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UE / Al voto - “le elezioni europee non sono un ‘rituale’; oggi, benché permanga un deficit di democrazia, il Parlamento europeo ha poteri ampi. Andare a votare... diventa importante”. Intervista a Mariagrazia Rossilli

Ribet Elena Martedi, 26/05/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2009

Mariagrazia Rossilli si occupa di studi di genere, ha curato per l’EDIESSE il libro “I diritti delle donne nell’Unione Europea. Cittadine Migranti Schiave”, insegna presso la Facoltà di Economia dell’Università di Parma e nel Master in Pari Opportunità a Roma.



Cosa dovrebbero sapere di fondamentale sull’Europa gli uomini e le donne italiane, prima di andare a votare alle prossime elezioni?


Dovrebbero sapere che l’Unione Europea, in particolare con i parametri di Maastricht, ma non solo, condiziona fortemente le politiche nazionali e la quotidianità della nostra vita. Esiste un’asimmetria di poteri e competenze: da una parte l’EURO e misure europee vincolanti per gli stati membri relative, ad esempio, al debito pubblico rispetto a cui si è realizzata cessione di sovranità a Bruxelles, dall’altra esclusiva competenza legislativa nazionale in materia di politiche sociali. Oppure un altro esempio, la normativa sull’uguaglianza uomo-donna nella previdenza sociale è abbastanza rigorosa, a partire da direttive come quella del ’79, mentre la legislazione sulla previdenza sociale in sé, i diritti pensionistici, di malattia o disoccupazione dei lavoratori e delle lavoratrici, rimane di competenza nazionale. Se si volesse approvare una legge europea sui sussidi di disoccupazione o sugli ammortizzatori sociali servirebbe l’unanimità di 27 Paesi. Le politiche dell’Unione Europea ci hanno condizionato in modo rilevante nell’incentivare la flessibilizzazione del lavoro ma la regolamentazione europea dei lavori atipici rimane estremamente povera e debole.

Votare alle elezioni europee non è un ‘rituale’; oggi, benché permanga un deficit di democrazia, il Parlamento europeo ha poteri abbastanza ampi. Andare a votare diventa importante. Si è registrata una tendenza a una bassissima partecipazione dei cittadini al voto e un indebolimento relativo delle forze socialiste e di sinistra nel Parlamento Europeo proprio quando sono aumentati i poteri di quest’ultimo. Questo è indice di una crescente disillusione dei cittadini e ancor più delle cittadine rispetto all’Unione europea e di disinformazione: infatti, dopo i trattati di Amsterdam e di Nizza, i poteri del Parlamento europeo sono aumentati.



Nella sua conversazione con Elena Paciotti pubblicata nel libro da lei curato si parla dell’unificazione del continente europeo come della più interessante operazione politica dall’inizio del nuovo millennio. È d’accordo?

Lo trovo interessante; Paciotti lo dice come aspirazione, come orizzonte ideale del progetto europeo e anche dell’ormai naufragato Trattato Costituzionale che miravano a rendere l’Europa un soggetto rilevante nel panorama mondiale. Ma è lei stessa a citare Riccardo Perissich (dal volume ‘L’Unione Europea. Una storia non ufficiale’) che afferma: “C’è piuttosto la tentazione di rinunciare a essere soggetto e non solo oggetto della storia” […] il declino dei Paesi ricchi è un processo lungo, dolce e in un certo senso piacevole, perché accompagnato da una fuga dalle responsabilità. La classe dirigente che ne è all’origine non è quindi mai chiamata a risponderne”. Lei stessa è abbastanza pessimista e io sono d’accordo con lei quando dice che le leadership dei Paesi europei hanno in fondo rinunciato a fare dell’Unione Europea un soggetto politico nel mondo e nella storia.



Cosa comporta il no irlandese al trattato di Lisbona?

Il trattato di Lisbona è stato un tentativo di mediazione voluto soprattutto da Angela Merkel per recuperare alcuni aspetti del Trattato Costituzionale bocciato dai referendum francese e olandese nel 2005. Incorpora parte del trattato precedente con elementi significativi per noi cittadine e cittadini; rende vincolante la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea approvata nel summit di Nizza nel 2000, documento politico e programmatico ma tuttora non giuridicamente vincolante. Vero è che la corte europea, ma anche giudici nazionali stanno cercando di darle valore: ci sono sentenze che fanno riferimento ad essa, ma tuttora non è vincolante. Il Trattato di Lisbona amplia ulteriormente i poteri del Parlamento Europeo ed anche la democrazia partecipativa prevedendo che i cittadini europei con un milione di firme possono avanzare proposte legislative alla Commissione Europea. Per questi e altri motivi è importante che si proceda alla ratifica del Trattato nella prossima legislatura, anche chiamando gli Irlandesi a votare in un nuovo referendum, tanto più che la maggioranza dei 27 lo ha già ratificato.



Sembra difficile avvicinare uomini e donne a una cittadinanza più attiva, vista la complessità del quadro normativo e giuridico dell’Europa.

Il sistema è molto complesso, è vero. Nell’introduzione del libro di Luciana Castellina “Eurollywood. Il difficile ingresso della cultura in Europa” che affronta il tema delle politiche culturali dell’Unione, si ricorda il mito della famosa bella ragazza Europa di cui Zeus approfitta, avvicinandola trasformato in toro; da questa unione nacquero tre figli, tra cui Minosse, re di Creta e costruttore del labirinto, precursore del labirinto-Trattato di Maastricht, secondo una battuta ironica citata nel libro.

Di questa critica forte sono suscettibili tutti i trattati, ma soprattutto quello costituzionale del 2004 che avrebbe dovuto avere un impatto sui cittadini europei definendo un’identità politica europea; quel documento, che avrebbe dovuto comunicare con i cittadini, è composto di quasi 500 pagine e contiene una sezione sulle politiche molto tecnica, un labirinto appunto, che rappresenta una sfida al significato stesso di democrazia. L’Irlanda ha detto no, ma si sa che i cittadini non erano informati sul Trattato di Lisbona perché difficile da conoscere e comprendere; sembra anche che abbiano votato no su questioni di polemica nazionale e che lo scontro politico nazionale abbia prevalso sull’argomento reale. Paciotti riferisce che era diffuso l’equivoco che dire sì al trattato avrebbe rappresentato il via libera alla legalizzazione dell’aborto nella cattolicissima Irlanda.

La Commissione ha fatto molti sforzi per rendere più accessibili le informazioni: ci sono stati dibattiti on line sul Trattato Costituzionale, ci sono forum, strumenti e politiche per coinvolgere la società civile, attraverso organizzazioni, reti associative, associazioni; ma finché le leadership nazionali non avranno una “dimensione europea” e non emergerà una leadership europea e le campagne elettorali saranno scontri tra partiti nazionali che non parlano di programmi europei decisivi per le nostre sorti, non si potrà risolvere questo gap di democrazia.



Perché i diritti delle donne non sono ancora percepiti come universali?

Ci sono due aspetti importanti. Il primo è riferito al significato dell’universalità dei diritti delle donne: che i diritti delle donne siano parte integrante e inalienabile dei diritti universali è affermato nella Conferenza Mondiale del ‘93 di Vienna. Sorge spontanea una domanda. Cosa significa questa storica affermazione? Prima di questa Conferenza i diritti umani universali non includevano anche i diritti delle donne? Una serie di diritti, pur essendo definiti come universali, se non sono declinati nella prospettiva della differenza di genere, tendono a essere interpretati e applicati, in modo implicito o esplicito, in senso solo maschile. Ad esempio, questo avviene se parliamo del diritto di autodeterminazione sessuale e riproduttiva che deve esser declinato secondo il diritto delle donne alla piena signoria del proprio corpo.

Fin dalla Dichiarazione Universale dei diritti umani del 1948, così come anche nella Carta Europea di Nizza, si vieta ogni forma di tortura e pene degradanti; se però non si declina questo diritto alla luce della differenza di genere, certe violenze, vedi le violenze sessuali, familiari e domestiche, non vengono percepite come tali. L’esempio della violenza contro le donne rappresenta proprio il caso paradigmatico in cui la separazione tra sfera privata e pubblica ha oscurato e tuttora oscura il diritto inalienabile a non subire violenza.

C’è una questione di interpretazione che vale la pena accennare. Nella carta dell’Unione Europa l’articolo 23 sancisce che i governi devono assicurare la parità tra uomini e donne in ogni campo: in ogni campo significa che si deve includere anche il privato.

La parità in ambito lavorativo e sociale rappresenta solo una parte della questione: occorre raggiungere anche una piena partecipazione ai processi politici e decisionali. È una questione di uguaglianza, di giustizia e di democrazia. Su questo terreno della rappresentanza politica l’Unione Europea ha fatto parecchio, non in senso legislativo vincolante (non ha competenze sulla specifica materia elettorale nei Paesi membri), ma in termini politico-culturali, attraverso la Raccomandazione della Commissione del ’96, con programmi politici, con la risoluzione del Parlamento del 2003. Ma le donne nel Parlamento europeo sono ancora al 30%. Per questo la Lobby Europea delle donne (European Women’s Lobby) ha lanciato la campagna 50/50 con lo slogan “Non c’è moderna democrazia europea senza parità tra i generi”.



I diritti delle donne nell’Unione Europea. Cittadine Migranti Schiave” - presentazione a Roma



RECENSIONE su NOIDONNE di aprile



(26 maggio 2009)

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