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L’arte di raccontare il cibo

L’arte di raccontare il cibo

Cibo. Variazioni sul tema/4 - Dai banchetti raffigurati negli affreschi di Pompei fino alle banane di Andy Warhol, i tanti sguardi pittorici sui significati del mangiare

Marta Mariani Domenica, 17/11/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2013

Gli esseri umani (che sono animali speciali) hanno molti appetiti, e di diversa natura. Tra questi quello primario - dice Platone - ci spinge a cercare il piacere nella sensualità e nel mangiare. È vero, quindi, che il cibo è l'unica via di sopravvivenza ma anche, come l'amore, una straordinaria lusinga dei sensi. Nonostante il cibo e la buona tavola siano argomenti estremamente concreti, in arte essi sono stati trattati spesso, e in modi completamente diversi. I grandi frescanti dell'Antica Roma, ad esempio, ci hanno lasciato sugli intonaci di Pompei delle suggestive immagini di banchetti, di tavole imbandite, di nature morte. Le famiglie aristocratiche, trovandosi in condizioni di lusso e di sovrabbondanza, celebravano con l'arte il loro status, in modo da rimarcare le possibilità economiche della gens. Come sappiamo dall'arte pittorica antica: i nobili mangiavano a letto (tanto per dare ragione a Platone) nei comodi triclinia. In generale, facevano largo uso di carni e formaggi d'ogni tipo, insieme con delle salse di pesce marinato nel sale e nell'aceto (il garum - ottimo paté per antipasti saporitissimi - molto simile alla nostra pasta d'acciughe). Alcuni mosaici pompeiani sono un'ottima garanzia della freschezza del pescato che si trovava sugli antichi banchi del mercato. Insomma, la cultura gastronomica dell'antica Roma era talmente raffinata che alcuni pensatori della stoffa di Seneca arrivarono a cercare nelle eccessive e goderecce sofisticherie dei banchetti la causa della corruzione dilagante. Fino alle nature morte del Rinascimento e del Barocco, il discorso rimane pressappoco lo stesso: il piacere del palato richiama il piacere sensuale. Il cibo viene rappresentato in arte come un simbolo di una genuina e semplice ricchezza. Quando Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, dipinge il Bacco, rappresenta molto realisticamente un amato giovane dai tratti delicati e dai capelli ornati di foglie di vite, con davanti a sé un portavivande colmo di frutta matura, e tra le dita un calice di vino fremente. Ma non sarà sempre così. Frutta e verdura, in arte, verranno usati in maniera diversa; ad esse verranno affidati significati nuovi e impensati. Nelle nature morte di Cezanne, ad esempio, c'è qualcosa di più. L'uva, le pesche, le pere, le arance vengono ritratte vividamente, ma anche poco nitidamente; non sono solo dei frutti in senso stretto, ma frutti della vitalità della terra, se non della vitalità in generale. I loro colori sono di una freschezza nuova, mai vista, una freschezza che dà respiro e sa di buono. La rottura con il naturalismo permette agli impressionisti di dimenticare, per un momento, ceti sociali, ricchezza e povertà. E il cibo finalmente si può contemplare, come in una strana pace. Con il surrelismo di Magritte, invece, tornano nuove inquietudini. Alcune tele del pittore sembrano difficili incubi ad occhi aperti: gli incubi della società borghese e delle sue false certezze. Nel dipinto L'amabile verità, ad esempio, vediamo un mezzo filone di pane, una bottiglia di vino rosso e un canestro di mele verdi su una bianca tovaglia, a sua volta adagiata su un tavolo sospeso come un miraggio proiettato su un muro. Le cose semplici e vere come un pasto povero e frugale sembrano oramai inarrivabili: il mondo borghese, pieno di ipocrisie e di apparenze, risulta meschino e banale. Banale come quella mela verde che copre il volto dell'uomo con la bombetta, un uomo con un abito classico, ma qualunque. Nuove sorprese, per il binomio arte e cibo, le abbiamo invece nell'ambito della Pop Art, soprattutto con Andy Warhol che cominciò a dedicare la sua vita all'immagine quando divenne illustratore pubblicitario. Alla sua prima mostra ufficiale - del 1962 - espose per ben 32 volte delle serigrafie di barattoli di zuppe in scatola Campbell. Una rivoluzione. Il cibo, da sempre emblema di salute e genuinità, non solo viene ora inscatolato, sigillato, impacchettato, ma anche strettamente legato al marchio industriale. Con Andy Warhol non vediamo più calici di vino rosso fremente, né grappoli d'uva, ma serie interminabili di bottiglie di coca-cola, e per lo più banane. Ma le banane di Warhol non sono "propriamente" banane, sono "pretestuosamente" banane, così come la polpa di pomodoro è solo il pretesto del prodotto Campbell. C'è qualcosa di artificiale e di artificioso in questa post-modernità, come riconosceva Warhol stesso quando affermava: “Il problema dei classicisti è che quando guardano un albero non vedono altro e disegnano un albero”, ma anche qualcosa di sfidante e di sbarazzino, come se per l'arte postmoderna frutta e verdura avessero smesso di nascere dalla terra, e cominciassero il loro ciclo di vita sui banchi del supermercato, direttamente dentro il cellophane delle confezioni.





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