Login Registrati
L’America del Presidente

L’America del Presidente

USA Today - A Hillary Clinton, Segretario di stato, tocca il lavoro negoziale. Duro e ingrato e ‘sicuramente non di genere’

Giancarla Codrignani Mercoledi, 08/04/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2009

Il populismo globale sta lesionando le democrazie. Il presidente Obama dà il meglio anche in politica estera e a Hillary Clinton, Segretario di stato, tocca il lavoro negoziale.



Sono bastate una campagna elettorale ben costruita e la vittoria di Obama a riscattare gli americani, oggetto di riprovazione collettiva fino a pochi mesi fa. E' segno che la coscienza profonda della stessa opinione pubblica sa bene che si condanna un governo, non gli abitanti di un paese, anche se responsabili di aver votato male quando hanno scelto - due volte - Bush. Come italiani speriamo nell'indulgenza dei popoli del mondo, visto che all'estero ci definiscono come i governati da Berlusconi. Il che non torna ad onore di nessuno, neppure di quanti più o meno responsabilmente gli danno il consenso.



C'è da sperare che gli impegni del nuovo Presidente reggano. Le crisi economico-finanziarie non giovano a nessuno, tanto meno ai riformisti che vorrebbero usare le difficoltà per cambiare le politiche di sistema: i vecchi, consolidati poteri continuano a condizionare la gestione dei bilanci, ricattando sul gioco intrecciato di produzione e disoccupazione. Molto dipende dalla capacità di comprensione dei dati di realtà da parte del popolo. Dice la Costituzione americana We are the People: noi siamo la gente. Ma "noi" siamo tanti e la democrazia non possiede scorciatoie che evitino di passare attraverso il voto di maggioranza. Non possono realizzare i progetti se la gente decide partendo da sentimenti e interessi che non sono il bene comune.



Obama ha insegnato che con due anni di lavoro di base, prevalentemente volontario, e i dollari arrivati con i telefonini si vincono i Bush. Anche con un programma, ovvio. Quelli elettorali, però, se non vengono letti e capiti, possono deludere. Dietro la bella fronte del Presidente e l'ottimismo del We can, i pensieri erano già pesanti durante la campagna. Purtroppo il populismo ha assunto dimensione globale e sta lesionando le democrazie: quando la gente si emoziona troppo e costruisce il "carisma" c'è da essere preoccupati. Per questo gli esperti, che sanno quanto sia diventata complessa la situazione a partire dall'economia, incominciano a segnalare note di pessimismo sull'effettività di "quel" programma, proprio perché il Presidente sta cercando di realizzarlo, ma per fare questo esige unità e accettazione dei sacrifici. La disoccupazione, i sacrifici quotidiani e le banche salvate con il denaro del contribuente possono mettere in difficoltà il consenso, che regge perché continuano i segnali positivi, la decisione coraggiose in ordine a nuove forme di welfare, impegni per la sanità, il finanziamento della ricerca sulle staminali, per quello che riguarda le donne la legge Lilly Ledbetter sulla parità salariale. Il mantenimento della fiducia è assolutamente necessario per uscire dalla crisi e dai guasti della politica di Bush. Guasti gravi, soprattutto sul piano internazionale.

Obama aveva scritto nel programma che era urgente chiudere la guerra sbagliata dell'Iraq ma anche che ritirare truppe richiede una strategia del ritiro. Inoltre ci si deve ritirare da un paese in pieno vuoto istituzionale e bisognoso, paradossalmente, della presenza americana per una ricostruzione non a rischio. Il bushismo, che, pur di mostrare i pugni, ignorava gli scenari e, anzi, li inventava, ha preparato la ricaduta degli errori sul nuovo Presidente. Il quale scopre debiti imprevisti nelle pieghe del bilancio della difesa e si impegna a realizzarne la totale trasparenza, anche se il riordino lo renderà più oneroso e verrà sicuramente censurato dai pacifisti. Si tratta di difficoltà comunicative per il governo anche a questo proposito, perché contestualmente gli americani vengono a conoscenza della falla truffaldina negli aiuti destinati a scuole, ospedali, case irachene scomparsi negli imbrogli militar-politici. Obama ha condannato la guerra, ma ha anche indicato - giustamente - che i veri pericoli sono Afganistan e Pakistan: se gli errori di Bush non si cancellano, bisognerà inviare 30.000 soldati in Afganistan, misura che non è la più popolare, invidiata solo da Ignazio La Russa, che preferirebbe essere generale e si è già sbilanciato a garantire il rafforzamento della nostra presenza.



L'esplodere dei conflitti può essere contenuto solo con la politica e la diplomazia. Obama sta dando il meglio: l'offerta del dialogo e della mano tesa può mettere spalle al muro gli oltranzisti e anche Ahmadinejad - a cui la Russia ha consegnato gli ultimi pezzi della discussa centrale nucleare - reagisce per ora con minor aggressività e i democratici iraniani potrebbero, in vista delle elezioni, ritrovare qualche spazio.



Israele resta al centro delle discussioni sul Medio Oriente: è dal 1947 che si discute, senza produrre fatti. Negli Usa, oltre alla ben nota lobby ebraica, esiste ormai la lobby araba, ma i paesi petroliferi stanno - per ora - dalla parte dell'Occidente e l'influenza sulla Casa Bianca non ha lo stesso peso elettorale. La terribile offensiva su Gaza (Piombo fuso) non è stata estranea al rinnovo della presidenza americana, anche per la casuale contestualità con la crisi voluta da Olmert e l'anticipo delle elezioni in Israele. Forse a Tel Aviv qualcuno sperava in una vittoria repubblicana; invece adesso tocca alla Clinton.



Hillary Clinton è il nuovo Segretario di stato. Per piacere non diciamo "meno male una donna", perché a lei toccherà la maggior parte di un lavoro negoziale duro e ingrato. E sicuramente non di genere. La visita in Cina è stata rivelatrice e Amnesty International ha deplorato la mancanza di riferimenti, nei colloqui con Hu Jintao, alla situazione dei diritti di libertà all'interno del paese e, soprattutto, in Tibet. La Cina, però, ha investito un terzo delle sue riserve valutarie in dollari e gli Usa non possono subire un deprezzamento della propria moneta in tempi di crolli bancari: per questo hanno prodotto un dossier di denuncia delle violazioni cinesi a Washington, ma non possono discuterne con il governo di Pekino per non "interferire - sono le parole della Clinton - sulla crisi mondiale, il cambiamento climatico e la sicurezza". Per ora non conviene a nessuna della due parti far crollare il dollaro già pericolante.



Hillary ha riaperto il dialogo con la Siria, probabilmente atteso anche dietro le formali ostilità di quel governo; ha fatto capire alla destra israeliana che si deve tratta a partire dai "due stati"; con Lavrov, il collega agli esteri russo sorrisi e battute gelate, ma il processo di disarmo globale deve andare avanti... La signora corre per il mondo sperando di essere stratega di pace e di essere capita nel suo paese anche se non opera miracoli.



La situazione è, dunque, tutt'altro che facile. Non mancano, tra gli americani, quelli che vorrebbero tornare a fare perno su se stessi. Ma l'autosufficienza non esiste più: gli Stati uniti non possono più essere né autoreferenziali né imperiali. Neppure in America latina e tanto meno in Europa. Non potrebbero più isolarsi e fare a meno degli altri. Lo scenario aperto dalla crisi consiglia prudenza e, insieme, coraggio. Ma cambiare costa fatica e non gratifica. Anche per noi europei la crisi sarebbe perfino un'opportunità per cementare l'Unione e gestire una politica dell'euro che tenga in piedi l'economia, senza abbandonare la legalità e i diritti, sul piano interno e internazionale, in sinergia anche con gli Stati uniti. Lo diciamo come auspicio, sapendo che anche da noi si ragiona prima con la propria pancia e che finiremo per pensare egoisticamente: non abbiamo aiutato neppure i paesi dell'Est europeo, anche non ignorando che, per esempio, l'Unicredit ha investito in Turkmenistan e, se fallisce là, il danno ci ricadrà addosso.



(8 aprile 2009)

Lascia un Commento

©2019 - NoiDonne - Iscrizione ROC n.33421 del 23 /09/ 2019 - P.IVA 00878931005
Privacy Policy - Cookie Policy | Creazione Siti Internet WebDimension®