Bell Hooks - “una donna non può essere femminista soltanto perché è donna. È una femminista perché comincia ad allontanarsi da modi sessisti di pensare e perché compie una rivoluzione nella propria coscienza”
Cristina Carpinelli Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2008
Gloria Jean Watkins (pseudonimo Bell Hooks) è una femminista e un’attivista sociale. Brillante autrice di letteratura, saggi, critica cinematografica e di costume è una delle tanti voci ribelli tra gli intellettuali di colore. Il movimento nero, quello femminista e la sinistra marxista sono stati l’humus della sua maturazione umana e politica e, in ognuno di essi, lei ha sviluppato una sua sensibilità sul tema dell’oppressione, che costituisce il “leitmotiv” dei suoi tanti lavori. Ha scritto molto sul patriarcato, interpretandolo dal suo particolare punto di vista di donna nera afroamericana.
La Hooks parte dall’assunto che le lotte che si combattono contro il capitalismo non producono la fine del patriarcato. Non si distrugge il patriarcato senza mettere in discussione e sfidare il capitalismo ma, afferma, la sola lotta al capitalismo non significa un mondo migliore per le donne. Certo, l’oppressione di genere dovrebbe incoraggiare queste ultime ad occuparsi di capitalismo. Le giovani di colore dovrebbero, ad esempio, conoscere grandi uomini come Walter Rodney, Kwame Nkrumah e Amilcar Cabral, che sono stati i maestri di Bell Hooks.
Tuttavia, la prima oppressione che la Hooks sperimenta sulla propria pelle è quella del “sessismo del Mondo nero segregato” degli anni Sessanta: “In quanto ragazza cresciuta in una famiglia patriarcale, operaia, nera e del Sud America, è sempre stata chiara per me la convergenza dei temi della classe e del genere. Ero profondamente consapevole della mia classe, e lo ero dei limiti che mi provenivano dal mio genere. Oggi non lavorerei per la libertà con tanta passione, se non avessi cominciato ad oppormi a quella nozione sessuata di educazione che lascia intendere che la politica sia il regno dei maschi, così come il pensiero politico sulla lotta antirazzista e anticolonialista”.
La Hooks crede al tipo di educazione che stimola alla coscienza critica, che non guarda alle questioni separatamente ma cerca di farle convergere in modo da “assumere un atteggiamento che ci permetta di autodeterminarci in quanto popolo, che combatte rivoluzionariamente su tutti i fronti”. In tutti i suoi scritti, ella parte sempre da un’analisi di classe: “I neri vivono nel ghetto perché sono innanzi tutto poveri”. Incoraggiarli ad arricchirsi individualmente, come unica via di salvezza, significa sollevare una falsa coscienza nella loro vita, poiché per essi la speranza di redenzione sta nella richiesta di redistribuzione della ricchezza e delle risorse. Con la stessa fermezza, ella si ribella contro il femminismo bianco borghese: “Alle mie prime lezioni di studi di genere, mi alzai e dissi: ‘Le donne di colore hanno sempre lavorato’. Era una sfida all’aspetto classista della struttura del femminismo”. Quando classe, razza e sesso s’intrecciano, non esiste una condizione femminile, ma condizioni e destini di donne molto differenti tra i diversi paesi del mondo e all’interno di uno stesso paese. E’ impossibile, quindi, aggrapparsi ad un’identità di gruppo precostituita, nonostante la disseminazione trasversale di molte questioni di genere e l’assimilazione di categorie marxiste per l’analisi di classe: “Mi definisco socialista, ma senza alcuna enfasi, perché non ho mai voluto identificarmi con un movimento politico che non ha saputo affrontare né la questione di genere né quella della razza”.
Bell Hooks va oltre. Nel suo libro “Uccidere l’odio: mettere fine al razzismo”, ella sostiene che “(…) esiste una sovrapposizione incredibile tra i valori di un Louis Farrakhan, leader della Nation of Islam, noto per la sua accesa retorica antisemita e anti-bianca, e i valori della destra cristiana bianca”. Ciò che li accomuna sono la difesa del capitalismo e del patriarcato, e un ossessivo comportamento omofobico. Purtroppo, oggi, ci sono giovani neri che sono attratti da fantasie evasive centrate sul nazionalismo e la famiglia patriarcale. E poiché la retorica nazionalista è totalmente omofobica, costoro dimostrano di essere più reazionari di molti bianchi liberali e di sinistra che non sono interessati al nazionalismo. Nazionalismo in senso stretto, forme ristrette di afrocentrismo, nostalgie di un’Africa antica fatta di re e regine sono utopistici sogni di liberazione. Non che non sia utile sapere dell’Africa antica per combattere gli squilibri della cultura occidentale. Ma l’approdo al nazionalismo, che è una visione del mondo non progressista, mina la lotta rivoluzionaria nera. I giovani neri americani hanno un’idea di nazione come luogo di riscatto. Dovrebbero, invece, rendere attuali gli insegnamenti di Malcolm X e Martin Luther King, e apprendere la storia della schiavitù nera non solo attraverso la narrazione spuria, contaminata e colonizzata di Spike Lee.
La posizione politica di Bell Hooks prende avvio dalla nozione di autodeterminazione nera. Ma allo scopo di impegnarsi in una lotta rivoluzionaria per l’autodeterminazione collettiva dei neri, ella deve farsi femminista: “(…) Devo farmi femminista perché ciò diventa il veicolo attraverso cui mi proietto come donna al centro della battaglia, ma la lotta non comincia col femminismo. Comincia con la comprensione della dominazione e con la ribellione a tutte le sue forme”. Intense sono le pagine di “Elogio del margine” dove la Hooks, parlando dell’uso della sessualità nella dominazione razzista, fa emergere il reciproco sostegno tra patriarcato suprematista bianco (“i maschi neri dominati sono ridotti all’impotenza, castrati, ogni volta che le donne che essi avrebbero il diritto di possedere e fottere, vengono fottute e sottomesse dal gruppo bianco maschile dominante”) e sessismo contro le donne bianche e nere esercitato dai maschi di entrambe le razze (“la resistenza nera ha quasi sempre identificato oppressione con castrazione e libertà con virilità. Tuttavia, accettare tali metafore sessuali ha creato un vincolo tra i maschi neri oppressi e i loro oppressori bianchi. I due gruppi condividono la credenza patriarcale che la lotta rivoluzionaria abbia come oggetto l’erezione fallica, la capacità maschile di stabilire un dominio politico equivalente al dominio sessuale”).
La sua coscienza politica radicale la spinge a sottolineare la necessità che gli afroamericani assumano come avversario il linguaggio politico del colonialismo (“Abbiamo un grande debito verso persone come C.L.R James e i grandi pensatori della diaspora nera che ci hanno incoraggiato ad inquadrare le nostre questioni in un contesto politico più ampio che considera l’imperialismo e il colonialismo, così come il nostro ruolo di africani nella diaspora in maniera che la classe diventi un fattore centrale”) e che siano insegnanti femministi in grado di educare alla coscienza critica, poiché “razzismo e sessismo sono sistemi interconnessi di dominio che si rafforzano e si sostengono a vicenda”.
In “Teoria del femminismo, dai margini al centro”, la Hooks scrive: “Se pensiamo al femminismo come ad un movimento per mettere fine al sessismo e all’oppressione sessuale, non c’è niente in esso che riguardi l’uomo. Tuttavia, per me, una donna non può essere femminista soltanto perché è donna. È una femminista perché comincia ad allontanarsi da modi sessisti di pensare e perché compie una rivoluzione nella propria coscienza. La stessa cosa dovrebbe valere per il compagno maschio di lotta”. Certo, puntualizza la Hooks, come nel caso del razzismo, le donne hanno un interesse superiore rispetto agli uomini nello sviluppare una coscienza femminista, ma questa è l’unica ragione per cui hanno maggiore diritto di essere femministe. Il femminismo non è, comunque, la lotta contro gli uomini. Questo, afferma la Hooks, è l’aspetto politicamente meno evoluto del femminismo, poiché quello rivoluzionario combatte il patriarcato in quanto costituisce una seria minaccia di vita anche per l’uomo: “Quando consideriamo gli uomini che si uccidono l’un l’altro - che credono che il loro pene sia una pistola e una pistola un pene - questi uomini hanno bisogno di maturare una forte critica della loro mascolinità patriarcale per salvarsi”.
Certo, si stanno verificando dei cambiamenti tra i maschi neri americani. Ma, ad esempio, gli uomini neri gay, che sono all’avanguardia della critica al sessismo (il pensiero della Hooks va a Essex Hemphill, Joseph Bean e Marlon Riggs), non sono ancora considerati dei leader dalle comunità nere: “Quando un Marlon Riggs produce un film come ‘Tongues Untied’, dove si parla del ruolo del silenzio nella costruzione della mascolinità nera (‘il silenzio è la mia arma, il silenzio è il mio scudo’), non si rivolge soltanto ai gay che usano il silenzio. Quando consideriamo gli uomini neri, in generale, nelle loro relazioni intime e personali, constatiamo la loro incapacità di comunicare i sentimenti e le emozioni verso le persone cui tengono. (…) Non riesco a trovare niente che un nero eterosessuale abbia fatto per cercare di rappresentare il bisogno per gli uomini di colore di rompere il muro del silenzio, e di parlare di quell’insieme di questioni che riguardano le loro vite profondamente come fa Marlon in ‘Tongues Untied’. (…) Tuttavia, i neri americani giudicano questo film gay, e si fermano qui. È una tragedia, perché gli omosessuali hanno tanto da dire”.
Per saperne di più su Bell Hooks consiglio di visitare il sito - http://www.allaboutbell.com
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