Aveva promesso che lo avrebbe fatto e così è stato. Pochi giorni prima della chiusura delle attività del Parlamento cileno per la pausa estiva, il governo di Michelle Bachelet ha presentato una legge per regolamentare l’aborto, che in Cile, come in Salvador, Honduras, Repubblica Dominicana e Nicaragua, è ancora totalmente illegale. La Presidente ha firmato una proposta che verrà discussa in Parlamento a marzo. La legge vuole depenalizzare l’aborto qualora sussistano gravi rischi per la vita della madre, qualora il feto sia malformato o se la gravidanza è frutto di una violenza sessuale. “In una società dove le donne sono cittadine a trecentosessanta gradi e libere, né lo Stato né nessun’altro può obbligarle a prendere una decisione contro il loro personale diritto e desiderio di essere madri. Ma allo stesso modo, quando la decisione della donna è quella di non continuare la gravidanza per una delle tre gravi ragioni menzionate, lo Stato deve proporre alternative fondate sui diritti delle donne, al fine di proteggerne la dignità e la vita”, ha chiarato la Presidente che è stata anche Direttora esecutiva di UNWOMEN dal 2010 al 2013.
La legge prevede che le donne, maggiori di diciotto anni, dichiarino espressamente davanti a un medico di voler interrompere la gravidanza, mentre per le ragazze dai 14 ai 18 o più giovani, è necessaria anche l’autorizzazione di un rappresentante legale o l’approvazione di un giudice familiare. Nei casi di rischio per la vita della madre o di un feto incompatibile con la vita, verrà richiesto un secondo parere medico, a meno che non si tratti di un caso di estrema urgenza. Se la gravidanza è frutto di violenza sessuale, sarà necessaria una relazione medica da parte di un gruppo di specialisti non oltre le dodici settimane; per le bambine sotto i 14 anni si potrà andare oltre, fino alle diciotto settimane. L’aborto potrà essere praticato sia negli ospedali pubblici che nelle cliniche private. Uno dei punti centrali è la regolazione dell’obiezione di coscienza da parte dei medici: possono esimersi individualmente, mediante dichiarazione scritta, dal praticare un aborto, ma non possono negarlo in casi di urgenza. Il testo prevede inoltre che ospedali e cliniche non possano appellarsi all’obiezione di coscienza in quanto istituzioni.
In Cile il diritto all’aborto terapeutico esisteva dal 1931. Sei mesi prima della caduta della dittatura di Pinochet nel 1989 venne dichiarato illegale "qualsiasi atto teso a provocare un aborto". Non esistono dati certi sulla situazione attuale, ma si stimano ogni anno tra i 70.000 e 140.000 aborti praticati clandestinamente e nel 2012 circa 221 cilene sono state incriminate per aver abortito o aiutato un’altra donna a farlo. Il Governo ha la maggioranza alla Camera e al Senato e il testo è stato redatto tenendo conto delle opinioni dei vari partiti che compongono la colazione “Nueva Mayoria” che appoggia il Governo. Il partito della Democrazia Cristiana ha invece manifestato critiche al testo, chiedendo che le tre cause di depenalizzazione siano votate con tre voti separati. Alcuni portavoce della destra cilena – rappresentata dal partito Uniòn Demòcrata Independiente – hanno dichiarato invece che il testo della legge “non rispetta la dignità umana”.
In Cile si discute di aborto dal 1990, ma non si era mai arrivati ad un testo di legge che ha così tanta probabilità di essere approvato dal Parlamento, nonostante le forti opposizioni dentro e fuori le sedi istituzionali. Addirittura, lo scorso gennaio la Ministra della Salute HeliaMolina ha dovuto presentare le dimissioniper aver dichiarato pubblicamente che è risaputo che le figlie di famiglie facoltose cilene si recano in cliniche private per praticare l’aborto. Questa dichiarazione che a Molina è costata la poltrona, ha però sottolineato un altro aspetto della mancanza di una legge che legalizzi l’aborto, ovvero la disparità sociale che produce e/o acuisce.
L’aborto, soprattutto nei paesi a maggioranza cattolica, è un tema spinoso, e il diritto per le donne ad interrompere la gravidanza è sempre in pericolo anche in Europa. Il caso spagnolo è stato emblematico da questo punto di vista: è servita una mobilitazione straordinaria di donne spagnole di tutte le generazioni riunite nella rete #YoDecido, appoggiate in sede istituzionale da molte parlamentari del PSOE, per evitare di tornare ad una legge restrittiva e consevatrice, quella avanzata dal Ministro della difesa Gallardòn, che, sconfitto su quella che rappresentava una sua personale battaglia, ha poi lasciato l’incarico di Governo. Anche nel belpaese, dove l’obiezionedicoscienza è a livelli allarmanti, non si può mai abbassare la guardia. E’ sempre di pochi giorni fa la notizia che il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso presentato dal Movimento per la vita contro una parte del decreto del Governatore del Lazio NicolaZingaretti che "obbligava anche gli obiettori di coscienza impiegati nei consultori pubblici a rilasciare il certificato necessario a effettuare l'interruzione volontaria di gravidanza".
Adesso gli occhi sono puntati sulla votazione in plenaria nel Parlamento Europeo sulla mozioneTarabella nella quale viene ribadito che “Il Parlamento europeo insiste sul fatto che le donne debbano avere il controllo dei loro diritti sessuali e riproduttivi, segnatamente attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all’aborto.” Dopo l’affossamento della mozione Estrela, causata anche al voto di alcuni europarlamentari del PD, la Laiga - Libera Associazione Italiana di Ginecologi per l'applicazione della Legge 194/78 - e l’associazione Vita di Donna hanno lanciato una petizione e annunciato una conferenza stampa per il prossimo venerdì 20 febbraio a Roma. Nel comunicato si legge “Temiamo che il Pd tradisca nuovamente le donne e per questo promuoviamo una rete di associazioni per creare un gruppo di pressione sugli eurodeputati.”
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