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L’Autoriforma dell’Onda

L’Autoriforma dell’Onda

Speciale scuola - Didattica, welfare, diritto allo studio, ricerca, formazione e lavoro. I temi dei vari workshop dell’Onda che hanno elaborato le proposte di autoriforma dell’Università

Angelucci Nadia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2009

Migliaia di delegati da tutte le Università italiane hanno partecipato all’Assemblea Nazionale del’Onda Anomala del 15 e 16 novembre scorso che si è tenuta presso l’Università La Sapienza di Roma, movimento che è riuscito a mettere in crisi il governo di centrodestra. I ragazzi si sono organizzati in workshop che hanno avuto come temi di fondo la didattica, Il welfare e il diritto allo studio, la ricerca, la formazione e il lavoro. Un grande impegno di riflessione ed analisi che ha messo in relazione la situazione del mondo dell’istruzione con la realtà della crisi economica e sociale che sta vivendo il paese, criticando l’intero modello di sviluppo e producendo un documento conclusivo ricco di spunti interessanti. Di fronte alla legislazione di riforma proposta dal governo, l’Onda lancia la sfida dell’autoriforma che viene presentata come “un processo costituente aperto, modificabile e implementabile che organizza quella potenza di conflitto e autorganizzazione nella produzione dei saperi già presente in queste straordinarie settimane di mobilitazione, blocchi e occupazioni. La sfida, in altri termini, non si esaurisce nell’opposizione alla legge 133 e al futuro disegno di riforma. (L’autoriforma) non è una semplice carta di intenti, né tantomeno un tentativo di burocratizzare l’irrappresentabilità del movimento. (…) è invece l’apertura di un processo che già vive nelle pratiche del movimento, è un passaggio di consolidamento delle forme di autorganizzazione e un rilancio degli elementi del conflitto”.
Il primo dei workshop ha evidenziato come elemento comune la necessità di recuperare spazi di gestione diretta degli studenti sia in termini di luoghi (biblioteche, laboratori, aule autogestite, etc.) sia in quelli di tempi. Il seminario sulla didattica ha fatto poi emergere, dopo un dibattito lungo e complesso, alcuni nodi centrali condivisi. Fra gli altri l’abolizione del sistema del 3+2 così come del sistema del credito, la critica al frazionamento degli esami e alcune proposte di riaccorpamento per favorire un sapere critico e complessivo, la rivendicazione di un’equa retribuzione del lavoro svolto in stages, l’abolizione dei blocchi all’accesso, l’abolizione della frequenza obbligatoria, la revisione dei piani di studio nella direzione di una conquista di una maggiore libertà dei propri percorsi formativi.
Le questioni del welfare e del lavoro sono state affrontate dal secondo workshop che ha sottolineato come il movimento sia emerso all’interno di una doppia crisi: quella finanziaria e quella dell’università. La realtà italiana ha ovviamente le sue peculiarità che, nel caso dell’università, si possono individuare nello “storico disinvestimento nel sistema dell’istruzione e della ricerca, e dalle strategie di smantellamento operate dai governi di centro-destra così come da quelli di centro-sinistra.” E’ questa la cornice nella quale l’Onda ha posto la contestata riforma Gelmini: “i processi di aziendalizzazione dell’università e i tagli dei finanziamenti alla ricerca e alla formazione si accompagnano all’aumento delle spese di guerra, ai fondi statali regalati alle imprese private, al piano salva-banche. La retorica degli sprechi e del contenimento del debito pubblico, abbondantemente utilizzata dal governo nel tentativo di giustificare i tagli mortali contenuti nella legge 133, rivela qui infatti la sua natura puramente ideologica.”
Nel workshop su Ricerca, formazione e lavoro insieme alle critiche alla riforma Gelmini è emerso anche il giudizio negativo e le responsabilità nei confronti di chi “l’università ha gestito con meccanismi corporativi e clientelari, di chi soffoca la ricerca per mezzo di un’opprimente gerarchizzazione, di chi ha costruito un sistema fondato sullo sfruttamento generalizzato del lavoro precario, di chi ha oramai accettato l’idea di un drastico restringimento dell’accesso a un’istruzione pubblica di qualità.” Partendo dal principio centrale che l’indipendenza e l’autonomia dell’Università sono fondativi e che “il sapere è un bene pubblico, una produzione collettiva e per questa ragione non appropriabile” l’Onda rivendica lo sviluppo di forme non commerciali della tutela del sapere e il sostegno all’editoria scientifica open source ed una stretta sinergia tra ricerca e didattica. Altro cardine è la creazione di un nuovo concetto di valutazione che coinvolga docenti ricercatori e dottorandi e che “non deve essere legato al contenimento del bilancio, alla produzione di brevetti o al semplice numero delle pubblicazioni. Pensiamo che la valutazione debba essere intesa anche come rendicontazione sociale delle attività degli atenei e del sistema nel suo complesso, che non possa prescindere dai contesti territoriali in cui le università sono inserite”. Ampio spazio è poi dedicato al lavoro di ricerca e ai lavoratori della ricerca, ricercatori e dottorandi, cui deve corrispondere “un salario adeguato e i diritti stabiliti dallo statuto dei lavoratori. La moltitudine di tirocini, stage e praticantati tutti rigorosamente non retribuiti non sono più tollerabili, così come la dilagante attività didattica a titolo gratuito. Ogni prestazione deve essere contrattualizzata al più come forma di lavoro subordinato a tempo determinato e in tal caso deve essere garantita la continuità del reddito, diritto fondamentale”. Viene ribadita la ferma contrarietà al turn over e l’istituzione di un contratto unico di lavoro subordinato una volta terminato il dottorato, di durata non inferiore ai due anni che dovrebbe andare a sostituire l’attuale caos di contratti precari.
L’Onda sottolinea poi la questione di genere che nella ricerca e nel mondo universitario ha le stesse caratteristiche che generalmente ritroviamo nel mondo del lavoro: “da una parte la progressione dei carriera delle donne è fortemente filtrata ai livelli più bassi, dall’altra le donne subiscono il perenne ricatto biologico, aggravato dalla precarietà, per cui la maternità diventa la via di espulsione dal mondo della ricerca.

Tutti i documenti prodotti dall’Onda sono consultabili alla pagina: http://ateneinrivolta.org/

Non saranno i nostri corpi né i nostri desideri a pagare la crisi!
Alla manifestazione nazionale del 14 novembre le studentesse del collettivo della Sapienza avevano attaccato sulle magliette un adesivo per lanciare ed appoggiare la grande manifestazione contro la violenza maschile sulle donne del 22 novembre. Le ragazze dell’Onda hanno così saldato il loro impegno come donne dentro il grande movimento di autoriforma della scuola. Al centro del loro agire l’analisi politica di ciò che avviene ma anche “nuove pratiche di movimento che aprano spazi per tutte e tutti”. Dove il riferimento alle ‘pratiche’ documenta un legame di continuità con lo storico movimento delle donne. L’analisi politica e sociale del collettivo, invece, è tutta incentrata sul nostro presente: “L’onda anomala vede il protagonismo delle donne nel movimento. Sono state le donne ad accendere la protesta: sono state le maestre e le mamme che hanno contestato il decreto Gelmini non solo per tagli consistenti ai posti di lavoro, ma anche per quelli alle ore di scuola. Con la riduzione del tempo- scuola da 40 a 24 ore, l’attacco al progetto educativo diviene complessivo. Il tempo pieno, infatti, rappresenta un modello educativo in cui la madre da un lato non è l’unica referente della formazione e della educazione affettiva, e dall’altro permette l’espressione di un’autonomia attraverso la liberazione di tempi di vita”. E la critica all’Università e al mondo del sapere si fa aspra a partire dalla constatazione che il mondo accademico e la didattica ufficiale sono completamente chiusi alle questioni di genere come è documentato dall’assenza di dibattiti e studi sul tema: “non crediamo che il sapere sia neutro, non crediamo alla parità tra i generi quando proprio nell’università è evidente come nella gerarchia di potere le donne non arrivino quasi mai ai vertici della piramide, basta vedere il numero bassissimo di docenti ordinarie”.

(8 gennaio 2009)

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