La non applicazione della legge sul 'Dopo di Noi', le aspettative e i diritti delle persone disabili tra cecità di chi legifera e inconsapevolezza del Sistema pubblico del welfare
Mercoledi, 22/01/2020 - Premessa
Dopo ordinari motivi di sofferenza e difficoltà, come la perdita di mia madre e la separazione dal mio primo marito, avvenute nello stesso mese, e un certo tempo passato in profonda solitudine interiore, mi sono ritrovata, dopo qualche anno, felice di un lavoro che sempre avevo desiderato e di un amore grande.
Trentanovenne, aspetto Alice. Totale serenità, gravidanza meravigliosa. Lei bella e perfetta fin dall’inizio (è ancora bellissima). Quando arriva, i medici me la riducono ad un esserino quasi senza vita e ormai, dopo una lunga causa, abbiamo la certificazione ufficiale di questo: è stata colpa loro. Vale a poco, ma tant’è. Serve almeno a mettere in guardia tutte le giovani donne che mi dicono di voler andare a partorire in quell’ospedale. E’ mio dovere.
In quel preciso istante, ore 17.34 del 28 agosto 2005, si avvera lo sliding doors: ho e avrò per sempre una figlia disabile. La guardo nell’incubatrice, non so nulla di lei, intanto il mondo esterno mi chiede, mi chiama, dal lavoro arrivano richieste e io penso che tutto è finito. Lo so.
Nessuno si azzarda a dirci nulla, i medici della neonatologia sono addolorati, così come le infermiere, poiché deve essere purtroppo ricorrente per loro ricevere dal reparto maternità degli strazi di questo tipo. Io sto lì e percepisco. Mio marito è terreo. Siamo uniti in una bolla invisibile, la stessa bolla che ci ha visti uniti in tutti questi 14 anni. Una bolla nella quale ci siamo però sentiti anche molto soli e abbandonati. A cominciare dal fatto che nessuno della ASL venne a farci visita, quando tornammo dall’ospedale dopo 6 settimane dal parto, né per un lungo tempo, per instradarci verso la vita che ci aspettava e di cui noi non sapevamo nulla in assoluto, sia dal punto di vista emotivo sia da quello più banale ma disperante dei diritti e della burocrazia.
Oggi
Il neurologo ci disse che sarebbe stato un percorso in salita, ma che ci sarebbe stata anche molta gioia. E’ stato ed è così. Il primo sorriso di Alice, arrivato al settimo mese, fu indimenticabile. E oggi, ogni volta che lei è felice noi proviamo uno stato di esaltazione che non abbiamo mai provato per le nostre gioie personali. Aver avuto una seconda figlia dopo, meravigliosa, è stato ed è felicità pura. Tutto è esaltato all’ennesima potenza. Quindi anche i dolori. Se si ha un figlio disabile sono mille le possibilità di soffrire. Alice oggi ha 14 anni, è tetraparetica con forte spasticità. Non ha mai avuto la possibilità di toccare, manipolare, giocare, prendere la realtà che la circonda, se non con l’aiuto di qualcuno. Non cammina, se non con l’aiuto di qualcuno. Non parla. Ma, con l’aiuto di qualcuno, può comunicare con gli occhi attraverso un e-tran, ovvero una tavola di plexiglass su cui sono impresse le lettere.
Chiusa in una prigione che è il suo corpo, è intelligente, affettuosa, curiosa, di carattere forte, simpatica. Va bene a scuola, ama sia le scienze, sia le lingue, sia le materie umanistiche e questo per lei è fonte di realizzazione. Mentre sul fronte della socialità, certo una quattordicenne avrebbe bisogno di stare con i suoi pari. Ciò accade a scuola, ma finita quella, ad esempio in estate, la sua compagnia è fatta soltanto da adulti accudenti. Per lungo tempo ha definito sue “amiche” le numerose terapiste e le assistenti domiciliari che si avvicendavano intorno a lei. Ora però ha smesso. Dunque nasce il problema: cosa fare con una persona come Alice quando inizierà ad essere adolescente e poi adulta? Quando chiedemmo, tanti anni fa, cosa sarebbe stato di Alice da grande, ci fu risposto che ci sarebbero stati “gli istituti”.
L’angoscia più nera. Nel nostro immaginario luoghi dall’ambiente gelido, in cui le persone con disabilità vengono infilate in stanzoni e trattate tutte allo stesso modo. Per lo più, se va bene, luoghi dove svolgere attività manuali, nelle quali chi ha problemi motori gravi, come nostra figlia, non può trovare alcuna soddisfazione se protratte a lungo e senza un vero percorso organico. Luoghi assordanti, dove la frustrazione e l’insoddisfazione si comunicano dagli utenti agli operatori e viceversa. Negli anni abbiamo potuto capire che il mondo della disabilità ha mille sfaccettature possibili. Ogni persona ha un suo sviluppo, proprie capacità e proprie difficoltà, propri gusti, attitudini, proprio come il popolo delle persone comuni. E’, per certi aspetti, una scoperta continua ed ecco perché penso che l’insegnante di sostegno sia una professione incredibile: richiede una prontezza empatica profonda, grandi strumenti di adattabilità e competenze variegate e multidisciplinari. Purtroppo in molti casi non è così, nella pratica. Ci vuole fortuna.
Queste sono caratteristiche necessarie comunque anche a tutte le figure professionali che operano con le persone in difficoltà. Figure professionali che costruiscano un sapere specifico su una base di capacità umane spiccate. Queste sono le persone che nel tempo abbiamo cercato e trovato per accompagnare Alice nel suo sviluppo globale, nel quale abbiamo dovuto far fronte a necessità motorie così come a esigenze di carattere psicologico. Quanto tempo abbiamo impiegato per trovare la psicologa adatta? Così per la fisioterapista, la disfagista, la terapista occupazionale, l’educatrice che l’aiuta con i compiti. Generalmente abbiamo dovuto ipotizzare da soli i percorsi riabilitativi, o quanto meno integrare il pochissimo che la ASL le ha concesso. Tempo fa ho inviato una lettera disperata ad un giornale nazionale, poiché nessun centro di riabilitazione accreditato aveva posto per Alice, per raggiunti limiti di età. Trovavo la cosa così assurda, avendo lei soltanto 14 anni, che ho scritto di getto e in moltissimi mi hanno risposto, dandomi modo di scoprire che il Sistema Sanitario Nazionale e coloro che governano a livello regionale la disabilità e il welfare, hanno veramente molto da riflettere. Ritengo che tutto il sistema pubblico sia ad un livello di profonda inconsapevolezza. Dal mio racconto si può capire che la disabilità può entrare nella vita di chiunque da un momento all’altro e sarebbe una scelta saggia quella di operare, da politici, allo scopo di creare condizioni di vivibilità ottimali. Invece tutti si comportano come se a loro potesse non toccare mai. Beati loro, per un verso. Resta la condanna, per tutti coloro che legiferano con cecità in questi ambiti: mi chiedo come possano affrontare l’arrivo di un figlio disabile quei genitori senza risorse economiche e/o culturali.
Ci sono poi realtà che, per la loro assurdità, fanno addirittura ridere. Ad esempio: si può normalmente acquistare il biglietto on line per cinema, concerti e spettacoli. Però se un disabile vuole andare al cinema, deve andare a comprare il biglietto di persona. O qualcuno in sua vece. Non è assurdo? Poi non è raro che i posti riservati ai disabili carrozzati si trovino in prima fila, da dove lo schermo giganteggia a un solo metro di distanza e dove si rischia la sordità. Oppure ci è capitato di andare in un teatro di Roma dove, appunto, i disabili possono avere soltanto l’ultima fila. Anzi, il loro posto è dietro all’ultima fila, a circa 100 metri dal palcoscenico.
Racconto questi esempi di poca considerazione poiché la mia domanda su cosa fare con Alice quando sarà adolescente e poi adulta ha principalmente una risposta, che è quella di lavorare sulla crescita interiore della nostra società. Occorre creare una controtendenza per la quale, a fronte della costante educazione all’arroganza, alla scorrettezza, al pensiero autocentrico, messa in atto da media e politica da alcuni lustri, si passi ad un’educazione di accoglienza, di apertura di sguardo sugli altri. E al senso di profonda soddisfazione che può derivarci da questo diverso atteggiamento. Una delle grandi opportunità che hanno oggi i ragazzi è la presenza di alunni con difficoltà nelle scuole pubbliche. Noi della nostra generazione non abbiamo avuto questa fortuna. Avere un compagno disabile apre le capacità comunicative, il desiderio di dedicarsi al benessere altrui, sviluppa la coscienza delle proprie possibilità e conduce ad apprezzarle e a svilupparle.
La legge sul Dopo di Noi, n° 112 del 2016, nasce in un periodo dunque favorevole, socialmente parlando, poiché ad applicarla saranno coloro che oggi sono giovani e si stanno allenando a gestire la vita con il loro “cuore” e non solo in termini utilitaristici.
Purtroppo, facendo parte della Consulta per la Disabilità del nostro municipio romano, vedo che, almeno nella regione Lazio, l’applicazione dei principi innovativi della legge è ancora in alto mare. Riporto qui un capoverso di una lettera scritta dalla presidente della consulta Gabriella Schina, donna forte che mi è di esempio, e inviata alla Direzione Inclusione Sociale e all''Assessore Alessandra Troncarelli della Regione Lazio:
“Per quanto riguarda poi la Legge 112 ‘Dopo Di Noi’, numerose sono le difficoltà che si stanno incontrando nella sua attuazione, tanto da poter affermare che su Roma nessun progetto è realmente partito e che i fondi messi a disposizione dalla Regione sono del tutto inutilizzati. Quanto si sta delineando, anche alla luce delle emanande Linee Guida di Roma Capitale, sembra non dare spazio a quegli spunti innovativi che hanno ispirato la Legge, che sicuramente auspicava una decisa apertura a concetti di ‘supporto all’abitare’ e non esclusivamente a ‘case famiglia’, sia pure ridotte a sole 5 persone. Restano poi ancora indefiniti principi che rendano uniformi la predisposizione dei Progetti Personalizzati e l’applicazione del Budget di Salute, elemento fondamentale, quest’ultimo, per la proficua messa a fattor comune delle ‘risorse’ di ogni singolo partecipante al progetto”. Questa legge è dunque lo strumento attraverso il quale potremmo progettare e realizzare un prossimo e un lontano futuro per nostra figlia, insieme ad altre migliaia di genitori come noi. Ci aspettiamo che nei prossimi tempi essa sia perfezionata, in modo che nel giro di qualche anno sia veramente possibile immaginare i nostri figli, senza di noi, vivere una vita corrispondente al loro profondo essere, al di là dell’etichetta generica di disabilità che li accomuna. Tuttavia, la premessa fondamentale è che il “Dopo di Noi” debba essere preceduto e preparato da un “Durante Noi” di qualità. Costruire ciò che ancora non c’è: ecco la risposta alle nostre pre/occupazioni. Il sogno che proveremo a realizzare sarà quello di sviluppare, durante noi, intorno ad Alice una rete di affetti e condivisioni che vadano il più possibile nella direzione delle sue esigenze affettive, espressive ed interiori, esattamente come ci auguriamo per sua sorella e per noi stessi, sempre; porremo dunque i presupposti affinché possa avere nella sua vita ciò che le dà soddisfazione in senso lato. Studiare, fare sport, imparare le lingue, appassionarsi alle arti per sviluppare capacità sociali, per promuovere la coscienza del sé, la realizzazione interiore immediata e per creare premesse necessarie a sviluppi di vita futuri. Si prefigura infatti una modalità di condivisione di spazi e contenuti, in dipendenza continua da persone adulte che per ora sono i familiari e che in seguito, dopo un periodo misto, saranno operatori; questa prospettiva sociale della sua esistenza, ci porta a lavorare sull’”educazione” di Alice ad essere comprensibile ed efficace nella sua comunicazione, sebbene alternativa, e ad essere il più possibile cosciente delle proprie emozioni in modo da saperle gestire al meglio.
Scopo ultimo di tutto questo nostro riflettere ed agire, che da quattordici anni non si è mai placato, è l’augurio che Alice abbia un qui ed ora per sempre felice.
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