La voce delle donne Considerazioni al femminile sulla violenza di genere
Mostra Fotografica Progetto e fotografie di Sergio Battista
Con la partecipazione di Arianna Ninchi e Silvia Siravo
CASA INTERNAZIONALE DELLE DONNE
20 Maggio 2017
Dalle 16,30 alle 19,30
Sala Atelier
Via della Lungara, 19 – Roma
Martedi, 30/05/2017 - Dal 2006 al 2017 le donne uccise in Italia sono state 1740 e di queste più del 70% in ambito familiare. Nella maggior parte dei casi, il femminicidio è preceduto da atti di violenza fisica e psicologica che tendono a minare la sicurezza e il senso di consapevolezza nelle donne. Le cronache raccontano, attraverso i media, solo quando la violenza fisica è stata portata a compimento, mentre la violenza quotidiana fatta di parole, sguardi, atti mancati, scarsa considerazione, viene spesso fatta passare in secondo piano, pur essendo parte integrante e humus di quel retroterra culturale che ancora oggi persiste nelle nostre società e condiziona in maniera distorta le relazioni umane.
Su queste basi prende vita e acquista rilevanza il progetto fotografico: La voce delle donne – considerazioni al femminile riguardo alla violenza di genere, cui hanno partecipato 21 donne che hanno aderito con entusiasmo, concedendo la loro immagine ed esternando i loro pensieri riguardo questa piaga sociale, in assoluta libertà di forma e di contenuti, senza remore o stereotipi. Attraverso le loro parole e i loro sguardi veniamo condotti nel territorio oscuro delle speranze svanite, della disillusione, del dolore, della paura, ma al contempo anche nella voglia di luce, di rinascita e di consapevolezza, nella necessità di una sana educazione per i figli, di speranza e di futuro. Un progetto solo in parte fotografico, dedicato all’universo femminile, dal quale è stato realizzato un libro, che uscirà a giugno. Oltre alla pubblicazione editoriale, e a complemento di questa, è stata realizzata anche una mostra: un’esposizione di quadri che contengono un ritratto fotografico e le testimonianze delle 21 partecipanti. La mostra fotografica, accompagnata da un reading e da interventi musicali, è un percorso fatto di volti e parole che trasportano i visitatori in un mondo intimo e straordinariamente prezioso di desideri, episodi ed esperienze realmente vissute, di quello che sarebbe potuto accadere, con semplicità e schiettezza, cercando di affrontare direttamente il cuore del problema.
Ognuna ha trovato in questo progetto una possibilità per far sentire, in modo personalizzato e autentico, la propria voce; uno spaccato del mondo femminile raccontato coraggiosamente dalle donne mettendoci..... la faccia.
Nota Biografica
Sergio Battista nasce a Roma nel 1969, divide da sempre i suoi interessi artistici tra la musica e la fotografia. Predilige la fotografia di scena, musicale e la ritrattistica; ha partecipato a mostre personali e collettive in Italia e all’estero, collabora con il blog di critica teatrale e musicale Brainstorming Culturale; alcune sue immagini sono rappresentate dall'agenzia ART+Commerce di New York e dalla galleria SpazioGMArte di Milano. Nel 2015 ha pubblicato il libro fotografico “L’Infinita Bellezza – ritratti femminili a Roma”, a cura di Mino Freda.
Ufficio Stampa
Alma Daddario & Nicoletta Chiorri
Dei intervista Sergio Battista
Perché un libro sulla violenza al femminile nel terzo millennio?
Perché purtroppo se ne sente il bisogno. Non dimentichiamo che il suffragio universale è del 1945, l’abrogazione del delitto d’onore risale a 35 anni fa e lo stupro non rientra più nei reati contro la morale ma bensì contro la persona solo dal 1996. Le nostre nonne e le nostre mamme hanno vissuto in realtà in cui questa era la condizione della donna. E ancora c’è molto da fare.
Nella sua ricerca ha individuato caratteri più inclini a subire violenza?
Non so, in quanto nel mio lavoro sono direttamente le donne che si esprimono. Comunque credo sia un problema culturale. Le donne devono credere in loro stesse, avere consapevolezza in loro stesse e non farsi condizionare dalla cultura dominante ancora troppo patriarcale.
Ci sono momenti della vita secondo lei, in cui siamo maggiormente soggetti a subire violenze di ogni tipo?
Sicuramente. Secondo me sono due gli ambiti più rischiosi: la famiglia e il lavoro. La famiglia è un luogo potenzialmente molto insidioso, dove tra le mura domestiche si consumano spesso i drammi più cruenti. Purtroppo il legame familiare ha da sempre una duplice valenza, e ogni considerazione si inquina nel terreno vischioso dell’affettività, spesso fraintesa per motivi legati alla sfera della comunicazione. Spesso chi fa violenza ha forti lacune di comunicazione intrapersonale ed interpersonale. Nel mondo del lavoro invece, troviamo protagonista della violenza il ricatto della perdita del posto, con tutto ciò che ne consegue. Ma alla base c’è sempre il mancato rispetto nei confronti di una persona, spesso più debole economicamente, come può essere una persona di sesso femminile.
Ha qualche episodio che l’ha colpita maggiormente relativo alla violenza fisica psicologica?
Già da tempo avevo intenzione di intraprendere un progetto di questo tipo, ma ciò che mi ha fatto rompere gli indugi è stato l’efferato femminicidio di Sara Di Pietrantonio. Mi ha scosso. Ho pensato molto a questo episodio che non appartiene, o meglio, non dovrebbe appartenere al genere umano. Mi sono messo nei panni dei genitori di questa ragazza la quale unica colpa era stata quella di scegliere. Scegliere un partner che probabilmente era più consono allo sviluppo della sua giovane vita. Bruciata come una strega di età medievale. L’ho vissuto come una coltellata alla libertà.
Quali sono le caratteristiche che ha riscontrato nelle situazioni di violenza psicologica e in quelle di violenza fisica?
Ad essere sincero non ho avuto molto a che fare con la violenza fisica, che, credo di non sbagliare nel dire che è diretta conseguenza di quella psicologica che è molto più diffusa. La violenza o anche il semplice condizionamento psicologico non fa altro che preparare il terreno. E’ il primo strumento di potere che viene esercitato per piegare la consapevolezza della donna, la propria indipendenza. Per minarne il coraggio. Credo che con una presa di coscienza forte la violenza fisica può essere debellata.
Un uomo che scrive un testo sulla violenza femminile è ammirevole, cosa l’ha spinta ad osservare questo fenomeno con gli occhi maschili?
Ho pensato a questo progetto per far parlare le donne stesse di questo problema. Io ho soltanto ideato il progetto e scattato le fotografie, in quanto nello specifico è un progetto espositivo ed editoriale di fotografia e scrittura. Diciamo che, in un mondo dove parlano sempre gli uomini di tutto, ho voluto lasciare la pagina bianca alle donne, le quali hanno scelto liberamente anche come mostrarsi davanti all’obiettivo. In assoluta libertà espressiva. Ne è venuto fuori un lavoro autentico, senza effetti speciali, che va dritto nel cuore del problema. Ce lo dicono loro, le 21 partecipanti al progetto, cosa pensano riguardo alla violenza di genere; con intimità e speranza, parlando di consapevolezza e amore. Non avrei potuto scrivere di meglio.
Il numero di casi di morte per dinamiche intrafamiliari è in aumento, come mai secondo lei?
Si, dal 2006 al 2016 i casi di femminicidio sono stati 1740 di cui il 70% in ambito familiare. In parte ho risposto alla domanda precedente. La famiglia è un territorio insidioso, dove troppo spesso viene sottovalutato l’aspetto comunicativo. Spesso si viene in contrasto per false aspettative, per promese mancate, si tende, soprattutto da parte maschile, a non parlare e il problema si ingigantisce. Inoltre spesso amore non fa rima con rispetto. Il rispetto per l’altro, per le sue idee, le sue scelte, non deve mai mancare come la capacità di sostenere il confronto. In fondo la violenza è la scorciatoia per ottenere ragione.
Cosa significa essere donna oggi?
Ovviamente rispondo da uomo, quindi la mia risposta presenterà forse qualche lacuna. Credo che oggi essere donna è una bella sfida. Le donne devono essere brave, più brave degli uomini, e ne conosco parecchie. Oggi una donna deve essere brava ad armonizzare la propria funzione biologica con il lavoro e le mansioni che le sue alte capacità acquisite richiedono sempre più. Non è facile. Ma le donne quando vogliono ce la fanno.
Quanto tempo ha impiegato a scrivere il libro e quanto si è documentato?
Ripeto, il libro l’hanno scritto loro, però diciamo che è stato un lavoro durato 5 mesi. Le informazioni in merito le seguo da una vita, in quanto di mio interesse. Sono vicino emotivamente a tutte le situazioni di squilibrio dove la libertà di essere viene negata.
Ritiene che il libro aggiunga qualcosa di nuovo alla comprensione del fenomeno?
Del fenomeno se ne parla molto, personalmente ho visto spettacoli teatrali, films, letto libri, assistito a dibattiti. Io ho voluto solo indagare, attraverso le parole delle donne stesse, la parte nascosta del problema, tanto per intenderci tutto quello dove non c’è sangue, occhi pesti e trasmissioni infinite di approfondimento che spesso puzzano un po’ di morbosità. Però fanno audience. In questo progetto 21 donne parlano dei condizionamenti e della pressioni che questo tipo di cultura impone. Parlano della difficoltà di fare delle scelte senza essere giudicate. Nel libro si parla di maternità, educazione, lavoro e infine anche di comunicazione. E di consapevolezza. Soltanto la voce delle donne e i loro occhi fissi in chi guarda.
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