Parole che contano - Una rubrica di riflessioni sulle parole, che pesano, che contano
Redazione Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2006
Quando all’inizio di ogni esperienza, ci si dice “Speriamo bene” significa che si è preparati a veder il lato positivo, che si è pronti a ciò che ancora non è nato “e anche a non disperarsi se nulla nasce durante la nostra vita”(Fromm): coloro che hanno o nutrono poca speranza scelgono in genere gli agi o la violenza: coloro che sperano ardentemente, vedono e amano ogni segno di una nuova vita e sono pronti in ogni momento ad aiutare la nascita di ciò che è già pronto a venire al mondo.
La parola che in ogni rubrica tenderò a proporre sarà dunque una sorta di nume tutelare, un faro di invito alla riflessione in un mondo in cui oramai si corre troppo e in cui spesso si parla a dismisura, fuggendo l’essenziale che è già dentro di noi. Sarà questa parola un vocabolo di rinnovamento interiore, capace di incidere nel nostro animo e non soggetto ala consumo immediato di tanta stampa divulgativa. Si tende a identificare la fine della speranza con l’approssimarsi della morte: in questo caso, quando diciamo che non ci sono speranze intendiamo dire che ormai prossima è la fine della vita. In questo modo vita e speranza diventano quasi sinonimi, speranza uguale a vita, e , viceversa, fine dell’una uguale a fine dell’altra. Un atteggiamento comprensibile e, in parte anche vero, ma non del tutto corretto perché semplifica ma non esaurisce il problema. Disperazione e morte non sono sinonimi, infatti esiste una morte non disperata. Secondo la Bibbia, infatti, la morte accettabile senza rimpianti, in qualche modo serena è quella di chi se ne va da questo mondo anziano e sazio di giorni lasciando dietro di sé una discendenza per la quale può immaginare un futuro normale, forse anche migliore del suo. E’ la natura, è la vita, si dice. C’è tristezza in questo, malinconia, nostalgia per tutto quanto si ama e si deve lasciare, ma non disperazione. Ma è raro morire così, la maggior parte di noi se ne va quando è ben lontana dalla sazietà di vivere; molti sono appena all’inizio o nel pieno della vita e la loro fine fa precipitare chi li ama in un dolore indicibile, in una pena che paralizza il cuore, i sensi, lo spirito. Questo causa dolori incancellabili ma coi quali, piano piano, s’impara a convivere e per quanto con fatica, per quanto diversi per sempre da prima, ci si rimette in piedi, si continua a vivere, si ricostruisce piano piano un orizzonte di speranza,anche se non così piena e luminosa come prima. Si trova sempre qualcuno sul quale riversare l’amore ferito e la vita ritrova un senso e un nuovo orientamento. La verità è che per quanto sia duro morire, la morte non è il male più grande, non basta lei a uccidere davvero la speranza, perché si può morire e stare accanto a chi muore conservando fiducia nella vita, nel futuro, nel mondo: noi non ci saremo, ma noi per questo scompariranno l’amore, la bellezza,la gioia, il bene. Si può affrontare la propria personale tragedia se qualcuno ci sta vicino con solidarietà e premura: per noi forse non c’è più speranza, ma resta intatta la speranza nell’uomo e per l’umanità.
La minaccia più grande, più pericolosa contro la speranza si nasconde nella storia, in ciò che accade e coinvolge non il singolo, ma l’umanità o porzioni di essa. Il dolore personale fa soffrire fino anche a morirne, ma l’attentato più grave è il dolore storico, collettivo. E non stiamo parlando di un’ipotesi astratta, ma di qualcosa che ha già ripetutamente colpito l’umanità, con particolare forza e accanimento nel secolo appena finito. Sono ancora in vita molti testimoni che hanno visto e vissuto eventi possibili solo perché nel cuore di troppi uomini era stata cancellata ogni traccia di umanità. In quelle circostanze- e mi riferisco alle brutalità dei regimi totalitari di ogni colore e ai tentativi di sterminio contro gli ebrei e altri popoli come gli armeni, i cambogiani, gli zingari, i tutsu o gli hutu, molti hanno perso davvero ogni speranza, perché è il male stesso, allora che sembra dominare la storia, i governi, i popoli, il futuro. Quando vengono massacrate freddamente, con metodo e quasi senza emozioni masse di innocenti inermi mentre gli altri non reagiscono e, vinti dal terrore, cercano di convincersi che il massacro è giusto, lecito, almeno utile, è allora che rischia di scomparire la speranza dal mondo.
(10 marzo 2006)
(Tratto da HOPE , trimestrale di cultura diretto da CATIA IORI)
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