Emanuela Irace Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2006
Una volta si chiamavano negrieri, oggi talent scouts. Uomini in caccia di altri uomini. Mercanti di schiavi. Cambiano i termini ma alcuni concetti restano e quelli che ieri rapivano gli africani per venderli all’Occidente non hanno mai smesso di lavorare. Abbandonata la nave usano l’aereo e al ratto hanno sostituito l’ingaggio a due lire. Venduti. Non più per servire a tavola, con i guanti bianchi, ma per indossare casacca e scarpini, tirare calci a un pallone e brillare nella squadra dei padroni. Francia e Belgio le Nazionali con più “stranieri” ma anche con più disperati nelle scuole calcio dei clubs minori. Le ricchezze stanno al sud ma è sempre stato il nord del mondo ad utilizzarle.
E i talent scouts si arricchiscono, saccheggiando una gioventù affamata che vede nello sport più popolare del mondo l’occasione del riscatto. Ma quanti di loro riescono a diventare professionisti e quanti vengono scartati dopo pochi anni senza ricevere altro che la memoria di un sogno infranto e il dramma di dover tornare a casa con la vergogna della sconfitta? Conosciamo i nomi dei più famosi ma neanche immaginiamo le storie di quelle migliaia di vittime consenzienti che dopo il decreto Bosman e la liberalizzazione del mercato popolano convitti e centri studi per lo sport. Una rete di vivai pescosissima sparsa sul territorio dove uno su 500 ce la fa, gli altri tornano a casa.
E’ nella democraticissima Francia che si alleva selettivamente merce umana. Con l’obiettivo di tirar fuori una barca di soldi e appena una manciata di campioni. L’illusione è che si tratti uomini, in realtà sono strumenti di marketing alla ricerca di identità. Merci senz’anima. Nuovi gladiatori. Schiavi di lusso, o più semplicemente, aspiranti calciatori.
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