Le idee di Catia Iori - Il lavoro di cura come elemento quantificabile e non come dimensione profonda....
Iori Catia Martedi, 22/12/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2015
Codici, password, indici, medie: la società contemporanea tende sempre più a porre in secondo piano la centralità del lavoro di cura gratuito delle donne per ridurla a nient’altro che a un numero, un dato statistico, un elemento quantificabile e perfettamente intercambiabile. Svuotate della loro dimensione più profonda, private della propria unicità, le donne del terzo millennio vivono spesso con rassegnazione l’imperante processo di atomizzazione che sempre più interviene a polverizzare le appartenenze e sgretolare le identità collettive. Abituate come siamo a ricondurre ogni scelta e ogni azione a una valutazione meramente quantitativa, perdiamo di vista la ricchezza impagabile che scaturisce dalle relazioni autentiche basate sulla gratuità. Ci abituiamo a fare i conti con proiezioni, tassi e statistiche, ma non a contare veramente sugli altri; impariamo a fare stime dei costi e dei vantaggi di ogni opzione potenziale che ci si apre di fronte, ma non stimare le persone il cui percorso di vita si intreccia con il nostro. In una prospettiva utilitaristica, nessuno o quasi fa niente per niente. Il “quanto” diviene più importante del “come”, del “perché” e soprattutto del “chi”, poiché di fronte all’imperio dei numeri le motivazioni e le modalità che orientano l’agire diventano componenti irrilevanti.
E allora come la mettiamo con le centinaia di donne che si occupano gratia et amore della casa e dei loro anziani, delle volontarie che prestano tempo ed energie per un causa giusta, spesso affettiva, talora politica, non necessariamente in corrispondenza di un prezzo da pagare? Non è un caso che le donne siano più abituate a fare rete, a scegliere di scrivere per se stesse frammenti di vita, poco importa che sia sul pc, a matita o su fogli sparsi. Alla sera o in qualche momento di vita rubato alle corse di ogni giorno, le donne scrivono, parlano a lungo con l’amica cercando di scavare dentro loro stesse e portare a galla emozioni, paure, preoccupazioni, quasi per riconoscere la loro unicità e sentirla propria. Non vogliono essere incasellate ma restituite alla storia di un percorso di vita unico e solo loro, con un nome, un cognome e un’anima. Credo che spesso questo esercizio aiuti a non morire dentro, a sentirsi vive e amate. Quando si scrive o si parla di sé con sincerità, si apprezzano le virtù liberatorie dello sfogo. E ci si riappropria quasi per magia della propria energia vitale, sentendosi almeno per un momento fuori dai recinti massimalisti di impietose statistiche.
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