Summit di Jaipur / 2 - Dall’India un messaggio di pace che può essere diffuso e sostenuto dalle donne, portatrici di vita e di amore tra le persone. Più di cinquecento le partecipanti da tutto il mondo
Ilda Bartoloni Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2008
“E’ una grande soddisfazione sapere che il Global Peace Iniziative of Women Summit del 2008 si tiene a Jaipur. E’ significativo che il meeting si svolga in India, un paese che sin dai tempi antichi ha dato grande valore all’ “ahisma“ , alla non violenza . La pace non è qualcosa che esiste indipendentemente da noi...”. Questo l’incipit della dichiarazione d’auguri del quattordicesimo Dalai Lama al Summit Mondiale delle Donne per la pace (6 – 10 marzo), ribadendo le responsabilità di ognuno di noi, in primo luogo, delle donne nella pace mondiale.
Quello che mi colpisce oggi, essendo stata al Summit a Jaipur sia come delegata per l’Italia, ma anche come giornalista, è che proprio mentre più di cinquecento donne - leader religiose, politiche, manager dell’alta finanza, intellettuali, donne importanti da tutto il mondo, si trovassero insieme, per “Making Way for the Femminine for the Benefit of the World Community”, per cercare una via per il femminile a beneficio della pace mondiale, il Dalai Lama era costretto a subire e a denunciare il genocidio “culturale” nel suo Tibet.
Sempre più, dunque, in ogni nazione, paese, città, in ogni sperduto villaggio, c’è bisogno del pensiero femminile, del fare femminile, dello spirito femminile. Naamah Kelman, la prima rabbina israeliana, (oggi sono venti in Israele e più di cinquecento negli Stati Uniti) mi ha raccontato come è riuscita, ovviamente tra grandi difficoltà, a cambiare dall’interno riti e usanze di una religione fortemente connotata al maschile come la sua (non parliamo delle altre religioni….sic !!!). Un’affermazione coraggiosa come coraggioso è il suo credere e sostenere il rispetto tra israeliani e palestinesi delle reciproche, differenti storie per la creazione di due Stati in Palestina.
Leila Seth, la prima donna giudice dell’Alta Corte di Delhi, una minuta signora dagli occhi di smeraldo, mi sottolinea dolcemente i passi avanti dell’India, delle donne indiane: ”il mio è un paese dalle forti contraddizioni. Resiste, nell’India del boom, il grande senso del Simbolico Materno, ma poi ci sono ancora i matrimoni combinati, gli aborti selettivi delle bambine, lo sfruttamento dei minori, per non parlare delle discriminazioni riguardo all’eredità e alle successioni. Eppure i passi avanti ci sono, le donne al potere - al Summit ha partecipato anche la prima ministra del Rajasthan - stanno cambiando molto nel paese”. Margherita, un po’ folle e ridanciata, ha colpito dritto al nostro cuore, con il suo centro per ragazzi, orfani, vittime di guerra, bambini e bambine soldato, tutti li raccoglie, li nutre, li fa crescere, li educa. Conosciuta come Maggi the Mad o come la Donna di Diecimila bambini ha vinto il World’s Children Prize, una sorta di Nobel per l’infanzia.
La venerabile Bhikkuni Dhammananda, monaca tailandese non mi vuole parlare, non può, ha paura. Conosciuta come la prima donna monaca nella tradizione del Buddismo Theravada, racconta la sua storia ad un gruppo ristretto. La sua ordinazione - era il 2001- è stata molto contestata, e a tutt’oggi nessun monaco le rivolge la parola, non osano nemmeno guardarla. Una solitudine, la sua e un dispiacere, che solo la fede riempie. Parla invece una dolce monaca birmana, tutta sorrisi e saggezza “c’è bisogno di noi nel mondo, la crisi è troppo evidente, il mondo, la terra stessa ha bisogno del femminile”.
Più o meno le stesse parole che mi dice Kuki Gallman, una bella e intelligente signora che da anni ha fatto del Kenia la sua patria. Nata in Italia, Kuki, la cui vita è stata violentemente spezzata da due grandi tragedie, la morte di un figlio e quella del marito, non si è mai persa d’animo e ha creato la Gallman Memorial Foundation per proteggere le foreste, la natura e gli animali della sua Africa.
“Il mondo è troppo violento, dobbiamo far qualcosa, noi donne, per dare un futuro migliore ai nostri ragazzi”. Madame Barroso, moglie dell’ex presidente del Portogallo Mario Soares, ottantacinque anni, si batte da sempre per i più deboli, contro le violenze sulle donne e sui bambini. La stessa fondatrice del Global Peace Iniziative of Women, l’americana Dena Merriam si era espressa in questo senso nella relazione d’apertura del Summit: “il mondo è in crisi, c’è un’emergenza e le donne non si possono sottrarre, devono far sentire la loro voce …..”.
Seduta su di una comoda poltrona nella sua suite, Anandmurti Guruma, la reincarnazione del divino per tradurre alla lettera quell’anandmurti che precede il Guruma, neanche quarant’anni, ci parla del divino femminile che manca nel mondo, ma anche della possibilità per ognuno di trovare il Budda e quindi la pace dentro di sé.
Francesca Brezzi, docente universitaria, nota che le cattoliche qui sono una minoranza eppure certamente i cattolici nel mondo non lo sono. Francesca cerca spiegazioni e le chiede alla responsabile del nostro sparuto gruppo di delegate italiane, la reverenda Dinajara Doju Freire, monaca buddista nata in Brasile, da più di vent’anni residente in Italia. Molte delle teologhe da lei interpellate avevano altri impegni, sostiene la reverenda, le cui mail d’invito della Global Peace Inititive sono arrivate sin da dicembre. Al ‘Cerchio’ cui partecipo, quello sui media, mi trovo completamente d’accordo con l’indiana Suma Varughese, che ha lavorato a lungo per il magazine ‘Life Positive’. “Abbiamo bisogno - sosteniamo entrambe - di notizie positive che diano speranze ai nostri giovani che diano loro la possibilità di vedere anche le cose buone che succedono nel mondo”.
I media e le donne che lavorano nei media devono fare la loro parte per costruire la pace, anche se al governo delle notizie ci sono sempre gli uomini.
”Non è sufficiente avere posti di potere, l’importante è penetrare con il femminile”. Le sagge parole di Dena Merrian ancora vibrano, a distanza di giorni. E gli uomini? Gli uomini hanno in mano la chiave per capire che l’anima dell’universo è il materno che crea la vita e che vuole solo la pace, ma sono sordi e ciechi e forse, come dice un antico detto indiano, non si rendono conto che la vita è solo un ponte da attraversare, e non bisogna costruirci sopra una casa.
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