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La violenza è maschile e senza confini

La violenza è maschile e senza confini

Manifestazione nazionale/7 - Le 150.000 donne hanno manifestato a Roma per chiedere ‘lucidità e consapevolezza’ agli uomini e alle istituzioni. Il percorso tracciato è politico e il prossimo passaggio è l’assemblea nazionale del 12 gennaio

Roberta Corbo Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2008

Oltre 14 milioni di donne nel nostro paese hanno subito violenza fisica o psicologica e, come tutti gli ultimi dati confermano, per la quasi totalità dei casi arriva dal partner. La casa, la famiglia, si riconfermano come il luogo centrale del riaffermarsi drammatico del nesso fra violenza e affetti; un nesso ambiguo che porta spesso ancora alla rimozione, al mancato riconoscimento della violenza da parte di tante, troppe donne; nel 90% dei casi, non a caso quando la denuncia non è supportata dall’azione psicologica, oltre che legale, dei centri antiviolenza, non si arriva fino in fondo e la denuncia, quando si ha la forza di procedere, viene ritirata.
E’ di questo che parlava la grande manifestazione del 24 novembre, all’indomani del terribile omicidio di Giovanna Reggiani. Un nuovo protagonismo politico di donne che, consapevoli della complessità del nodo violenza-affetti familiari, erano lì per dire, senza nessun vittimismo, che la violenza degli uomini contro le donne non è un problema di ordine pubblico, non riguarda la sicurezza per le strade bensì quel luogo intricato che è la famiglia. Le donne che hanno aperto la manifestazione con lo striscione “la violenza degli uomini contro le donne comincia in famiglia e non ha confini” hanno chiesto molto di più di una dichiarazione di estraneità agli uomini, molto di più che solidarietà e risposte emergenziali alle istituzioni, perché molto hanno chiesto, nei loro percorsi e nelle loro pratiche politiche, nelle riflessioni di tutti questi anni, a loro stesse: hanno chiesto lucidità di analisi, la consapevolezza che nessuno e nessuna possa tirarsi fuori agevolmente da modelli comportamentali che costruiscono il rapporto fra i sessi, comprendendo gerarchie di valori che si sottoscrivono ancora troppo ‘naturalmente’.
Il problema della violenza è maschile e come tale va nominato, hanno dichiarato le 150.000 donne provenienti da tutta Italia: collettivi femministi, centri antiviolenza, associazioni di donne native e migranti, adolescenti ed anziane, un corteo aperto dalle danze di giovani rom che erano lì per spezzare il tabù dello scontro fra culture ed etnie e dire, insieme a tutte le altre, che la violenza maschile è una sola e non ha confini, come dichiarava, appunto, lo striscione di apertura.
Nessuna impolitica, dunque, e nessuna femminilizzazione del ‘grillismo’, come è stato piuttosto banalmente tradotto da alcune giornaliste; così come nessuna vittimizzazione in nome della quale si sarebbe dato vita ad un generico ritrovarsi di tutte le donne, accomunate dall’etichetta di probabili vittima.
Con quella manifestazione le donne hanno inteso mostrare, al contrario, un percorso politico netto e senza ambiguità, un protagonismo che ha rifiutato, per la sua radicalità, di essere rappresentato da espressioni che avrebbero potuto indulgere proprio al vittimismo; espressioni come ‘femminicidio’, cariche pure di una lunga storia (il massacro impunito, negli ultimi anni, di centinaia di donne nella zona di confine messicana di Città Juarez) e di una valenza per questo assolutamente politica, sembrava a tante di noi, tuttavia, che ancora nominasse la vittima e non l’autore della violenza. Per questo il termine ‘femminicidio’ ha lasciato il posto alla nominazione della violenza maschile; è per questo che crediamo che campagne di prevenzione vadano indirizzate anche agli uomini e non debbano vedere, ancora, immagini di donne pestate e ridotte in fin di vita. Le donne sanno cos’è la violenza senza doversi identificare in quel modello; ma c’è il coraggio di rappresentare adeguatamente il soggetto maschile senza che questo significhi, ancora una volta, la caratterizzazione di una presunta marginalità sociale come causa di comportamenti violenti? Una marginalità che è disattesa da tutti i dati ma è ancora una lettura confortante, per molti uomini ma anche per molte donne, che neutralizza il conflitto presente in ogni rapporto e lo espelle da sé, relegandolo al di fuori della propria esperienza nella sola drammatizzazione della violenza più efferata.
Le donne scese in piazza il 24 novembre hanno incrociato i loro differenti percorsi politici sulla mediazione di questa consapevolezza e intendono proseguire il confronto: l’appuntamento è l’assemblea nazionale del 12 gennaio alla Casa Internazionale delle Donne di Roma.

(8 gennaio 2008)

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