Intervista a Emma Dante - Una casa in mezzo al deserto dove arriva lo straniero e il viaggiatore si ferma per rifocillarsi
Mirella Mascellino Lunedi, 03/05/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2010
Emma Dante, regista palermitana, apprezzata dalla critica internazionale, paradossalmente non ha un Teatro nella sua città. Il suo spazio artistico è la Vicarìa, teatro civile ma anche luogo pubblico, messo da lei a disposizione, in cui i cittadini si incontrano per denunciare, informare, proporre, riflettere, sognare e confrontarsi sui problemi che attanagliano Palermo.
Quale è il suo rapporto con la città, nei suoi aspetti sociali, culturali e politici?
Il mio rapporto con la città è teoricamente molto forte, conflittuale ma forte. Ho una grande attrazione per Palermo, ma nella pratica la nostra relazione è inesistente. La Vicarìa è un luogo svincolato da qualsiasi ufficialità e non è nemmeno frequentato da colleghi teatranti. Vengono i giovani, questo sì, si affidano alla ricerca del metodo che, insieme alla mia compagnia, facciamo frequentemente alla Vicaria. Quindi è una casa in mezzo al deserto dove arriva lo straniero, il viaggiatore si ferma per rifocillarsi, ma l’autoctono se ne guarda bene di avvicinarsi.
Un tempo i mecenati commissionavano opere da fruire sia privatamente che socialmente. Oggi i mecenati non esistono e gli artisti come lei si propongono come stimolo e mezzo per riflettere e fare per la città e la società in cui si vive e opera. Forse la forza di più artisti potrebbe essere più produttiva ed efficace della forza e dell’agire manchevole dei politici, sempre più distanti dalla vita reale e dalle persone. Cosa ne pensa?
Certo, se gli intellettuali e gli artisti di questa città si mettessero insieme per cercare di fare resistenza al pressappochismo di questa nostra epoca sarebbe meglio. Ma ciò non accade. Dimostrazione di questo è il fatto eclatante di una petizione popolare che è partita tempo fa da un gruppo di cittadini palermitani (per far chiarezza sulla gestione del Teatro Stabile della città di Palermo “Biondo” diretto da Pietro Carriglio da quasi trent’anni), alla quale hanno aderito poche centinaia di persone, la maggior parte delle quali non siciliane, con pochissimi teatranti palermitani anzi direi, a parte me e la mia compagnia, Davide Enia e qualcun altro, dei teatranti della città di Palermo non ha aderito nessuno. Per paura di compromettersi, credo. Ma la domanda che la petizione faceva (a cui non è mai stata data risposta) era più che legittima e non avrebbe dovuto creare paura o disagio nel sottoscriverla. Ma lo scambio del dare e avere a Palermo non segue parametri meritocratici, si basa essenzialmente su una base ricattatoria: se io ti do lavoro io ti sto facendo un favore e quindi non puoi parlare male di me, di me non puoi dubitare, e non devi chiedere niente.
La società attuale soffre di individualismo e di incapacità di relazionarsi e confrontarsi, penalizzando spesso l’agire collettivo e il bene comune. Quale è il suo rapporto con gli artisti di Palermo? C’è dialogo? C’è confronto e voglia di stare insieme per agire e vivere la città nei suoi vari aspetti?
Non c’è dialogo tra gli artisti e gli intellettuali di questa città. Ho invece una grande passione, ricambiata, e fiducia nei giovanissimi che mostrano curiosità e umiltà. Perché l’altro problema dei palermitani è l’arroganza e la presunzione. Negli artisti questi difetti sono elevati all’ennesima potenza, si sentono tutti migliori degli altri e non c’è quindi confronto, non c’è scambio e quando uno ce la fa ad arrivare ad un gradino più alto è subito uno di cui sospettare, non viene coccolato dai suoi compaesani, non è motivo di orgoglio, la domanda che si fanno è: “chissà che ha fatto per arrivare dove è arrivato! Perché se no, non si spiegherebbe picchì iddu si e io no. Che ho io in meno di lui?”. Questi purtroppo sono, nella maggioranza dei casi, i termini del ragionamento.
Lei ha girato il mondo, il suo genio è apprezzato all’estero: credo che la sua comprensione della città e della società palermitana e italiana possano essere più chiare dalla prospettiva cosmopolita che lei possiede. Come le vede?
Io non ho una chiara comprensione della società palermitana nella quale ho deciso di continuare a vivere. La sto scrutando, l’osservo, l’analizzo perché mi serve per superare quel sentimento un po’ simile alla morte di cui parla Tomasi di Lampedusa. Io vivo a Palermo nonostante non accetti la sua immobilità e i suoi innumerevoli difetti perché mi sembra più onesto criticarla da dentro, da vicino, viverla in prima persona, subirne i traumi e i risvegli. La cura è sempre associata ad una malattia e Palermo è la mia. Resto qui per cercare una cura.
Nonostante il suo genio, la sua autenticità e determinazione, lei è stata osteggiata e tuttora ritenuta scomoda da certa cultura e società palermitana e italiana che vorrebbe snobbarla e ritiene che lei e il suo Teatro siano invisibili. Si è mai scoraggiata?
No, non mi scoraggio. per questo no. Mi scoraggio quando non riesco a trovare la verità che sto cercando, quando non so come aiutare i miei ragazzi a tirar fuori una parola sincera, un gesto fino in fondo, un movimento del corpo che diventa danza gioiosa della vita. Mi scoraggio quando mi sento piccola e impotente di fronte alla forza e alla bellezza del Teatro e della Poesia. La stupidità degli uomini, l’indifferenza mi feriscono profondamente facendomi rintanare sempre di più nel mio covo segreto. Lo scoraggiamento è vitale, mi dà speranza, mi mette di fronte ad una nuova sfida, mentre la ferita inferta dall’indifferenza degli altri resta a lungo andare e se continua a sanguinare non si cicatrizza più….
Un suo sogno da realizzare e un suo progetto futuro.
Il progetto è dare alla mia compagnia e ai giovani che credono in me una continuità, un lavoro, qualcosa che possa renderli autonomi col teatro, la professionalità. Il sogno è realizzare questo progetto a Palermo.
Lascia un Commento