Carla Lonzi - La ristampa delle opere ‘della’ e ‘sulla’ Lonzi è occasione per riflettere sull’attualità del suo pensiero
Selvi Eleonora Martedi, 06/04/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2010
Il femminismo come rivelazione, annullamento di ogni schermo fra sé e il mondo, conquista di uno sguardo capace finalmente di vedere, dopo quattromila anni trascorsi a guardare. Arrivò nella primavera del 1970, per Carla Lonzi, la stagione dell’epifania, dell’esplosivo bisogno di esprimersi che era già sintomo di liberazione. L’incontro col nuovo, rivoluzionario pensiero delle donne che avanzava in quegli anni suscitò in lei il desiderio di spogliarsi della sua vita precedente, per uscire allo scoperto con una parola vibrante, robusta, che non aspirava a farsi pilastro teorico, ma solo a chiamare le donne a una riflessione e a una rivolta. I suoi scritti, alcuni firmati da lei sola, altri fatti propri dai gruppi di Rivolta Femminile, segnarono una tappa fondamentale nella storia del pensiero femminista. Ci vollero tuttavia vent’anni perché tale riconoscimento le fosse tributato da una monografia interamente dedicata a lei. Nel 1990 usciva per le edizioni La Tartaruga ‘L'io in Rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi’, libro in cui Maria Luisa Boccia ripercorreva il percorso di Carla Lonzi, come esperienza concreta di una presa di coscienza “che trascende il vissuto senza disancorarsi da esso”. Oggi, trascorsi altri vent’anni, un rinnovato interesse per la scrittura di Carla Lonzi conduce non solo alla ristampa di quella monografia (Maria Luisa Boccia, ‘L'io in Rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi’, Baldini Castoldi Dalai, 2010), ma anche alla nuova edizione delle opere di Carla Lonzi, riproposte dalla casa editrice “et al. Edizioni”, diretta da Sandro D’Alessandro. Quest’anno, proprio nei giorni in cui l’autrice del ‘Manifesto di Rivolta femminile’ avrebbe compiuto settantanove anni, alla Casa internazionale delle donne di Roma un convegno di tre giorni apriva una riflessione sulla sua figura di critica d’arte, mettendo a confronto studiose e studiosi, dando la parola a protagoniste del percorso collettivo di Rivolta Femminile, accompagnando, infine, il lavoro di confronto progettuale con una mostra fotografica di Jacqueline Vodoz, la fotografa milanese che partecipò al gruppo di Rivolta Femminile e ne documentò l’attività, restituendo l’atmosfera intensa, gioiosa e coinvolgente di quegli incontri. A quarant’anni dall’uscita di ‘Sputiamo su Hegel’ si torna a interrogare, con nuove chiavi di lettura, una figura che è alle origini del neofemminismo italiano. Il suo abbandono dell’attività di critica d’arte coincise col rifiuto di partecipare ai momenti celebrativi della creatività maschile, convinta com’era che nella società patriarcale la creatività come pratica liberatoria restasse una prerogativa maschile. La donna, di fronte alla competizione tra uomini sul terreno della creatività, incarnava l’archetipo della spettatrice, pronta a mitizzare il gesto dell’artista e a rappresentare per questi un puntello, elemento cardine dello sforzo liberatorio maschile. Il rifiuto di una liberazione riflessa - attraverso l’oramai demistificato beneficio dell’arte - era l’ennesima presa d’atto dell’impossibilità di attendersi da altri una salvezza che non poteva che venire da se stesse. L’arte, dunque, in quanto spazio storicamente definito dal sesso dominante non poteva essere un luogo all’interno del quale ricercare la parità. Da essa proveniva un ulteriore disconoscimento per la soggettività femminile. L’ennesimo, nella storia della civiltà: “la Chiesa ci ha chiamate sesso, la psicanalisi ci ha tradite, il marxismo ci ha vendute alla rivoluzione ipotetica”. In ‘Sputiamo su Hegel’, il marxismo - altro miraggio delle femministe italiane, più fiduciose nella lotta di classe che non consapevoli della propria oppressione - era messo sotto accusa a partire dalle sue premesse hegeliane, e dalla denuncia della dialettica servo-padrone come rapporto interno al mondo maschile, incapace di dar conto della specificità dell’oppressione femminile. Da questa matrice sarebbe sorto il colossale errore del marxismo, ovvero il rifiuto della categoria dell’oppressione di sesso accanto a quella di classe, e il misconoscimento della donna come portatrice di futuro. Le donne stesse, secondo Carla Lonzi, avevano accettato di considerarsi “seconde”, sulla scorta delle tesi dei grandi “padri” del pensiero: Marx, Lenin, Freud. La rivolta nasceva da questa constatazione, dall’esigenza di smascherare la gerarchia dei sessi occultata dietro ogni ideologia, di chiamare le donne a una presa di coscienza più profonda, senza rimandare la soluzione a un futuro ideale dell’umanità. Oggi che quegli ingombranti padri del pensiero sono caduti dai loro piedistalli, riascoltiamo il lucido monito di Carla Lonzi: il futuro ideale promesso dalle rivoluzioni degli uomini non esiste. Possiamo però rivelare l’umanità presente, cioè noi stesse.
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