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La Sicilia, l’emergenza idrica e l’acquaiola del Presepe

La Sicilia, l’emergenza idrica e l’acquaiola del Presepe

Cittadini e sindaci dei 5 comuni della provincia di Enna hanno bloccato una condotta idrica per protesta. L'acqua razionata riporta a tempi lontani, quando era normale...

Martedi, 03/12/2024 - Il femminile di giornata / trentasei. La Sicilia, l’emergenza idrica e l’acquaiola del Presepe
Mancano poche settimane a Natale e in Sicilia l’emergenza idrica, protagonista da decenni di irrisolti problemi dell’isola, si è ripresentata con una forma inedita di guerra tra poveri assetati. Centinaia di cittadini, solo pochi giorni fa, partiti da cinque paesi della provincia di Enna con in testa i loro sindaci, hanno occupato la diga di Ancipa da cui ricevono l’acqua ogni sette giorni per qualche ora.
Una protesta organizzata per contestare e bloccare una condotta affinchè ”la loro acqua”, per loro unica fonte di rifornimento idrico, non venisse concessa a Caltanisetta e ad altri comuni nisseni che, a loro sentire seppur in crisi, possono approvvigionarsi altrimenti.
Infatti per quel che si può capire dai resoconti dell’informazione, Caltanisetta e dintorni avrebbero possibilità, pur nell’estrema ed analoga ristrettezza, di accedere ad alcuni pozzi scavati con successo. Un conflitto ai limiti del dramma surreale, considerando che i paesi in provincia di Enna non hanno alcuna alternativa all’acqua della diga di Ancipa, oggi in forte asciutta.
Leggendo la cronaca di una vicenda giunta all’apice di un'esasperazione incontenibile, quasi a esorcizzare la realtà, la mente ancor prima di ripercorrere i guai annosi della Sicilia idrica, si sofferma su immagini iconiche che riguardano l’acqua: il suo valore, la sua preziosità di bene vitale. Sarà la lunga vigilia in attesa del Natale, che il commercio ci regala delle feste con le sue vetrine luccicanti, ma eccole le acquaiole: le statuine del presepe, poste spesso accanto a pastori ed artigiani. Donne con gli orci di coccio sotto il braccio, sulla spalla, o in testa, o semplicemente vicino ai pozzi, altro “oggetto” tradizionale delle Natività raccontata, rappresentata. Immagini che poi, per quel mistero che è la velocità e complessità della mente umana, si espandono e riportano alle conche di rame che nell’Italia rurale sono state oggetti decisivi per garantire l’acqua alle famiglie. Conche piene d’acqua, portate in testa dalle madri, nonne, figlie, dalle donne insomma, dopo averla raccolta per lo più a fonti lontane. Immagini, che se per noi sono divenute storia, arte, tradizione, in verità in paesi dell’Africa, o dell’Oriente più povero si ripresentano con la stessa modalità, con quella stessa rappresentazione femminile di servizio, che spesso, però colpisce per lo stile, il portamento regale, che pur nella fatica hanno molte donne “acquaiole”.
Una storia che forse si ripete in modo ben poco romantico ed esteticamente attraente, perché se nelle terre più povere si ritrovano le ragioni di tanta insopprimibile fatica fisica, in Sicilia questo è difficile da accettare.
Ci sarà pure il cambiamento climatico, rischio di poche piogge, ma davvero ti arrendi, quando leggi che, ancora dopo anni di ipotesi di soluzione, di infrastrutture, la dispersione delle tubature degli acquedotti siciliani è altissima, fino a 100 litri al secondo sui 220 che arrivano ai rubinetti.
Tornando al merito di questi giorni, nuovi interventi immaginati, programmati dal governo regionale, in accordo con quello nazionale, sembrano lasciare scettici molti siciliani che devono concentrarsi più che mai sull’acqua oggi, che in molti territori arriva una volta ogni 4 giorni per un'ora ogni sette, se non addirittura fino a ogni 15 giorni, racconta qualcuno. E tutto questo essendo stato deciso, per tutta l’estate 2024, di garantire acqua alle località e strutture turistiche fino agli yacht fermi nei porti dell’isola, per non perdere quella risorsa economica decisiva per la Sicilia, che è il turismo.
E questo mentre l’allarme acqua risuonava anche in giornali stranieri. Leggere di decenni di interventi progettati, falliti o non portati a termine, di progetti importanti che si faranno, non è strano che ancora una volta incontri lo scetticismo di chi vive la quotidianità dell’acqua razionata.
Ed è così che a scorrere notizie, storie e cronache s’incrociano parole sempre uguali: strutture vecchie, dissalatori, pozzi, dighe, fino ad arrivare alle autobotti pubbliche e private (sempre più care) ed ancora alle navi cisterna. A questo si aggiungono altre parole come siccità della terra riarsa, problemi immensi per l’agricoltura: grano, bestiame, ortaggi, agrumeti, nomi, sostanza di una grande ricchezza siciliana che dell’acqua, per continuare ad esserci, non può fare a meno. Acque e fatica dunque a cui la gente sembra essersi abituata, forse perché è più accettabile normalizzare le difficoltà che illudersi che finiscano.
Tornando alle nostre "acquaiole", la realtà è che con contenitori più adeguati ai tempi, più funzionali e meno espressione della tradizione, di forme d’arte artigianale come orci e conche di rame, siano sempre le donne impegnate più che mai a gestire e centellinare, quell’acqua preziosa di cui non si può fare a meno; in attesa, magari, che in Sicilia i progetti divengano realtà tangibile, lasciando al presepe il ricordo di un tempo che non è più.
Paola Ortensi

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