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L’altro horror è al femminile: Rossella De Venuto

L’altro horror è al femminile: Rossella De Venuto

A TUTTO SCHERMO - ‘Controra–House of Shadows’, il lungometraggio di Rossella De Venuto. 'Marina', storia di musica e immigrazione raccontata dal filmaker belga Stijn Coninx

Colla Elisabetta Martedi, 27/05/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2014

 

È inconsueta la scelta dell’horror per una donna regista, ed è proprio questo ad aumentare la curiosità verso Controra–House of Shadows, l’opera prima di Rossella De Venuto la quale, nata a Trento da famiglia pugliese, ha deciso di studiare regia e sceneggiatura a New York. Il film, prodotto da Maurizio Antonini per Interlinea Film e presentato a Bari International Film Festival, racconta la storia di un architetto italiano che vive a Dublino con sua moglie Megan, finché la morte di uno zio e la notizia di aver ereditato l’antico palazzo di famiglia (ove abitano misteriose presenze), spingeranno la coppia a tornare in Italia. NOIDONNE ha intervistato la regista.



Come hai deciso di diventare regista e qual è la tua formazione?

È una cosa che ho sempre voluto fare, ma che per molto tempo non ho osato ammettere. Anche perché vengo da una piccola città, Trento, dove il cinema era qualcosa di molto lontano, diciamo un sogno. Dopo aver studiato filosofia e aver fatto lavori diversi, ho deciso di provare. Mi sono iscritta a New York ad una scuola di regia, e di lì è iniziato tutto. 



Perché hai scelto, per il tuo primo film ‘Controra–House of Shadows’ il genere thriller con risvolti 'paranormali'?

L'horror è il mio genere cinematografico preferito, da sempre. Amo i film dove ci si tappano gli occhi per la paura, quelli che ti fanno uscire dal cinema sollevati di essere ancora vivi! Per questo mi è venuto naturale iniziare così, e spero anche di andare avanti così.



C'è qualcosa di te nelle donne del film? Credi nella magia e nel soprannaturale, almeno come fascinazione?

Si, sicuramente in Megan, la protagonista c’è un po' di me. Come ho detto sono cresciuta al Nord, ma la mia famiglia è pugliese per cui ho trascorso tutte le mie vacanze in questa terra bellissima e difficile. Il caldo soffocante, le ore del pomeriggio chiusi in casa, lo sguardo diffidente della gente del luogo, per me che ero in qualche modo diversa, sono elementi personali, autobiografici che ho utilizzato nel concepire il personaggio. Riguardo al soprannaturale non ho mai avuto esperienze in prima persona ma ne sono molto attratta. Questo probabilmente perché il soprannaturale ha un enorme potenziale narrativo, non solo nel meccanismo di un racconto, ma anche rispetto ai livelli del racconto. Un buon film dell'orrore non è mai fine a se stesso. Diciamo che l'orrore permette di spingere l'acceleratore su certi temi classici, come l'estraneità, la maternità, la coppia e via dicendo, portandoli all'estremo nella narrazione.



Come hai scelto i luoghi del film (Irlanda, Puglia e Alto Adige)?

La storia nasce in Puglia, dove ci sono ricordi personali, elementi della superstizione e paesaggio che hanno dato origine al racconto. A cominciare dalla Controra, questo momento della giornata, da mezzogiorno alla cinque del pomeriggio circa, in cui la gente del sud ha (soprattutto in estate) l'abitudine di chiudersi in casa. I paesi sono deserti, non vola più una mosca. Tanto tempo fa, nel mondo mediterraneo, si diceva che era l'ora dei demoni meridiani, i fantasmi che venivano di giorno a tormentare i vivi. Mia nonna mi raccontava di queste storie. E i fantasmi avevano la forma dell'ombra. L'Alto Adige l'ho scelto perché in Italia avevo bisogno di un luogo a forte contrasto con la Puglia, sia dal punto di vista paesaggistico che culturale- linguistico: dal bianco abbagliante delle architetture romaniche al verde dei prati e ai colori pastello e riposanti del Tirolo. L'Irlanda è il paese più lontano geograficamente ed irlandese è la nazionalità della protagonista del film: pelle bianchissima, soffre il sole. Mi serviva un personaggio che venisse da lontano, anche questa volta in forte contrasto con la Puglia, allo stesso tempo ci sono vicinanze culturali che rendono Megan capace di "capire" il Sud. Mi riferisco alla religione cattolica in cui sopravvivono elementi superstiziosi di un passato pre-cristiano.

Credi che le donne registe abbiano maggiori problemi ad affermarsi nel mondo del cinema (e dello spettacolo in genere)?

Premesso che come in molti altri i campi le donne registe sono ancora una minoranza, nel mio caso specifico, le maggiori resistenze nel fare il film sono state legate al fatto che fosse un film di ‘genere’ horror. Mi sono sentita discriminata più su questo che non sul mio genere (scusate il gioco di parole) sessuale. Fondamentalmente credo che il mestiere di regista non sia né maschile né femminile: raccontare storie appartiene all'essere umano e aiuta tutti a vivere meglio.



BOX

Rossella De Venuto, laureata in Filosofia all’Università Statale di Milano, ha studiato Film Direction and Creative Writing alla New York Film Academy. Durante il suo soggiorno a New York scrive e dirige il cortometraggio Bambi e altre sceneggiature. Tornata in Italia lavora come aiuto regista in diversi film e progetti di documentari internazionali. Scrive la sceneggiatura di Mai dire gatto, cortometraggio diretto nel 2001 da Giorgio Tirabassi, premiato in molti festival che vince il David di Donatello come miglior corto. Ha lavorato a numerose sceneggiature, tra cui Biancaneve, acquistata dalla Kublakhan films. Nel 2008 ha scritto e diretto Wanted In Rome, corto premiato in molti festival e selezionato come rappresentate italiano dalla ICE. È stata inoltre assistente alla regia di Renato de Maria in Hotel Paura e di Sergio Citti in Esercizi di Stile. Controra è il suo primo lungometraggio.



Marina, storia di musica e immigrazione

Chi non ricorda il ritornello ‘Marina Marina Marina, ti voglio al più presto sposar…’, entrato prepotentemente nella memoria collettiva anche di chi era troppo giovane per conoscere la canzone da cui è tratto, intitolata, ça va sans dire, ‘Marina’? Ma forse pochi sanno che il suo autore si chiamava Rocco Granata ed era figlio di una delle tante famiglie italiane del Sud immigrate in Belgio negli Anni Cinquanta per lavorare nelle miniere di carbone. È proprio questa la storia raccontata dal filmaker belga Stijn Coninx, nel film Marina, distribuito dalla Movimento Film, all’interno di una ricostruzione storica ed ambientale curata ed efficace.

Il padre di Rocco, Salvatore (un cupo ed intenso Luigi Lo Cascio), che da giovane suonava la fisarmonica, abbrutito dalla vita delle miniere, fatta solo di fatica, miseria e razzismo, ostacola in tutti i modi il sogno del figlio: suonare e scrivere canzoni. Ma la determinazione di Rocco, la sua passione giovanile e la sua ansia di riscatto (ottimamente rese dall’attore Matteo Simone), sostenute dalla madre (una brava e malinconica Donatella Finocchiaro) e motivate dall’amore per una biondissima autoctona, avranno la meglio. Lavorando come meccanico, il giovane riuscirà a comprare una costosa Stradella ed a partecipare e stravincere un concorso: sarà l’inizio di una carriera tutta in salita che lo condurrà fin nella mitica Carnegie Hall di New York. Sentimentale e nostalgico, il film arriva dritto al cuore, che si stringe ancor oggi per le condizioni umilianti di vita degli immigrati all’estero, allora come oggi.#foto5sx#

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