La violenza sulle donne raccontata al cinema e in tv
Come la fiction racconta la violenza sulle donne. Sabato 3 dicembre a Roma una giornata dedicata al tema "Il Giardino della fiction". Intervista a Giovanna Koch (WGI) e Elisabetta Flumeri (EWWA)
Un confronto tra sceneggiatori ed altri esperti/e per riflettere su come è rappresentata e raccontata la violenza contro le donne nella narrativa e nella fiction tv e cinematografica. Accade a Roma il 3 dicembre (Istituto dell'Enciclopedia Italiania, Piazza della Enciclopedia Italiana, 4) (locandina). 'NOIDONNE' ha chiesto a due protagoniste dell'iniziativa, Giovanna Koch (WGI – Writers Guild Italia) ed Elisabetta Flumeri (Ewwa- European Writing Womenassociation) - di spiegare da cosa nasce l'incontro e quali sono gli obiettivi. (Programma)
Come nasce l'incontro del 3 dicembre e la collaborazione tra i soggetti che lo organizzano?
G. K. Ci conosciamo da tempo. Ewwa- European Writing Womenassociation e WGI – Writers Guild Italia sono associazioni entrambi giovani e dinamiche, con lo stesso obiettivo: combattere la dispersione del pensiero e fare squadra attorno ad alcuni temi comele tecniche e le condizioni della narrazione scritta e visiva, che si misura con un pubblico generalista. Per dirla in due parole, lo spazio della cultura pop. In occasione della giornata contro la violenza sulle donne, ci è sembrato che questo tema offrisse la possibilità di realizzare un evento intorno al quale coagulare le nostre esperienze e dal quale far partire una serie di incontri per una riflessione più ampia sulla distanza tra il mondo reale e quello immaginario che alimentiamo con le nostre opere.
E. F. Durante il brainstorming è emersa l’immagine del giardino chiuso e proibito, presente in molte culture, nel quale i cosiddetti frutti della conoscenza venivano sorvegliati da un temibile guardiano. Il senso dei vari miti è noto: chi si ritiene responsabile dei destini del mondo tende a segregare la conoscenza. L’accusa rivolta alla fiction popolare, narrativa e televisiva, è la stessa: creare un’illusione paradisiaca priva di conoscenza, segregare i frutti della realtà lontano dai lettori/ spettatori. È proprio così? Esiste Il giardino della fiction? È vero che il pubblico generalista viene messo di fronte a uno specchio deformante, che la realtà italiana non viene sufficientemente raccontata? Oppure il guardiano ha mollato la presa e la narrazione fa man bassa della realtà? Ci è sembrato interessante cercare una risposta attraverso due panel e un workshop.
Come sono organizzati gli interventi della giornata?
G. K.Panel e workshop seguono un medesimo fil rouge: finzione e realtà a confronto. Nel primo panel, per la voce della realtà, Linda Laura Sabbadini, pioniera delle statistiche di genere, ci farà un quadro della situazione attuale, portando i dati sulla violenza sulle donne in Italia e le tecniche necessarie per farla emergere. Per la voce della narrazione, Francesca Romana Massaro, sceneggiatrice e avvocata, porterà in campo un clamoroso caso di censura televisiva, raccontato ne “L’età d’oro. Il caso Veronique”. Luciana Capretti, giornalista Rai e scrittrice, è riuscita invece ad affrontare nel suo romanzo “Tevere” il difficile tema delle violenze messe in atto dai partigiani nei confronti delle ‘collaborazioniste’, mentre la scrittrice Federica D’Ascani con “Cristallo” si è avventuratanel difficile mondo della violenza psicologica in un rapporto ‘d’amore’. Nel secondo panel, ci si chiede se il famoso soffitto di cristallo che impedisce alle donne di emergere con pienezza è ancora in piedi. La voce della realtà è affidata a Marina Salamon, Presidente della Doxa, che misurerà attraverso i dati il livello di evoluzione della donna in Italia, mentre per la rappresentazione della figura femminile nella fiction parlerà Milly Buonanno, fondatrice dell’OFI - Osservatorio sulla Fiction Italiana. Vinicio Canton (WGI) presenterà infine i risultati di un sondaggio congiunto WGI/EWWA su comee quanto sceneggiatori e scrittori hanno raccontato il tema della violenza sulla donna. Modererà il dibattito, alternando funzione maieutica e di pungolo, Giovanna Reanda, giornalista di Radio Radicale.
E. F. Il workshop del pomeriggio metterà a confronto fiction e realtà: le esperte – Giovanna Petrocca, dirigente della Polizia di Stato; Maria Koch, assistente sociale; Marina Marino, avvocata e Anna Segre, psichiatra – saranno sollecitate a intervenire in prima persona nel percorso narrativo di tre storie di violenza, costruite ad hoc col duplice scopo distimolo per nuove forme di narrazione ‘informata’, da un lato e, dall’altro, di consapevolezza di come e quanto le istituzioni entrino nelle situazioni di violenza, offrano soluzioni e tutela o siano ancora esse stesse vittime di pregiudizi e luoghi comuni. Ad Alfonso Cometti, capostruttura di Mediaset, è affidato il delicato e simbolico compito di guardiano della fiction: quali storie potranno entrare nel giardino e quali no? La giornata si chiuderà con la presentazione di due antologie di racconti il cui ricavato verrà devoluto a tre centri antiviolenza del Lazio e dell’Abruzzo.
Come e quanto il racconto televisivo e la narrazione scritta della violenza influenzano la dimensione culturale?
G. K. Si potrebbe chiedere il contrario: come e quanto il clima culturale influenza il racconto televisivo? La modesta e pretestuosa polemica di alcuni parlamentari contro la serie di RAI DUE Rocco Schiavone indica proprio questo: che in Italia si affida alla fiction uno strapotere di informazione e di orientamento, dunque si vorrebbe esercitare e si esercita da decenni un controllo su quanto va in onda. È una giustificazione reale, c’è un potere effettivo? Certo, da quando è nata, la televisione è stata concepita come la voce della verità, come un pulpito dal quale predicare, informare, insegnare e lo scontro è diventato duro negli anni Ottanta. Poi è arrivata internet e sembra che qualcosa sia cambiato. Quello che sappiamo è che tutti noi che scriviamo televisione cerchiamo, nonostante tutto, di aggiornare continuamente temi, personaggi e situazioni a quello che accade. La paura di sbagliare o influenzare troppo non aiuta un prodotto (e neanche un Paese) a crescere. Quando si chiese alla BBC, anni fa, con che coraggioera stata messa in onda una serie difficile e a rischio turbamento dei minori come Shameless in prima serata, la risposta fu che il telespettatore era dotato di telecomando e che i bambini avevano dei genitori: se non fosse andato bene, si poteva passare ad altro. Impensabile in Italia, eh?
E. F. Per quanto riguarda la narrazione scritta il discorso è diverso. Abbiamo senz’altro meno vincoli, quindi la possibilità di trasmettere con una maggiore libertà il messaggio e la facoltà di scegliere in che modo farlo. È più facile uscire dal mainstream con un romanzo piuttosto che con una fiction, non solo perché esistono tanti editori di nicchia maperché, nel caso di feedback negativo da parte degli editori, si può ricorrere a un metodo sempre più utilizzato, l’autopubblicazione, supportata dalla promozione e dalla diffusione attraverso i social network.
Ma va anche detto che l’influenza esercitata da un romanzo è decisamente inferiore rispetto a quella di un film tv o di una serie, che ha un impatto più forte e una capacità di raggiungere il pubblico molto più capillare. Esiste però un fenomeno editoriale di cui non possiamo non tener conto: il cosiddetto “dark romance”, storie in cui le protagoniste vengono sottoposte a ogni sorta di violenza da parte di un aguzzino che poi, inevitabilmente, riusciranno a redimere e che le amerà, in un riproposizione estrema del modello “io ti salverò”. Si tratta di un fenomeno inquietante, che guadagna un pubblico sempre più vasto soprattutto fra le giovanissime e che indubbiamente pone delle domande ineludibili sulla responsabilità di presentare modelli di comportamento maschile e femminileinaccettabili e pericolosi per l’impatto che possono avere su persone giovani e più facilmente influenzabili.
Pensate che possa essere in qualche modo 'codificato' un linguaggio corretto e capace di orientare una reale condanna dei comportamenti violenti e, in particolar modo, della violenza sessista?
E. F. Dovremmo senz’altro rifletterci e collaborare in questo senso. Ma l’impegno non deve essere solo di chi scrive e propone storie, bensì anche dei network e degli editori. Dobbiamo acquisire la consapevolezza che spesso, magari in buona fede, continuiamoa veicolareimmagini, concetti e linguaggi che risentono di stereotipi e luoghi comuniche perpetuano l’immagine manichea della donna come vittima o provocatrice, santa o puttana.
G. K.:Esiste un codice per la pubblicità, ad esempio, ma la censura o un protocollo non sono mai i benvenuti. In un certo senso un film scontato, arido e banale che appiattisce la mente potrebbe essere considerato più violento di un film violento. E allora come combattere i pericoli? È come nella vita: se ci si chiude in casa, si muore. Se spariamo, veniamo sparati. Non ci si garantisce da una violenza indossando un burqua. Al contrario, l’unica vera difesa è la molteplicità dei punti di vista, la tolleranza della diversità, lo smantellamento della rigidità ideologica, l’ironia, la libertà di movimento e di pensiero. “NOIDONNE” lo sa bene, no?
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