La via della seta in Calabria dal medioevo a Tom Ford
La tradizione della seta, dei manufatti e delle maestranze in Calabria dal medioevo all’Ottocento. Oggi lo stilista Tom Ford sceglie i tessuti calabresi di Domenico Caruso
Siamo intorno all’anno mille quando il baco da seta arriva attraverso le mani dei commercianti e dei monaci di Bisanzio in Calabria e si diffonde in tutto il meridione . E’ l’inizio di un percorso che porterà la provincia bizantina all’apice del commercio e dell’artigianato della seta in tutto il mondo.
Fu Catanzaro il principale centro della regione, al top nel mondo per secoli con il tessuto damascato, chiamato così da Damasco la città siriana con la quale la Calabria aveva un notevole scambio commerciale fino a tutto l’ottocento, raggiunse un così alto livello di diffusione in tutta Europa che mantenne questo primato per secoli. Si tessevano tessuti di seta per nobili e ricchi, ma anche arazzi e tappeti.
Ogni casa “aveva appeso in soffitta le foglie di gelso con i bozzoli”, si legge in alcune cronache dell’epoca, questo significava non solo la grande diffusione sul territorio, che raggiunse anche la provincia di Cosenza e di Reggio, ma anche la diffusione nella società contadina che beneficiava del commercio dei bachi e del tessile. E anche il paesaggio era coinvolto dalla produzione del baco da modificarne la sua conformazione idro-geografica per le migliaia di piante di gelso rossi e bianchi, che venivano piantate nelle zone collinari.
LE DONNE E LA NUOVA CLASSE OPERAIA
Erano soprattutto le donne che beneficiavano socialmente del commercio della seta. Anche se gli orari massacranti e il contesto non era certo dei migliori, ma niente in confronto alle compagne inglesi che nello stesso periodo, nelle fabbriche manifatturiere d’oltralpe vivevano condizioni terribili. L’acqua bollente con cui si lavorava, distruggeva le mani sia dal dolore che dalla fatica. Ma esse di fatto costituivano la classe operaia su cui poggiava l’impresa artigianale del filato. La loro indipendenza economica, le rendeva autonome e spesso malviste dalla società dell’epoca, per la sfrontatezza e la libertà rispetto alle regole rigide dell’epoca.
A metà ottocento si contavano più di 120 filande, un’enormità considerando anche tutto l’indotto. Insomma il baco, la seta e i prodotti che se ne ricavavano, per non parlare delle maestranze che nei secoli avevano acquisito un sapere enorme rispetto ai colleghi cinesi, che erano fino ad allora gli unici competitor dei calabresi in fatto di esportazioni nel mondo.
Non solo seta ma lino, cotone, ginestra riprese anche di recente, che veniva utilizzata per manufatti più poveri, e la lana ebbero un impennata creando un ricco introito con l’artigianato e con le maestranze che si erano generate grazie alla produzione e alla ricchezza portate dalla seta.
TOM FORD SCEGLIE I TESSUTI DI SAN GIOVANNI IN FIORE
Chissà se Tom Ford scegliendo i tessuti di San Giovanni in Fiore del maestro Domenico Caruso per le sue prossime collezioni, sapeva tutto quello che conteneva ogni filo di quei tessuti. La loro storia, la conoscenza, il sapere, lo studio, le relazioni con l’oriente, i secoli di storia trascorsi a migliorare ogni minimo particolare e ogni nodo di quelle trame. Pensiamo di si. Secondi a nessuno, come gli italiani spesso si considerano rispetto all’estero.
I tessuti lavorati a mano con tecnica originale della tradizione bizantina con disegni di ispirazione greca ripresi dal maestro e da suo padre a “ozaturi a pizzuluni”, “trappigne” hanno avuto la meglio. All’interno del suo laboratorio una scuola che funziona con molti giovani, segno evidente che è cresciuto l’interesse per antichi mestieri.
ESEMPI DI ECCELLENZA NEL MONDO: IL LANIFICO LEO
Ma è un po’ quello che sta succedendo in tutto il sud che ridà un po’ di fiato ad un economia debolissima. Piccole cooperative di giovani e donne che per mancanza di lavoro riprendono tecniche artigianali o vecchie aziende dei padri o dei nonni. Un inversione di tendenza ancora poco accennata, ma che trova delle punte di eccellenza soprattutto in Calabria.
Pensiamo al LANIFICIO LEO a Soveria Mannelli, azienda di fine ottocento di trasformazione della lana in filato cardato alle diverse tecniche di tessitura a navetta. Che utilizza, per i manufatti che esporta in tutto il mondo, i calchi originali dell’ottocento intagliati a mano su legno di pero con cui si realizza la stampa a ruggine rigorosamente a mano. Rappresenta una delle punte di diamante per la riqualificazione e la ripresa di antiche tecniche dell’800. In questo caso il nipote dopo aver studiato all’estero come spesso capita alle nuove generazioni, ritorna e migliora le tecniche dei suoi avi riutilizzando le vecchie macchine ma facendone prodotti di eccellenza a livello internazionale.
Insomma le maestranze e le conoscenze dimenticate di metà ottocento, trascurate dai Savoia dopo l’Unita d’Italia a favore di una politica del lombardo-veneto perché più vicini al nord Europa, rinascono in tutto il sud come una novità assoluta, intatti nelle loro radici, ma proiettati con efficacia e gusto per l’eccellenza della qualità e della bellezza verso il futuro.
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