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La teologia variabile

La teologia variabile

Dogmi temporanei - Dalla disputa sull’animazione del feto alle controversie sul purgatorio, l’immaginario cristiano e i ripensamenti della Chiesa

Stefania Friggeri Lunedi, 29/10/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2012

Quando la gerarchia cattolica si pronuncia sui temi di bioetica lo fa in nome della “morale naturale”, valida al di là del mutare dei tempi e dei contesti storici. Poco male se questi discorsi rimanessero interni, dedicati all’edificazione dei fedeli, e invece si risolvono in prese di posizione volte a determinare le scelte legislative di uno stato sovrano che dovrebbe riservare gli atti di sovranità al popolo (che non coincide con quello dei fedeli) e ai suoi rappresentanti. Me se rivolgiamo uno sguardo appena attento ai duemila anni di storia ecclesiastica e alle idee espresse dai suoi grandi intellettuali (Padri della Chiesa, Pontefici, teologi…) quella presunta assoluta uniformità non viene confermata. Basti prendere in esame il concetto di “animazione”, da intendersi come ingresso dell’anima nel feto. Nei primi secoli sul controverso tema l’opinione prevalente (che il merito fosse del seme maschile) è condivisa da Alberto Magno ma rifiutata da Tommaso d’Aquino. La disputa fra animazione simultanea (al momento del concepimento) e animazione successiva (dopo 40 giorni per i maschi, dopo 80 per le femmine) va avanti fino al XVII secolo quando l’animazione simultanea si impone perché trova credito l’affermazione del medico T. Fienus il quale sosteneva che l’animazione avveniva nel terzo giorno. La distinzione fra foetus animatus e inanimatus cade nel 1869, ma la Chiesa rimane rigida sul divieto di aborto perché l’idea agostiniana della dannazione di un bambino non battezzato esige che la madre, anche se rischia la vita, non deve preferire la vita terrena alla vita spirituale del figlio. E oggi in un clima di restaurazione in cui la Chiesa può profittare della frammentazione e della stanchezza delle forze progressiste, si marcia addirittura verso lo stravolgimento giuridico del diritto facendo dell’embrione appena concepito un cittadino a tutto tondo. Si incontrano analoghe oscillazioni e variabilità di convinzioni se si seguono le peripezie di temi teologici di grande rilevanza, come quello del Purgatorio. La storia del concetto, mirabilmente ricostruita dal grande storico J. Le Goff (La nascita del Purgatorio) viene da un lungo passato di riflessioni intorno all’aldilà; e di interrogativi: il fuoco è corporale o spirituale? la purgazione avviene tra la morte e la resurrezione o dopo il Giudizio finale? dove si trova il purgatorio? Fino al XII secolo le risposte precise sono poche: l’idea di purgatorio rimane nel vago e ristagna per secoli, accompagnata dalle dispute teologiche e dagli anatemi contro chi rifiuta lo schema ternario, fedele allo schema binario dell’eredità greco-giudaica (aldilà sotterraneo o celeste). L’immaginario cristiano si ispira ai motivi arcaici diffusi nelle religioni antiche: tenebre, torture e fuoco; vedi l’Apocalisse di San Paolo (III secolo), dove però si distingue un inferno inferiore e uno superiore in cui “vidi le anime di coloro che attendevano la misericordia di Dio”, misericordia così grande che Dio, commosso dalle preghiere dei dannati, concede loro di avere requie nel week end: non è ancora il purgatorio ma l’idea del sabbatico infernale (che si concilia con la sacralità della domenica) lo prefigura. Nella preistoria del purgatorio va ricordata anche la “Passione di Perpetua” che avvia il tema delle preghiere a favore dei defunti. In terra d’Egitto, crogiuolo del pensiero religioso del mondo antico, nascono i padri del purgatorio: Clemente Alessandrino ed Origene. Il primo distingue un fuoco che divora da un fuoco che salva, Origene fa la distinzione fra peccati mortali e peccati lievi, emendabili. Decisiva nella gestazione del purgatorio anche la figura di Sant’Agostino che insiste sul tema della penitenza ed afferma che le sofferenze patite sulla terra sono già una forma purgatoria dal peccato. Opinione questa destinata a perdersi col tempo. La contesta, ad esempio, Gregorio Magno secondo il quale le pene purgatorie sono sofferte negli stessi luoghi in cui si è peccato. Anche questa idea non verrà recepita mentre sarà di esempio l’utilizzazione politica che Gregorio fa dell’aldilà (il re Teodorico precipita nella gola dell’Etna, all’inferno). Nella stagione della prima scolastica facilitano il concretizzarsi del purgatorio l’ambiente intellettuale parigino e Cluny dove, in un sermone di Pietro Comestore, compare per la prima volta la parola purgatorio come sostantivo. Sempre i cluniacensi, con l’istituzione della commemorazione dei defunti (due novembre), non solo rinsaldano la solidarietà fra i vivi e i morti ma riconoscono ai vivi, e alla chiesa in particolare, una eccezionale forma di potere: la possibilità di intervenire nell’aldilà. Una posizione rifiutata da catari e valdesi, successivamente dalla chiesa greca, infine da Lutero (“il purgatorio è un’invenzione”). Ma è proprio nella lotta contro gli eretici che la chiesa romana mette a punto la dottrina del purgatorio (secoli XII e XIII) quando si spegne il millenarismo (il mondo non è finito con l’anno mille). Affermatasi la borghesia comunale col suo nuovo sistema di valori legato all’operare qui, sulla terra, Dante scrive la “Commedia”: “La seconda cantica è una conclusione sublime alla lenta genesi del Purgatorio” (Le Goff).

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