Rosa Salvia - Versi capaci di legare il mondo dello spirito all’universo materiale dell’esperienza
Benassi Luca Giovedi, 26/04/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2012
Rosa Salvia ha pubblicato i romanzi brevi “La parabola di Elsa” e “Fermagli”. Nel 2003, con Aletti Editore, ha esordito in poesia pubblicando la raccolta poetica “Intermittenze” e nel 2005 la raccolta “Luce e polvere”. Nel 2007 ha pubblicato la plaquette “Le parole del mare” (edizioni Lietocolle). Presente in diverse antologie, vincitrice di numerosi premi, Rosa Salvia si occupa anche di critica letteraria su riviste e in rete.
Per il prestigioso editore La vita Felice, con la curatela di Gabriela Fantato, sta per uscire la raccolta inedita “Mi sta a cuore la trasparenza dell’aria”. Si tratta di un testo cesellato con pazienza, finissimo nel dettato e ricco di immagini, un testo che regala poesie di un’incandescenza inquieta e stupefatta, saturato di candore e bellezza. Rosa Salvia si mostra poetessa vera, capace di cantare lo splendore dei tramonti, della pioggia, del mare, del cielo, del sole rosso di Parigi. Vi è in questi versi uno stupore dai tratti mistici, religioso in senso etimologico, per quella capacità di legare il mondo dello spirito all’universo materiale dell’esperienza, attraverso una paziente, decantata meditazione. Il risultato è una lirica pura, onesta come la intendeva Umberto Saba, aderente cioè alla verità di se stessi e del proprio cuore, musicale, liquida, limpida. Si vedano i versi dedicati al mare e al tema dell’acqua, che si mostra di volta in volta pioggia, mare, rugiada, marea, nostalgia dell’acqua di parto – e che sembra contrapporsi alla pesantezza rocciosa della pietra, alla materialità, alla cristallizzazione feroce di ogni cosa del quotidiano: l’acqua partecipe dei cicli della natura è complemento al cielo, ne condivide il colore, la lucida trasparenza; è capace di adattarsi alla forma e farsi essenza della parola. Non mancano poesie di struggente sensualità: è il canto dell’amore, quello fisico, carnale, passionale verso la persona amata, ma anche quello filiale, fraterno e amicale: si vedano i testi dedicati alla madre, al padre, al nipote Francesco. Vi è anche qui la ricerca di un’altezza che è tensione, palpito, riunendo il profondo del sentimento e la leggerezza della passione, come fa il canto della voce umana quando in una frase musicale varia timbro, intensità e durata delle sillabe. Rosa Salvia possiede questa tessitura ampia, che è capace di colorarsi di toni a tratti indignati per i diritti calpestati, i soprusi, le vittime della violenza e della guerra. È uno schierarsi coraggiosamente, nelle ultime pagine della raccolta, dalla parte degli umili, degli oppressi, delle donne violate e umiliate. Vi è dunque una componente civile di vibrante intensità in questa poesia: la lirica si riappropria di un ruolo politico, educativo (la poetessa è insegnante), si accende di luce fra tante pagine spente, nebbiose del panorama letterario odierno; trasmette valori, regala bellezza ed emozione, è dono “puro/ come il canto di Orfeo/ che nelle terre di Tracia/ ammansiva le fiere.”
Mi sta a cuore la trasparenza dell’aria.
È dolce raccoglierla come la porzione
estrema di un destino comune
quando il mare gonfia lento,
si pavoneggiano le vele
e il giorno si fa più leggero.
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La parola è un’argentea coppa:
intatti, precisi gli attimi
vi cadono –
è un movimento d’acqua cui è stata
data forma,
un diagramma,
un disegno d’aria sottile –
È armonia dei contrari,
alchimia della somiglianza –
Oltre, il pensiero muore,
e tuttavia resta incorrotto
come un animale pietrificato, o meglio,
come il cristallo
corpo luminoso che brilla,
fermo orizzonte dell’immagine,
all’incrocio del tempo e dell’eterno,
enigma del vero.
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Il mio corpo senz’utero
mi umilia
come il mondo umilia Dio.
Questo corpo
questo bianco
sacro come riso di bambino
eppure vuoto.
Chiudo gli occhi canto la ninna nanna
alla terra che nasce
col mio cuore di polvere.
Vivo dove guidano le parole
con l’aliena figura sconosciuta,
che tuttavia conosco.
Annodo e snodo le mie ombre,
madre di me stessa –
come i gatti nove vite
per spiare le mie cicatrici
e cullare la bambina
che mi porto dentro.
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Isabella
Là dall’onda arrabbiata i pescatori tornano a riva
con le loro vele gonfie di vento
i volti arsi dal sole.
Tirano in secco una barca che si chiama
Isabella,
la corda bagnata scorre fra le loro dita e cade
sulla sabbia lambita dalla schiuma
formando misteriosi disegni che fissano lontano
come lo sguardo di Isabella simile
all’aria senza respiro accesa dalle stelle
che il mare mescola alla matassa della sua penombra.
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