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LA VIOLENZA CONTRO LE DONNE È UN FATTO CULTURALE

LA VIOLENZA CONTRO LE DONNE È UN FATTO CULTURALE

D.i.R.e. “Donne in Rete contro la violenza”, Intervista a Titti Carrano

Lunedi, 21/11/2011 -
I centri antiviolenza sul territorio italiano svolgono un ruolo fondamentale nella prevenzione e nelle situazioni di violenza in cui si rende necessaria una protezione della vittima. Titti Carrano, avvocata, è presidente di D.i.R.e. “Donne in Rete contro la violenza”, la prima associazione italiana a carattere nazionale che riunisce centri antiviolenza non istituzionali e gestiti da associazioni di donne e che affronta il tema della violenza maschile sulle donne secondo l’ottica della differenza di genere, collocando le radici di tale violenza nella storica, ma ancora attuale, disparità di potere tra uomini e donne nei diversi ambiti sociali.

Allo scopo di costruire una azione politica nazionale che promuova azioni volte ad innescare un cambiamento culturale di trasformazione della società italiana nei riguardi del fenomeno della violenza maschile sulle donne D.i.R.e. raccoglie 58 Centri Antiviolenza e le Case delle Donne che in vent’anni di attività hanno dato voce, sul territorio nazionale, a saperi e studi sul tema della violenza alle donne, supportando migliaia di donne ad uscire insieme ai propri figli/e dalla violenza e a conquistare la libertà.

In occasione del 25 novembre abbiamo intervistato la Presidente Titti Carrano sulla situazione dei centri e le prospettive.



Come D.i.R.e. avete lanciato un allarme per il rischio di chiusura di alcuni Centri antiviolenza a causa dei tagli al welfare. Dall’ex governo erano stati promessi fondi per un valore complessivo di 10 milioni di euro per il sostegno ai centri antiviolenza. Quale è attualmente la situazione? Quali le criticità?


Molti centri antiviolenza vivono in difficoltà economiche gravissime: i centri chiudono sia al nord che al sud, l’uno dopo l’altro, a causa dei tagli e dell’indifferenza degli enti locali e a causa di una cultura che non riesce ancora a valutare la gravità del fenomeno. Non c’è una equa distribuzione di centri antiviolenza sul tutto il territorio nazionale: alcune regioni non ne hanno e nella maggioranza ce ne sono pochissimi.

I finanziamenti promessi dall’ex Ministra Carfagna sono stati effettivamente stanziati per un ammontare complessivo di 10 milioni di euro, nasceranno nuovi centri antiviolenza e saranno potenziati quelli già esistenti.

Questo importante finanziamento darà, quindi, la possibilità di lavorare ancora per un po’ ma non è sufficiente, servono misure efficaci da parte degli enti locali volte ad assicurare finanziamenti costanti nel tempo per garantire il funzionamento e l’apertura di nuovi centri ed aumentarne così il numero.

Si è svolta a Roma l’11, 12 e 13 ottobre 2011 l’annuale Conferenza internazionale di Wave (Women Against Violence Europe), per la prima volta in Italia, organizzata dall’associazione nazionale D.I.Re (Donne in rete contro la violenza) con la presenza di 450 donne esperte di violenza di genere e provenienti da 40 paesi e non solo europei. Dal confronto dei dati sulla violenza di genere esposti dalle diverse organizzazioni è emersa per i Centri antiviolenza in Italia la necessità di un investimento economico costante da parte delle istituzione e degli enti locali. I finanziamenti sono insufficienti rispetto alle richieste di aiuto che i centri antiviolenza ricevono. Basti pensare che l’Italia registra una grave carenza di posti letto per donne in situazioni di emergenza a causa della violenza: una raccomandazione del Consiglio d'Europa stabilisce che ogni Paese debba garantire un posto letto ogni 10 mila abitanti, ebbene in Italia sono disponibili solo 500 posti letto per donne e bambini a fronte di una richiesta di oltre 5.700 posti letto.

Dunque, la carenza è grave. La situazione italiana è in contrasto con le raccomandazioni europee che sostengono il valore, il peso e l’indispensabilità dei centri antiviolenza. L'Unione europea da tempo conferisce carattere prioritario all’eliminazione della violenza contro le donne e tutte le sue azioni sono in una prospettiva di lungo periodo. Noi scontiamo un ritardo di politiche di genere enorme rispetto ad altri stati dell’Unione Europea. Siamo ben lontani dall’essere un paese all’avanguardia ha sostenuto finora l’ex Ministra Carfagna.



Il Piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking del Ministero delle Pari Opportunità è stato approvato nel 2010. Quale è il vostro giudizio su questo provvedimento?

Il Piano nazionale finalmente è stato approvato anche nel nostro Paese, l’Europa lo chiedeva ormai dal 2002 (Rec5/2002) e i Centri antiviolenza lo chiedevano da ancora più tempo. Il Piano nazionale approvato con Decreto Ministeriale l’11 novembre 2010 non ha suscitato però né interesse da parte della stampa nè nell’opinione pubblica, probabilmente per la consueta scarsa attenzione riservata a questo tema.

L’aspettativa dei centri antiviolenza e delle tantissime volontarie ed operatrici che ogni giorno sono impegnate a far riconoscere i diritti umani delle donne era alta e si sperava che, essendo state coinvolte e consultate, potessero essere recepite nel piano alcune istanze fondamentali. Ci si aspettava politiche e strategie nazionali coordinate in contrasto alla violenza ma finora il piano è rimasto un documento di buone intenzioni, insomma manca la concretezza delle azioni. Un punto per noi importante e che è rimasto senza risposta è di carattere culturale e attiene ai soggetti incaricati della realizzazione degli obiettivi che il piano si prefigge. Nel piano si individuano accanto ai centri antiviolenza altri “servizi di assistenza pubblici e privati, di protezione e reinserimento delle vittime”, definizione che nella prima bozza non era presente, così come non è presente una definizione dei centri antiviolenza.

Come sappiamo i centri antiviolenza sono luoghi gestiti da sole donne e sono nati con lo scopo esclusivo di aiutare le donne ad uscire dalla violenza attraverso percorsi individualizzati, affiancate da operatrici specializzate. Si tratta di un tipo di attività ben precisa che nasce dal convincimento che la violenza contro le donne è un fatto culturale tipico di una società patriarcale e che, investendo il piano delle relazioni tra i sessi, va affrontata con una particolare attenzione e un approccio di genere. Per tale motivo i centri antiviolenza in tutto il mondo non coincidono con qualsiasi altro modello di carattere assistenziale. L’apertura ad altri centri non ben identificati soggetti nell’accoglienza delle donne svilisce e disconosce il ruolo peculiare e unico dei centri antiviolenza.

Anche sul piano della prevenzione e della formazione del personale che viene in contatto con le donne che subiscono violenza il piano nazionale non indica con precisione chi deve formare gli operatori e le operatrici, formazione che dovrebbe invece essere svolta da chi ha raccolto in questi anni esperienza e conoscenza approfondita del fenomeno.

Il piano sottolinea la necessità di una mappatura e della messa in rete delle risorse del territorio, ignorando che i centri antiviolenza hanno creato un database utilizzato da 20 anni e si coordinano in una rete da altrettanti anni. Rete ora organizzata nella federazione D.I.Re - donne in rete contro la violenza - che ha già una struttura solida ed organizzata. Ma evidentemente si preferisce costruire organismi lontani dall’esperienza concreta delle donne, lontani dalla politica delle donne.



In Italia nei primi 9 mesi del 2011 c’è stato un incremento della violenza contro le donne. 1 donna uccisa ogni 3 giorni. Da gennaio a settembre 2011, con un aumento del 6% rispetto all’anno scorso. Malgrado le campagne portate avanti da associazioni, e anche a livello istituzionale, il fenomeno rimane molto rilevante e preoccupante. Quali sono le cause a suo parere? E’ possibile che abbia a che vedere con l’immagine distorta del corpo femminile che ci viene proposta e con la svalutazione delle competenze delle donne nei vari ambiti professionali?

In Italia le donne continuano ad essere uccise solo perché donne e si tratta di un fenomeno in costante aumento che nel giro di 5 anni registra un aumento del 26%. Sono dati allarmanti e sottostimati, perché anche per il feminicidio non esistono dati nazionali sul fenomeno, non conosciamo esattamente il numero di omicidi in cui la vittima è una donna, ed il numero di casi nei quali l’omicidio è stato preceduto da altri atti di violenza denunciati dalla donna o dall’applicazione di ordini di protezione, o da provvedimenti di separazione o divorzio.

Mentre in Francia e in Spagna lo Stato ha istituito un osservatorio speciale per il feminicidio, qui il Ministero degli Interni non ha mai avuto dati ufficiali. I dati finora riportati dall’ex Ministra Carfagna fanno riferimento ad omicidi come fenomeno criminale e non vi è una analisi qualitativa e quantitativa del dato legato al genere.

Le Nazioni Unite, nella risposta al rapporto ombra di Cedaw, al quale D.I.Re ha collaborato attivamente, hanno ammonito in maniera grave il governo italiano sul feminicidio e hanno chiesto di svolgere ricerche e azioni per fermare questi delitti.

Le cause del feminicidio sono profonde. Esso è una conseguenza estrema della violenza di genere in quanto totale controllo sulla donna, è anche l’estrema ratio di chi dice che del nostro corpo può disporre anche materialmente.

In Italia abbiamo assistito negli ultimi anni ad una mercificazione della donna. Il corpo della donna considerato oggetto di scambio e quindi privo di libertà e di diritti, è il terreno su cui si sviluppa la violenza contro il genere femminile.

Per lungo tempo esponenti politici e alte cariche istituzionali hanno utilizzato un linguaggio sessista, misogino, omofobo e stereotipato sia in dichiarazioni pubbliche che ai mass media. Queste frasi, questi stereotipi, contenuti nelle dichiarazioni di rappresentanti istituzionali, minano la posizione sociale della donna e peggiorano la sua immagine rendendola ancora più vulnerabile.

Anche il Comitato Cedaw, nelle sue conclusioni al rapporto del governo, ha espresso particolare preoccupazione per l’immagine della donna in Italia quale oggetto sessuale ed il ruolo stereotipato dell’uomo e della donna nella famiglia e nella società.



Riguardo alla violenza sulle donne spesso si dimentica che sono gli uomini ad essere i “protagonisti”. La violenza è un problema maschile e, a parte alcuni sporadici casi, gli uomini non si sentono direttamente chiamati in causa a discuterne. Come riuscire a far arrivare profondamente questo messaggio, come riuscire ad incidere culturalmente sul genere maschile?

Il problema della violenza sulle donne non è solo un problema delle donne ma anche un problema maschile ed è unicamente di carattere culturale e di educazione al rispetto della differenza.

I centri antiviolenza, in questo senso, rappresentano un laboratorio privilegiato per osservare e registrare i cambiamenti nelle relazioni di genere ed attuano campagne di educazione al rispetto della differenza nelle scuole con gli adolescenti, secondo una logica che è quella di prevenire nei giovanissimi la diffusione di comportamenti violenti e stereotipati. Il nostro impegno è costante per un cambiamento culturale affinché gli uomini comincino ad interrogarsi sul perché della violenza maschile e sul rispetto della differenza sessuale.



Il 25 novembre è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Quel giorno l’attenzione sarà centrata su questo fenomeno. Ma il resto dell’anno? Come agisce la sua associazione sul tema della prevenzione?

Il 25 novembre è una data simbolo, una data importante ma per noi è sempre 25 novembre. I centri aderenti a D.I.Re operano a livello socio-culturale per la prevenzione e la sensibilizzazione sul tema della violenza di genere anche attraverso reti internazionali.

I centri Antiviolenza oltre all’impegno quotidiano nell’accoglienza delle vittime, sono impegnate quotidianamente per un cambiamento sociale e culturale e promuovono campagne di prevenzione a tutti i livelli dalle scuole ai servizi socio sanitari, dalle forze dell’ordine alla magistratura, con l’obiettivo di sconfiggere la cultura della violenza maschile sulle donne in tutte le sue forme.

I centri antiviolenza sono quotidianamente impegnati perchè si conosca sempre più la violenza di genere nei suoi molteplici aspetti e perché ci siano politiche culturali che abbattano vecchi stereotipi e chiediamo alle istituzioni un passaggio importante: passare da proposte sporadiche e isolate di repressione della violenza ad un intervento globale della società contro la violenza di genere. L’approccio alla violenza di genere, quindi, non deve avere carattere di emergenza e considerata all’interno di provvedimenti di ordine pubblico, perché la violenza sulle donne non è un'emergenza.

Abbiamo chiesto all’ex Ministra Carfagna e continueremo a chiedere anche alla attuale Ministra, di farsi promotrice affinché si arrivi al più presto alla sottoscrizione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza nei confronti delle donne e sulla violenza domestica, firmata ad Istanbul da 13 paesi (ad oggi sottoscritta da 16 paesi) tra cui non figura l’Italia.

Gli 81 articoli della convenzione vogliono vincolare gli stati nell’armonizzare le leggi e le politiche in contrasto alla violenza e offrire alle donne vittime di violenza standard e servizi non troppo dissimili, come accade ora.

Si tratta di un primo strumento giuridicamente vincolante in Europa che determina una normativa precisa per combattere la violenza contro le donne tramite la prevenzione, la protezione, il supporto alle vittime di violenza e l’azione giudiziaria contro gli autori di reato.

 

(immagina tratta dal sito dell'associazione Dire)

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