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La violenza strutturale dell’aborto secondo il ministro Gallardón

La violenza strutturale dell’aborto secondo il ministro Gallardón

Spagna - Per il ministro spagnolo Alberto Ruiz-Gallardón cambiare la legge sull’aborto è il principale obiettivo

Emanuela Borzacchiello e Valeria Galanti Domenica, 14/04/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2013

Un anno fa, pochi giorni dopo la sua nomina a Ministro della Giustizia, lo aveva annunciato: “cambieremo la legge sull’aborto”. Alberto Ruiz-Gallardón, uno degli uomini di punta del governo di destra di Mariano Rajoi (Partido Popular), dichiara uno dei principali obiettivi del suo mandato, senza rendere nota la tempistica nel bel mezzo della crisi economica spagnola più dura dalla fine del secondo conflitto mondiale.

Tra un picco e l’altro della crisi economica, in questi mesi il ministro ha saputo trovare i momenti giusti per annunciare le proposte di revisione della legge. Un gioco comunicativo di pietruzze tirate, “la nuova legge si ispirerà alla difesa del diritto alla vita”, mentre si varavano le misure di austerity più pesanti ed era fondamentale assicurarsi l’appoggio della parte più conservatrice del paese. E mani nascoste, “non intendo cambiare la legge. Credo, però, che ci siano due o tre cose da modificare”, quando le e gli indignate-i manifestavano con più forza contro i tagli alla spesa pubblica.

Con il passar dei mesi il ministro punta sul cambio di linguaggio, su una modalità comunicativa in grado di modificare la visione dell’aborto. Lo fa riprendendo istanze e parole proprie del movimento femminista spagnolo, di associazioni e ONG per difendere i diritti sessuali e riproduttivi delle donne. Ruiz-Gallardón afferma che nessuna donna dovrebbe essere obbligata a rinunciare alla maternità a causa di problemi familiari, lavorativi o sociali, e chiarisce: “il legislatore non deve rimanere indifferente alla situazione di molte donne, che vedono violentato il loro diritto ad essere madri a causa della pressione esercitata da determinate strutture, che la rendono responsabile unica, in caso di una gravidanza, di conflitti o situazioni problematiche. Si generano, così, situazioni di violenza strutturale contro le donne, solo perché incinte. Noi difenderemo il diritto della donna alla dignità, difendendo uno dei suoi valori fondamentali: il diritto alla maternità”.

Il ministro si appropria di una delle rivendicazioni storiche dei movimenti delle donne: la difficoltà di conciliare lavoro e famiglia, svuotando di significato la definizione di “violenza strutturale”, invertendo la relazione di causa ed effetto e confondendo chi provoca la violenza con chi la subisce. Parole vecchie - la donna che ha come unico desiderio quello della maternità - ma con un vestito nuovo, efficace perché in grado di premere sulla leva emotiva della precarietà lavorativa. Una strategia comunicativa che prepara il terreno e affila le ragioni per raggiungere l’obiettivo reale del discorso: la modifica sostanziale della legge sull’aborto.

Ruiz-Gallardón, per far in modo che le donne non siano “obbligate” ad abortire in una società che non fornisce loro gli strumenti per scegliere, si impegna a promuovere “l’inserimento lavorativo, la formazione, assicurare garanzie per conciliare la vita familiare e lavorativa”. E aggiunge: “le amministrazioni cercheranno di stare molto vicine sopratutto alle minorenni, alle migranti e alle donne con problemi di handicap”.

Per stare molto vicini alle minorenni, la prima proposta è eliminare l’articolo della legge del 2010 che prevede il loro obbligo di dimostrare di aver informato i genitori, salvo nel caso questo provochi un grave conflitto per la minorenne stessa. Secondo i dati più recenti, in più del 13% dei casi donne fra i 16 e i 18 anni hanno fatto ricorso alla possibilità prevista di proteggere la propria intimità. La nuova riforma sanitaria chiama invece in causa le migranti. Chi è senza permesso di soggiorno, non avrà più diritto ad accedere gratuitamente ai servizi del sistema sanitario nazionale, eccetto le donne in gravidanza, ma solo al momento del parto. La riforma sanitaria spagnola è la prima in Europa ad essere definita da Amnesty International “lesiva dei diritti umani”.

Ancora più recente la preoccupazione del ministro per il tema della disabilità. Gallardón intende eliminare la possibilità di ricorrere all’aborto in caso di grave malformazione del feto. Propone un’interpretazione distorta del principio di non discriminazione previsto dalla Convenzione ONU per i Diritti delle Persone con Disabilità e strumentalizza una raccomandazione inviata alla Spagna dal Comitato ONU nel 2010. Il Comitato invita ad eliminare dalla legge la differenziazione dei termini previsti per abortire in caso di malformazione del feto (22 settimane invece di 14), per equiparare i diritti di tutte le persone (con o senza disabilità), Gallardón ne forza il contenuto al punto di trasformarla in una dichiarazione dell’ONU contro la legge sull’aborto.

Dimentica Gallardón che un più recente rapporto del Comitato per i Diritti Economici, Sociali e Culturali dell’ONU (maggio 2012) non ha tralasciato di richiamare la Spagna per l’inadeguata applicazione della Legge per la Salute Sessuale e Riproduttiva. Il che esclude, chiaramente, ogni possibilità di fraintendimento della posizione adottata dall’organismo internazionale.

Sommerso dagli scandali per corruzione e incapace di varare riforme in grado di attenuare gli effetti devastanti della crisi, il Partido Popular indietreggia. E così ormai, nel 2013, Gallardón non ha ancora presentato concretamente nessun progetto di modifica della legge sull’interruzione di gravidanza. Ma se tempo e contesto sociale non lo permettono, c'è il vecchio asso nella manica: non è necessario mutilare la legge, si accerchia e se ne ostacola l’applicazione. Innanzitutto, si accerchia. Il Comitato Nazionale di Bioetica spagnolo è stato totalmente rinnovato per il 2013. Sette dei suoi nuovi dodici membri si sono sempre proclamati contrari all'aborto in qualsiasi caso, altri tre sono favorevoli, ma solo in alcuni casi. Ne restano due. In teoria, la metà dei membri del Comitato si rinnova ogni quattro anni, in modo che nessuno possa rimanere in carica per più di sei anni. Nell'ottobre del 2012, a quattro anni dall’inizio del mandato, il Ministero della Salute procede alla sostituzione della totalità dei membri del Comitato.

Dopo aver preparato il terreno e affilato le ragioni, hanno accerchiato la legge. I movimenti delle donne, le ONG e le rappresentati di molte associazioni non rimangono immobili, continuano a denunciare la mancata applicazione della legge, le minacce della sua mutilazione e la mancanza di un terreno di dialogo, per un confronto sereno e decisivo con le istituzioni. Gli aggiornamenti non mancheranno.



Obiezione di coscienza e aborto: il caso spagnolo

Fino a due anni fa la Spagna non aveva previsto nessun regolamento per l’esercizio dell’obiezione di coscienza rispetto all’interruzione volontaria della gravidanza. L’articolo 19 comma 2 della Legge2 del 2010 colma questa lacuna, escludendo dalla possibilità di esercitare l’OdC il personale sanitario non direttamente coinvolto nella prestazione del servizio garantito dalla Legge per la Salute Sessuale e Riproduttiva. I medici spagnoli possono invece ricorrere all’OdC presentando alle strutture presso le quali esercitano la propria professione, previamente ed in forma scritta, un documento in cui esplicitano la propria volontà di obiettare. Negli anni Ottanta si produce quello che è stato definito un big-bang giuridico, emergono in modo dirompente i problemi implicati nelle questioni relative alla bioetica. In una sentenza dell’11 aprile 1985, il Tribunal Constitucional indicava il diritto all’obiezione di coscienza come parte del diritto fondamentale alla libertà ideologica e religiosa, riconosciuta all’articolo 16 della Costituzione. Il 1985 è anche l’anno in cui viene varata la legge che depenalizza l’aborto che, però, omette qualsiasi indicazione rispetto alla regolazione dell’esercizio dell’OdC. Tale mancanza creò situazioni di difficile gestione. Medici e personale sanitario obiettavano in percentuali altissime. Come conseguenza, dal 1985 al 2010, solo il 2% degli aborti vengono praticati in strutture pubbliche. Già nel 2009 il Comitato spagnolo di bioetica afferma la necessità di “regolare l’obiezione di coscienza rispetto all’aborto, affinché sia il servizio sanitario pubblico a garantire, in qualsiasi caso, assistenza alle donne”. L’anno dopo l’approvazione della Legge Organica 2/2010, il Comitato di bioetica pubblica la “Opinión del Comité de bioética de España sobre la objeción de conciencia en sanidad”. Il documento pone enfasi sull’importanza della coerenza nell’obiezione: “non sarà giudicato coerente obiettare nel sistema pubblico e non farlo nel privato”, in modo da scoraggiare scelte opportunistiche, e aggiunge che ogni struttura sanitaria ha il compito di monitorare costantemente il numero dei medici obiettori, in modo da poter gestire eventuali carenze di personale. Tanto il compimento della legge, come l’obiezione ad essa, devono realizzarsi responsabilmente, per garantire in ogni caso la prestazione di servizi previsti. Ancora oggi le raccomandazioni del Comitato di bioetica continuano ad essere ignorate. Il rapporto del Comitato dell’ONU del maggio 2012 sull’applicazione del Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, denuncia “le difficoltà delle donne spagnole ad accedere all’aborto secondo quanto previsto dalla Ley Orgánica", e precisa:"nella maggior parte delle comunità autonome, ostacoli burocratici e tempistiche obbligano le donne a rivolgersi alle cliniche private”. L’ONU raccomanda alla Spagna “di garantire un accesso equo alla IVG, e assicurare che l’esercizio dell’obiezione di coscienza da parte dei membri del personale sanitario, non costituisca un ostacolo per le donne che vogliano esercitare il proprio diritto di scelta riguardo la gravidanza”. Se il tentativo fatto in Spagna rimane ancora, nella pratica, largamente ignorato, in Italia si continua a ignorare il problema stesso, consentendo all’OdC di schiacciare i diritti riproduttivi delle donne.

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