Mercoledi, 16/04/2014 - Non mi meraviglia che commentatori politici, analisti e vari coristi dell'informazione economica abbiano sottolineato, anche con ironico stupore, per l'enfasi ricondotta alle nomine di genere, il solito ritornello che queste neo Presidenti donna non abbiano potere. E che in qualche modo siano state messe li per dovere istituzionale (c'è una legge che lo prevede) o per oppportunità politica del Premier Matteo Renzi, che così si ritaglia un posto in prima fila nel politically correct del femminismo d'antan. E' stato anche detto, e mi dispiace, che chi plaude a questi incarichi senza deleghe, e quindi senza potere (per lEni almeno) è parte di quell'italico esercito in cerca d'autore sempre pronto a salire sul carro del vincitore, quello di Renzi, appunto, per applaudirne operazioni di facciata o comunque prive di costrutto. Non sono d'accordo con questo genere di analisi. E non sono renziana. Anzi. Non sono d'accordo per due ragioni. La Presidenza di un ente, pubblico o partecipato, indipendentemente dalle deleghe, è sempre una carica che si modella sulla personalità di chi la ricopre. E' un ruolo di controllo fortemente creativo che se supportato da competenza, conoscenza dei meccanismi interni e capacita di relazione può diventare molto più di una mera promozione di facciata di un genere, leggi quote rosa, che doveva essere promosso per opportunità. Oltretutto siamo l'unico paese in Europa che ancora parla di quote rosa. Ovunque, anche in Turchia, si dice quote di genere, sottolineatura questa si, non casuale. Ma tant'è. Screditare le nomine femminili appellandosi alla mancanza di potere di incarichi dovuti alle 'quote rosa' è, oltre che superficiale, decisamente rozzo. Affrettato e pressapochista. Credo dipenda dal fatto che la lente del maschilismo, sotterraneo e mi auguro inconsapevole, non abbia compreso l'importanza di una operazione apparentemente formale diventata oggi finalmente di sostanza nell'immaginario comune e non solo. Dopotutto è vero: non esiste contenuto senza forma.
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