Scuola e razzismi - Se la fede non si alimenta di dubbi e proclama l’Assoluto, in realtà non dialoga ma esercita un Potere
Stefania Friggeri Venerdi, 13/04/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2012
Il protagonista di un film americano di cui non ricordo il titolo cresce nel cerchio sociale delle famiglie bianche orgogliose della loro appartenenza razziale e del loro successo economico; divenuto adulto ricopre un posto di lavoro prestigioso che lo porta a vivere in un ambiente dove i neri non esistono, oppure, se diventano visibili, si mostrano con una scopa e uno straccio nelle mani. Eppure, nonostante l’imprinting sia stato così massiccio e invadente, il nostro eroe non riesce a condividere la mentalità razzista di chi gli sta attorno e sempre, quando vede un nero addetto alle pulizie, gli riaffiora alla mente una buffa canzoncina per bambini, piena di espressioni fantastiche e bizzarre, che gli aveva insegnato il compagno di giochi dell’infanzia, un bimbo nero col quale durante l’estate, in vacanza, scorrazzava per la vasta tenuta paterna, scambiandosi confidenze ed esperienze. Lasciamo il film e veniamo ai nostri giorni, all’eterno problema dell’educazione dei minori. Tutti diciamo che la scuola è importante, ma quale tipo di scuola? Anche qui la risposta appare ovvia: una scuola che insegni ad apprezzare sia la propria “libertà” che “i diritti dell’Altro”. Perché nel fondo dell’anima deve esserci un “prius”, un prima che precede il timore del castigo e spinge a rispettare le regole della convivenza: la persuasione intima e profonda della pari dignità di ogni essere umano. Se manca questo riconoscimento, se si vive come “naturale” che un certo gruppo, religioso sociale o etnico, non gode dei diritti universali, il nostro subconscio rimane esposto a pressioni psicologiche che possono condurre a comportamenti razzisti. Frequentare una scuola pubblica non garantisce affatto da questo rischio, ma è indubbio che le scuole confessionali di fatto creano fra i loro alunni e i coetanei una separatezza non desiderabile: perché gli alunni che non solo in famiglia ma anche nelle ore scolastiche vengono educati a prendere coscienza della loro appartenenza identitaria e a viverla intensamente, possono acquisire una percezione troppo forte della loro “differenza”. E a viverla come “superiorità”, trovando così difficile adottare una forma di convivenza basata sul rispetto reciproco della pari dignità. Nelle scuole confessionali infatti gli alunni sono educati alla Verità con la V maiuscola quando noi, poveri esseri umani, dovremmo accontentarci di “ricercare” la verità, mettendo a confronto le nostre visioni del mondo, le nostre credenze. Se la fede non si alimenta di dubbi, se non vive attraverso il confronto con la pluralità delle risposte, se insomma la fede proclama l’Assoluto, la Verità certa ed indiscutibile, in realtà non parla più di Verità ma parla di Potere. E infatti anche in Europa le chiese hanno goduto di un immenso potere lungo tutti i secoli in cui la convivenza civile era fondata sulla religione: nel mondo protestante abbiamo avuto la città-stato ideale, la Ginevra di Calvino dove si bruciavano gli eretici; nel mondo cattolico imperava la collaborazione fra il trono e l’altare (anche se non mancavano scontri, diplomatici ed armati, per affermare l’uno la superiorità sull’altro). Ancora nel XIX secolo Leone XIII (1878-1903) individuava la causa di tutti i mali che colpivano la società del suo tempo “nel disprezzo e nel rifiuto di quella santa e augustissima autorità della Chiesa che a nome di Dio presiede al genere umano”. Perché, tramontata nelle rivoluzioni la monarchia di diritto divino, la sovranità che Dio aveva trasmesso ai regnanti attraverso la mediazione papale era passata al “popolo” e si moltiplicavano le società basate su presupposti totalmente mondani e laici, aperte al riconoscimento della libertà religiosa, di tutte le confessioni religiose. Ma la tradizione è forte e nelle nostre società “secolarizzate” l’educazione religiosa, trasmessa attraverso la famiglia, la chiesa e le associazioni, può avvalersi anche della scuola statale, pubblica. Anzi il prof. Marani del liceo “Righi” di Cesena è stato sospeso dall’insegnamento per aver distribuito ai suoi alunni un questionario in cui dovevano indicare quale insegnamento avrebbero scelto se la scuola avesse programmato la materia alternativa all’ora di religione (questo il risultato: 11,3% avrebbe scelto l’ora di religione cattolica; 88,7% la materia alternativa; 23,9% storia delle religioni; 64,8% diritti umani). Ma oggi l’insegnamento della religione nella nostra scuola, che trascura l’approfondimento storico-culturale delle diverse confessioni, non risponde alle esigenze di una società globalizzata che accoglie e non discrimina; e non solo: una metodologia rispettosa dell’autonomia del bambino lo lascerebbe libero di scegliere in futuro sottraendolo all’imperativo familiare. Perché, lo ripeto, la Verità va cercata. Come la Giustizia e la Bellezza.
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