nelle cliniche di stato, dando informazioni e convincendo le donne a non interrompere la gravidanza. I dati del ministero della Salute rilevano che molte donne che desideravano abortire hanno cambiato idea dopo un incontro con queste associazioni: nel 2016 il numero di aborti si è ridotto del 13%. Nel 2015 è stato presentato un disegno di legge che chiedeva di escludere l’aborto dal sistema sanitario nazionale rendendolo un intervento a pagamento (secondo la legislazione vigente, l’aborto è libero e gratuito fino alla 12ma settimana di gravidanza). Per le autorità politiche, l’aborto rappresenta un problema economico - poiché la sua gratuità costa al budget federale circa 5 miliardi di rubli all’anno - ma anche sociale, poiché è un indicatore del basso livello di moralità della società. La proposta è stata, tuttavia, abbandonata, dopo che un sondaggio condotto nel 2016 mostrava che il 70% dei russi non era favorevole alla proposta di escludere l’aborto dall’assicurazione sanitaria obbligatoria. Nel novembre 2017 i movimenti Za Žizn’ (“Per la vita”) e Pravoslavnye dobrovol’cy (“Volontari ortodossi”) hanno annunciato di aver raccolto un milione di firme, allo scopo di presentare in parlamento una petizione che chiede il divieto totale di aborto nel paese. La petizione è stata firmata anche dal Patriarca Kirill, il capo della chiesa ortodossa russa, ed è in attesa di essere discussa alla Duma. Ingerenze di varia natura stanno minando un diritto, frutto di dolorose battaglie e legato a una sfera estremamente privata e personale. Ogni qual volta la guardia viene abbassata, c’è chi torna all’attacco per cancellare conquiste di civiltà: si pensi che la Russia bolscevica fu il primo paese a riconoscere l’aborto nel 1920 (esclusi gli anni staliniani), mentre oggi la Russia di Putin, sostenuta dalla chiesa ortodossa, considera l’aborto al pari di un crimine. L’11 gennaio 2017 la diocesi di Jaroslavl’, con il sostegno delle autorità locali, è riuscita a vietare per quel giorno gli aborti in tutti gli ospedali della regione. L’obiettivo era attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sul problema. La chiesa ortodossa guadagna ogni giorno sempre più terreno e aumentano i cittadini russi che si schierano dalla parte della religione e della sacralità della vita, facendo addirittura di quest’ultima una questione patriottica: salvare i feti per salvare il paese.
Putin si mantiene ancora distante dalle posizioni più intransigenti, anche se la situazione demografica del paese, che il presidente considera questione vitale per la sopravvivenza della Russia e della sua potenza, potrebbe spingerlo a sostenere i movimenti russi anti-abortisti, che sono oggi rappresentati in Russia da almeno 300 gruppi. Alcuni demografi sostengono che il numero di russi potrebbe ridursi di un quinto entro il 2050. Putin ha dichiarato che gli interventi delle autorità saranno volti ad aumentare il tasso di natalità. Nei prossimi tre anni (2018-2020), il governo russo ha intenzione di investire 500 miliardi di rubli - circa 7,2 miliardi di euro - in misure per incoraggiare la natalità. A novembre 2017 Putin ha proposto di sostenere la natalità con un assegno mensile per i genitori meno abbienti che avranno il loro primo bambino. Il sussidio sarà versato fino a quando il bimbo avrà compiuto un anno e mezzo e il costo totale è stimato in poco più di 2 miliardi di euro (144,5 miliardi di rubli) in tre anni. Mediamente ogni famiglia dovrebbe ricevere circa 150 euro al mese. Una cifra corposa se si tiene conto che in Russia il salario medio è di circa 450 euro al mese. Altre misure riguardano il prolungamento fino alla fine del 2021 del sussidio di 6.400 euro all’anno per le madri che danno alla luce il loro secondo o terzo bambino, e aiuti statali per pagare gli interessi sul mutuo per la casa. Un ultimo provvedimento è teso, invece, a sostenere con più forza l’apertura di centri di aiuto alla vita “per assistere le madri in difficoltà”. Ciò è stato salutato positivamente dalla chiesa ortodossa russa, che considera questa decisione un incentivo non solo a limitare l’aborto ma anche a promuovere una cultura della vita. La Russia sembra cavalcare l’onda conservatrice proveniente dalla Polonia. Mentre nel 2016 in Polonia scoppiava la “protesta in nero”, contro una riforma che voleva vietare totalmente l’aborto, il patriarca Kirill firmava in terra russa una petizione con una simile richiesta. Nei prossimi anni, vedremo se il governo russo appoggerà la riforma anti-abortista dei movimenti ultra cattolici russi e se la Duma approverà una simile riforma. A quel punto, sarà interessante scoprire quale sarà la reazione dei cittadini russi; per ora si sa, da un’indagine condotta dal Centro russo per lo studio dell’opinione pubblica (VCIOM), i cui risultati sono stati presentati nell’ottobre 2016, che il 72% di loro è contrario all’idea di un divieto totale dell’aborto.
Durante gli ultimi anni, sono state emanate leggi atte a preservare valori considerati fondamentali dai vertici politici e religiosi del paese: legge sulla depenalizzazione della violenza domestica;legge contro il turpiloquio, con l’intento di “moralizzare il paese impegnato da tempo in un’opera di conservazione dei valori russi dalla decadenza occidentale”; legge anti-blasfemia, che prevede pene molto severe per chi offende i valori religiosi, o commette azioni ritenute sacrileghe in luoghi pubblici o di preghiera; legge che prevede il divieto di propaganda omosessuale e quella, infine, contro i siti web da incriminare per “pedopornografia”, ma anche per diffusione di contenuti “estremisti”, con il rischio che dietro quest’ultimo termine, assai generico, si possano nascondere altre intenzioni come quella di censurare le critiche politiche. Decisamente, la Russia di Putin sta vivendo una fase di regresso civile e di riaffermazione del patriarcato.
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