Emilia Romagna - Il 25 novembre è la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne: uno strumento aggiuntivo per poter riflettere insieme e combattere il fenomeno
Martedi, 10/11/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2009
“Il 25 novembre è la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Abbiamo ritenuto doveroso offrire uno spunto di riflessione su ciò che la Regione Emilia-Romagna fa per combattere questa terribile esperienza che colpisce molte donne. Il Servizio Politiche per la sicurezza e la Polizia locale della Regione ha presentato una ricerca su questo tema che deve riguardare non solo l’universo femminile ma l’intera comunità, cercando di cogliere meglio il manifestarsi del fenomeno nella Regione Emilia–Romagna. Vi presentiamo quindi un abstract della ricerca che verrà pubblicata nei Quaderni di Città Sicure, al fine di proporvi uno strumento aggiuntivo per poter riflettere insieme e combattere il fenomeno”.
Laura Salsi e Gabriella Ercolini
Ragionare sul tema della violenza alle donne è questione molto complessa, per varie ragioni. In primo luogo, la conoscenza del fenomeno è limitata, perché non sono certo le fonti ufficiali, cioè le denunce alla polizia, a darci informazioni attendibili sulla realtà di questi comportamenti. In secondo luogo, il dibattito pubblico sul tema è spesso dominato dall’idea, decisamente, se non scorretta, parziale, che la violenza sulle donne sia legata alla minaccia esterna da parte di sconosciuti.
Negli ultimi anni, tuttavia, anche in Italia abbiamo la possibilità di attingere ad informazioni più attendibili e per la prima volta si cominciano a sperimentare strategie di prevenzione più articolate.
Nella Regione Emilia–Romagna esiste comunque, da vario tempo, una attenzione a questo tema, che si è espressa principalmente in una politica attiva di sostegno ai centri antiviolenza e che ha consentito di creare una rete consolidata ed efficiente di interventi a sostegno delle donne che subiscono forme diverse di violenza.
Abbiamo fatto, in questa regione, anche molti passi avanti nella conoscenza del fenomeno, soprattutto grazie alla ricerca che l’ISTAT ha condotto nel 2006, interamente dedicata al fenomeno della violenza contro le donne.
Sono state intervistate, con una tecnica molto accurata e seguendo gli standard internazionali di ricerca su questi temi, 25.000 donne con un’età compresa tra i 16 e i 70 anni, chiamate a rispondere su una serie di quesiti con l’obiettivo di conoscere la diffusione, le caratteristiche e il livello di denuncia di alcune forme della violenza di genere in Italia. Per la prima volta sono state ricostruite e definite forme di violenza nascoste, come la violenza psicologica. Dal punto di vista della ricerca, la disponibilità di questi dati è una occasione straordinaria per conoscere meglio il problema e, di conseguenza, per impostare politiche più idonee ai reali bisogni delle donne.
Proprio perché condotta in modo così accurato, questa ricerca fa emergere il fenomeno in maniera assai più eclatante – e complessa - di quanto non avvenga con altre rilevazioni In Italia, circa una donna su tre nella fascia d’età considerata ha subito nel corso della violenza una violenza fisica o sessuale. Molte donne subiscono ripetutamente queste violenze (spesso entrambe le tipologie). La ricerca dimostra anche come il fenomeno sia ancora largamente sommerso, perché, oltre ad denunciare raramente (nonostante la percentuale di denunce di violenza sessuale sia passata dal 5% del 1996 al 17% del 2005) le donne non parlano volentieri di quanto è loro accaduto, neppure con persone amiche. L’indagine conferma un elemento già noto nella letteratura internazionale sul tema e documentato in numerose altre indagini dello stesso tipo in altri paesi: gli autori delle violenze sono spesso persone conosciute dalle donne o addirittura familiari, molto raramente sono sconosciuti. La violenza fisica e psicologica è commessa abitualmente dai partner o ex partner, le molestie sessuali in misura assai maggiore da sconosciuti, e la violenza sessuale, invece, molto spesso da conoscenti e amici.
Emerge con chiarezza che nella nostra regione le donne dichiarano – e percepiscono come violenza – un numero maggiore di comportamenti maschili, e che la nostra regione è una di quelle, insieme a Trentino Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia dove il tasso medio di denuncia dal 1996 al 2006 è il più elevato rispetto alla media nazionale. Le donne che dichiarano di essere state vittime di violenza fisica in Emilia Romagna sono una su quattro (23,1%) ; due terzi lo sono state più volte (62,4%).
La violenza è più probabile quando c’è un conflitto tra l’uomo e la donna, che coincide spesso con la fine della loro relazione. Gli autori principali e allo stesso tempo più recidivi sono infatti gli ex fidanzati, ex mariti o ex conviventi. La ricerca conferma anche come il luogo dove solitamente si consumano le violenze sia la casa.
Ecco allora che emerge come la violenza di genere sia un “continuum” che attraversa prima di tutto le relazioni di genere, soprattutto quando queste relazioni diventano conflittuali e la relazione affettiva si interrompe, per estendersi alle relazioni amicali, alle conoscenze, fino alla violenza (in questo caso molestia verbale o fisica o stupro vero e proprio) nello spazio pubblico ad opera di estranei, che è, pur nella sua drammatica gravità, un evento assai meno frequente della violenza in casa o in altro luogo familiare tra persone che hanno qualche forma di relazione.
Abbiamo alcune ipotesi per spiegare questa maggiore diffusione del fenomeno nella nostra regione ( e, in generale, in tutte le regioni del Nord Italia, più il Lazio) e le abbiamo verificate incrociando i risultati con alcune variabili regionali: i tassi di separazione, il livello di istruzione, il tasso di occupazione femminile, la percentuale di donne che vivono sole, il numero di donne che ha uno stile di vita dinamico e che si prende cura di sé (ricostruito attraverso la percentuale di donne che dichiarano di fare sport nel tempo libero). Esiste una forte relazione, in Emilia – Romagna e anche in altre regioni, tra queste variabili e la dichiarazione di vittimizzazione.
Possiamo quindi ragionevolmente ipotizzare che più le donne sono consapevoli, istruite, hanno uno stile di vita improntato all’autonomia personale e vivono più spesso in situazioni di conflitto con ex partner, più corrono il rischio di affrontare una esperienza di violenza.
C’è poi un importante aspetto culturale, logica conseguenza di questa maggiore autonomia e consapevolezza: le donne dell’Emilia–Romagna sono culturalmente pronte a definire come violenza comportamenti - di tipo fisico e psicologico - che in altri contesti culturali verrebbero invece probabilmente definiti come altro, e accettati come una dinamica “normale” della vita di coppia. E, come è noto, la sensibilità alla violenza, la capacità di riconoscerla e definirla come tale è un segno di civilizzazione dei costumi, oltre che, come si diceva, nel caso specifico è anche segno di una maggiore autonomia e libertà di comportamenti.
In un quadro di questo genere, diventa evidente come una risposta meramente sanzionatoria attraverso lo strumento penale, o centrata tutta sulla protezione della “vittima” nello spazio pubblico da aggressioni di estranei sia largamente insufficiente e inadeguata. Il cuore del problema sta nel conflitto di genere, conflitto che si acuisce in condizioni di maggiore indipendenza e autonomia delle donne, di cui le varie forme di violenza sono una manifestazione estrema, ma ampiamente diffusa nell’esperienza di vita di molte donne. Crediamo sia da questo dato che si dovrebbe partire per impostare politiche di prevenzione centrate sulla responsabilizzazione degli autori e sul sostegno alle donne non nell’ottica della tutela, ma della estensione delle loro libertà a vivere serenamente sia nello spazio pubblico che in quello privato.
Per questo motivo, da alcuni anni la Regione Emilia–Romagna ha affiancato alla consolidata attività di sostegno ai centri antiviolenza alcuni progetti più sperimentali, legati alla prevenzione precoce – campagne di educazione al rispetto della differenza dalla scuola materna alla scuola dell’obbligo, interventi sull’ adolescenza, secondo una logica che è quella di prevenire nei giovanissimi la diffusione di questi comportamenti, educare gli uomini al rispetto della differenza sessuale, continuare a intervenire nel momento dell’emergenza (ricordiamo qui anche la diffusione di programmi formativi delle polizie municipali per l’accoglienza alle donne che subiscono violenza).
La soluzione è ampliare gli spazi di libertà e di autonomia delle donne, educare i maschi a rispettarle, sostenere le coppie nelle fasi di separazione e così via. Per questo le nostre politiche vanno ripensate in una dimensione molto più ampia, che sia in grado di affrontare questi diversi aspetti. In attesa che anche il sistema penale, nell’ambito delle sue competenze, si attrezzi meglio ad intervenire sugli autori e programmare, per esempio, interventi di recupero, anche in ambiente carcerario, degli uomini violenti, che a tutt’oggi, sono nel nostro paese esperienze ancora molto ridotte.
Rosella Selmini
Responsabile servizio Politiche per la sicurezza e Polizia locale - Regione Emilia Romagna
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