Martedi, 10/07/2018 - La traviata
di Adriana Moltedo esperta di Comunicazione e Media
Ha aperto la stagione estiva La Traviata di Verdi in scena alle Terme di Caracalla di Roma. Considerata parte di una cosiddetta "trilogia popolare" di Verdi, assieme a Il trovatore e a Rigoletto. Un folto pubblico misto, popolare e appassionato di opera, turisti e molti giovani.
Da – Sempre Libera- fino alla fine - Ah! io ritorno a vivere!...Oh gioia!...- passando per -Amami Alfredo..- Violetta è e rimane una donna libera, Violetta lotta per vivere una vita libera.
Il ricco allestimento che porta la firma inconfondibile di Lorenzo Mariani, regista newyorkese che torna a Caracalla e cede ancora al fascino del cinema trasferendo la storia di Violetta Valery dalla Parigi di fine Ottocento alla Roma felliniana della Dolce Vita, attualizza l’opera ai giorni nostri.
“Uno spostamento che, come dice lo stesso regista, nasce dalla consapevolezza che in fondo nonostante siano trascorsi 100 anni, la società parigina e quella romana sono identiche: sono due mondi senza speranza che nella loro crudeltà e nel loro cinismo finiscono per stritolare dietro le suadenti apparenze, uomini e donne.”
Ed è questa anche la “fine” di Violetta Valery, trasformata in una star del cinema con il nome che troneggia sulla gigantesca locandina cinematografica sul palco delle Terme di Caracalla alla Hitchcok.
“La Traviata rappresenta una delle storie più crudeli e violente da cui si può imparare molto –ha dichiarato il regista spiegando il suo allestimento – Violetta lotta per vivere una vita piena e libera, ma la sua è una battaglia persa. Sono partito dalle fonti e ho riletto Dumas, percepito emozioni quasi insopportabili in un mondo così privo di speranze. E ho pensato proprio a come avrei potuto dipingere questo mondo così privo di speranze”.
La molla, ancora una volta, scatta grazie al cinema che esercita un fascino inequivocabile e non indifferente su tutto il lavoro di Mariani.
“Mi è venuta in mente una frase del film 8 e mezzo di Fellini che si dice si riferisce proprio alla Dolce vita: il medico chiede al regista in crisi Mastroianni, alter ego di Federico, se la pellicola in preparazione non sia un “altro film senza speranza” riferendosi proprio alla Dolce vita” - “Nonostante le apparenze – continua il regista – la Dolce vita è un ritratto spietato della Roma e dell’Italia degli anni Cinquanta esattamente come lo è la Parigi di fine Ottocento che divora le persone fino a distruggerle ed è la storia della vittima di una società cinica e falsa. Un ritratto atroce mascherato attraverso la festosità e la frenesia della società”.
Violetta, pensosa e angosciata, appare schiacciata dal peso del suo personaggio e dalla società, assediata dai paparazzi felliniani che la inseguono costantemente con i flash: lei, vinta, si “veste” del suo personaggio, e fra tacchi alti e occhiali da sole si trasforma nella diva che si offre in pasto alla società.
Intorno a lei nel primo atto è tutto un pullulare di Dolce Vita della Via Veneto, una passerella senz’anima, bellissimi i costumi di Silvia Aymonino che ricrea tutta l’eleganza degli Anni Cinquanta-Sessanta nei modelli, le stampe, le stole di pelliccia o gli occhiali da diva.
Mariani reinterpreta e manipola a suo piacimento ogni tema e ogni scena, ma sempre in modo coerente con l’idea collettiva dello spettacolo: dall’evocata Via Veneto del primo atto, Violetta si sposta poi nella sua camera da letto e riflette pensosa; il secondo atto viene ambientato in una lussuosa villa di Capri con tanto di sdraio e gazebo, poi in un simil locale in stile dolce vita fra spogliarelliste in guepiere, reggicalze e pellicce, ricreando l’atmosfera felliniana delle feste e del travestimento e nel terzo atto, quando tutto è perduto, Violetta muore fra le “macerie” della sua locandina che la travolge.
Il regista si riserva massima libertà cercando di coniugare tutti gli aspetti, spettacolarità e dramma, e mentre il senso intimo del dramma prova ad emergere nelle scene private, la spettacolarità viene garantita dalla tendenza a riempire il palco in ogni dove, quasi a sovraffollarlo di oggetti e di azione, coinvolgendo nelle scene di Alessandro Camera anche le maestose strutture delle Terme con tanto di proiezioni, ma quasi a celare i personaggi principali.
Non tradizionale nel senso stretto del termine questa Traviata felliniana si distingue la direzione d’Orchestra del maestro Yves attento a sottolineare il taglio diverso della musica fra i momenti pubblici e privati e confermando quanto viene proposto in scena.
Valentina Varriale, Violetta vocalmente all’altezza della situazione (si alterna con la bravissima Kristina Mkhitaryan) che duetta con l’Alfredo di Giulio Pelligra si alterna con Alessandro Scotto di Luzio), Giorgio Germont di Marcello Rosiello che si alterna con Fabián Veloz, Irida Dragoti, Flora Bervoix Rafaela Albuquerque (Annina) e Murat Can Güvem (Gastone) fanno parte del progetto “Fabbrica”.
Il rischio di banalizzare un’opera così popolare è altissimo, ma Mariani ha puntato anche sulla qualità della musica, affidandosi alla ricercata bacchetta del Maestro Yves Abel.
“Sono felice di lavorare con un’orchestra che tanto bene conosce Verdi” dice il direttore spiegando come da un punto di vista musicale abbia “cercato di sottolineare il contrasto fra le scene pubbliche all’insegna delle pazzie e delle follia e le scene private intimiste e personali di taglio completamente diverso”.
“Al momento di allestire il lavoro – prosegue Mariani – ci si trova davanti alla missione impossibile di sposare lo spettacolo con i monumenti. È impossibile gareggiare con loro perché si è già perso in partenza, nella Traviata abbiamo cercato di integrarli di integrarli con le proiezioni nella storia dei protagonisti”.
L’obiettivo è di riuscire a coniugare anche nelle scene (di Alessandro Camera) “empatia per la storia di Violetta in una società spietata e senza speranza con l’intento di fare qualcosa”
“Spero che il pubblico si diverta, ma che soprattutto, si commuova”. – ha concluso Mariani.
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