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La vita inizia andando Fuoristrada

La vita inizia andando Fuoristrada

Un film sulla storia di Beatrice della Pelle, carismatica transessuale romana, capace di creare armonia e bellezza.

Lunedi, 14/04/2014 -
"Ogni persona è autentica quanto più somiglia all'idea che ha di se stessa." Queste le celebri parole pronunciate dal transessuale Agrado nel film capolavoro di Almodovar "Tutto su mia madre." Parole incarnate da Beatrice della Pelle, nata Giuseppe, protagonista del film-documentario "Fuoristrada" della regista Elisa Amoruso, presentato a novembre al Festival Internazionale del Cinema di Roma e in sala in questi giorni al Cinema L'Aquila a Roma. 



Il nome femminile scelto dalla protagonista è quello dell'amata di Dante, musa ispiratrice del sommo poeta e incarnazione della donna angelicata del dolce stil-novo. La Beatrice di Fuoristrada in realtà è un meccanico del quartiere Appio-Latino di Roma con una casa in campagna appena fuori dalla Capitale. In questo racconto le contraddizioni si integrano perfettamente tra di loro e formano il ritratto di una persona vera, onesta, che non si nasconde nè recita un personaggio. Maschile e femminile, passione per il rally e per le minigonne, la voce un po' roca, le braccia forti e il rossetto rosso: ogni tratto del corpo e della personalità di Beatrice è al suo posto e ci restituisce un'idea di armonia. E di grande dolcezza, tratto essenziale del rapporto più importante nella vita della protagonista, quello con la moglie Marianna, di origine rumena, assistente dell'anziana madre di Beatrice. Si incontrano, si innamorano, si rincorrono, e riescono persino a sposarsi.

 

Oltre cento ore di girato, due anni di riprese per entrare nella vita di questa famiglia, composta dalle due donne e da Daniele, il figlio di Marianna, da cui Beatrice si fa chiamare "papà". Una narrazione che non esclude le difficoltà e le ombre, come il rapporto di dolorosa indifferenza che Beatrice ha avuto per tanti anni con la figlia avuta dal primo matrimonio. A rendere la visione di questo piccolo grande gioello ancora più speciale, è la presenza di Beatrice in sala, ad ogni proiezione, che invita il pubblico a farle domande per capire meglio, per conoscerla ancora più da vicino. "Chiedetemi quello che ve pare, accetto anche domande piccanti." Ma nessuno è interessato a guardare sotto le lenzuola. Le chiedono piuttosto del suo rapporto con la figlia, dell'opinione di Marianna sul film (assente lei per un problema di salute), di come va l'officina. E lei risponde, sorridente, ringraziando singolarmente tutti i presenti. Sembra che tutta quella gente in sala le appaia come un miracolo che si ripropone ogni sera. Un regalo che merita uno, dieci, cento volte il suo grazie. 



Il film, dunque, è insieme allegro e intenso, e scorre via in un tempo talmente breve che resta la voglia di saperne di più di queste due donne capaci di amarsi così appassionatamente, pur sapendo di non essere la classica famiglia convenzionale (Ancora ne esistono? Viene da chiedersi). E se il merito di questo film risiede senza dubbio nella capacità di scostarsi da una narrazione retorica e stereotipata delle persone transessuali, la sua attrattiva risiede probabilmente altrove. La normalità della famiglia composta da Beatrice, Marianna e Daniele è un esempio reale di come sia possibile coniugare l'amore per se stessi, la ricerca della propria autenticità oltre la morale comune, e la capacità di costruire relazioni d'amore non convenzionali creando armonia. Un'armonia frutto di un amore per la libertà e di un coraggio straordinari, ma, forse, alla portata di chiunque voglia essere davvero felice.

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