A Roma le Scuderie del Quirinale ospitano, fino al 10 aprile 2023, la mostra "Arte liberata 1937-1947" un racconto avvincente sul salvataggio del patrimonio culturale del nostro Paese
"Arte liberata 1937-1947. Capolavori salvati dalla guerra" è il titolo di una mostra emozionante, coinvolgente, commovente e drammaticamente attuale, che racconta le imprese di tanti eroi silenziosi – storici dell’arte, soprintendenti, direttori di musei – donne e uomini che, tra la fine degli anni Trenta e il 1947, si sono prodigati con coraggio e abnegazione per mettere al riparo dai rischi della guerra il nostro patrimonio artistico, e dopo la fine del conflitto per recuperare le opere razziate dai nazisti.
Curata da Luigi Gallo e Raffaella Morselli, l’esposizione presenta nelle sale delle Scuderie del Quirinale (fino al 10/4/2023; catalogo Electa) oltre cento opere in prestito da una quarantina di musei di tutta Italia, accomunate da un medesimo destino: l’essere sopravvissute alla furia cieca della guerra. Oltre a numerosi dipinti, dalla splendida «Madonna di Senigallia» di Piero della Francesca alla sensuale «Danae» di Tiziano (finita nell’alcova di Hermann Göring), in mostra si possono ammirare sculture, volumi antichi, arazzi, maioliche cinquecentesche, spartiti musicali e reperti archeologici. Ma oltre all’importanza dei singoli pezzi, la rassegna cattura per la capacità di far rivivere attraverso documenti originali, riproduzioni fotografiche e filmati d’epoca, una delle pagine più drammatiche della storia del nostro Paese. E l’allestimento contribuisce efficacemente al racconto, sia con l’impiego di un legno grezzo che evoca le casse entro cui le opere venivano ricoverate per trasportarle in luoghi sicuri, sia tramite il ricorso a gigantografie poste accanto alle opere, che mostrano le foto fatte all’epoca, mentre quelle stesse opere venivano imballate e caricate sui camion.
Il percorso espositivo si articola in tre sezioni principali. La prima, quasi un antefatto, riguarda le esportazioni forzate, tra cui spicca la vicenda del «Discobolo Lancellotti», una copia romana da un originale di Mirone, vincolata come opera di interesse pubblico fin dal 1909. Adolf Hitler, però, la vuole avere a tutti i costi, perché ai suoi occhi rappresenta il simbolo di quell’ideale “ariano” celebrato dalla propaganda nazista. Così, nonostante il vincolo e grazie all’interessamento di Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri, riesce ad acquistare la scultura per cinque milioni di lire. Il 9 giugno 1938 il Discobolo è collocato nella Glyptothek di Monaco come dono del führer al popolo tedesco. Fortunatamente, alla fine della guerra Rodolfo Siviero, storico dell’arte e agente segreto, riuscirà a riportare l’opera in Italia convincendo il governo militare alleato dell’acquisto illecito.
La seconda sezione illustra le misure prese a livello nazionale per mettere in sicurezza i beni artistici in vista dell’entrata in guerra dell’Italia e poi gli spostamenti e i ricoveri. Giuseppe Bottai, ministro dell’Educazione Nazionale, sotto la cui giurisdizione ricadevano le Antichità e le Belle Arti, affida alle soprintendenze il compito di redigere degli elenchi di opere in base alla loro importanza e indicare i capolavori da trasferire nei rifugi. Pasquale Rotondi, soprintendente alle Gallerie delle Marche, riceve quindi l’incarico di organizzare il principale deposito nazionale. Dopo un’attenta analisi, Rotondi individua la rocca di Sassocorvaro, cui più tardi si aggiunge il palazzo dei principi Falconieri di Carpegna. In questi due luoghi, scelti perché lontani da obiettivi militari, confluiscono circa diecimila opere dall’Italia settentrionale e centrale. Ma dopo l’armistizio questi rifugi non appaiono più sicuri. Entra allora in scena Giulio Carlo Argan, storico dell’arte e futuro sindaco di Roma, che ottiene dal cardinal Montini, futuro papa Paolo VI, di poter ricoverare le opere dello Stato italiano entro le mura neutrali del Vaticano. Così, tra la fine del 1943 e gli inizi del 1944, contro la volontà del governo di Salò, Emilio Lavagnino, funzionario della soprintendenza di Roma, dirige il pericoloso trasferimento di centinaia di casse dalle Marche in Vaticano.
Al piano superiore la mostra prosegue con un mosaico di storie individuali che, in diversi casi, ha per protagoniste le donne. A Milano si deve a Fernanda Wittgens, direttrice della Pinacoteca di Brera, che si era coraggiosamente adoperata per trasferire il patrimonio del museo nei rifugi marchigiani, se le opere di Brera non sono andate perdute nel tremendo bombardamento alleato che l’8 agosto 1943, oltre a provocare centinaia di morti e feriti, e ingenti danni agli edifici della città, distrusse le sale della pinacoteca. Ciò nonostante, nel luglio del 1944 l’eroica direttrice è arrestata per attività antifascista e condannata dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato della RSI, restando in carcere fino alla Liberazione. Altre artefici di complessi e rischiosi trasferimenti per mettere in salvo le opere loro affidate sono a Torino l’ispettrice Noemi Gabrielli e a Palermo l’archeologa e fervente femminista Jole Bovio Marconi. L’estrema drammaticità di quella esperienza emerge vivida nel ricordo di Palma Bucarelli, allora soprintendente alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma: “[…] paurosa era la responsabilità davanti alla nazione che domani avrebbe chiesto conto del nostro patrimonio d’arte”. Tuttavia, la difesa del patrimonio culturale si è rivelata anche un’esperienza fondante, perché ha condotto l’Italia a una più completa coscienza della propria identità civica e nazionale.
L’ultima sezione della mostra è dedicata all’attività dei “Monuments Men” dell’esercito alleato e al recupero delle opere trafugate al termine della guerra.
Per maggiori informazioni e il programma degli incontri collaterali: www.scuderiequirinale.it
Didascalie: Alcune vedute della mostra (foto di Alberto Novelli).
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