Mercoledi, 20/06/2018 - E dunque.
Già avevamo alzato il sopracciglio sulla sparuta presenza di donne nel nuovo Governo.
Già non ci eravamo ancora riprese dalla botta micidiale del governo spagnolo (11 donne ministre e 6 uomini), che ci ha fatto vedere un mondo possibile che in Italia non vedremo per parecchio.
Già il G7, cuore del capitalismo occidentale, apriva i lavori proprio sulle donne, una cosa impensabile da noi, e infatti manco ha fatto notizia.
Non si vuole qui entrare nel merito delle capacità, quello di cui di discute è il rigetto totale del sistema politico attuale della rappresentanza femminile, ridotta a ruoli di contorno affidati a donne, si teme, solo dietro ampie rassicurazioni di una presenza discreta e ben lontana dai riflettori.
In questo nuovo corso, insomma, le donne non si devono vedere ma soprattutto non si devono sentire. Una situazione, quella della perdita della parola delle donne nella politica nazionale, che fa pendant con la mancanza della parola delle donne anche nei media e nel dibattito politico e culturale, pensiamo alla campagna di Michela Murgia #tuttimaschi sulla mancanza di articoli di giornaliste dalla prima pagina dei principali giornali nazionali.
Il messaggio, mica poi tanto subliminale, sarà mica che dobbiamo tornare tutte a stirare?
Una tendenza questa, in aperto contrasto con il ruolo delle donne in Italia, nella società e nell’economia. Zitte zitte, infatti, stiamo comunque andando avanti nonostante tutto: produciamo da sole il 41% del PIL nazionale. Il PIL quello vero eh. Più tutto il PIL dell’economia non retribuita che vale milioni di miliardi. Nonostante la crisi, negli ultimi 10 anni le donne occupate sono poi passate da 9,2 milioni a 9,7 (Istat), le donne dirigenti da 15.676 a 19.938, le donne quadro da 100.323 a 133.437 (Inps).
E insomma, esistiamo eccome, nonostante le disparità territoriali devastanti.
Sarà mica che esistiamo troppo e che stiamo diventando un problema?
La crescita delle donne nel mercato del lavoro e nella società italiana finora è stata infatti più squilibrata che in altri paesi, in quanto non si è costruito in parallelo un sistema efficiente per sostenerle nel lavoro familiare e di cura. Una ricetta ottimale, o almeno sostenibile, non l’abbiamo ancora trovata: l'incremento dell'occupazione femminile è avvenuto a prezzo dell'aumento del carico di lavoro complessivo delle donne, che non sono state adeguatamente sostenuto dai servizi dello Stato, mentre gli uomini non hanno finora mostrato una seria intenzione di occuparsi del lavoro di cura (i 17 minuti in più di lavoro familiare degli uomini tra il 2009 e il 2014 sono giusto un contentino) .
E tra poco ci franerà addosso la bomba demografica. Secondo le previsioni Istat tra 10 anni gli over 80 aumenteranno dagli attuali 4,1 milioni a 4,8 per arrivare a 5,7 tra 20. Entro il 2037 ci saranno da seguire/assistere 1,6 milioni in più di over 80, dei quali 1 milione sarà over 85.
Chi se ne occuperà? Lo Stato? Naaaa. Gli uomini? Naaaa. Le badanti? Per l’epoca saranno finiti i soldi delle famiglie. Fuoco fuochino…viene in mente anche a voi la stessa cosa? Ecco. Si teme che una parte al momento preponderante del sistema si stia preparando per tempo e cominci a premere per il rientro a casa delle angeli del focolare.
E così sia? No.
Pensiamo che le donne sono oramai troppo istruite, troppo consapevoli e anche troppo importanti per il nostro PIL. Che si vorrebbe fare? Ridurre i 9,6 milioni di posti di lavoro femminile, rinunciare al fatturato che garantiscono alle loro aziende, alle tasse che pagano, ai contributi che versano, ai soldi che portano in famiglia? Improponibile, siamo dentro a dinamiche ai confini della realtà.
Quello che emerge con prepotenza rimane quindi la pressione a togliere alle donne la parola e il ruolo pubblico. A questo punto toccherebbe magari alle donne stesse battere qualche colpo, magari con forme di rappresentanza sociale e professionale un po’ più condivise che con battaglie individuali di bandiera.
Intanto, attendiamo fiduciose la prossima botta. A breve il nuovo governo dovrà nominare non solo il nuovo CdA, ma sarà chiamato a fare 350 nomine, praticamente il ricambio di tutte le poltrone più importanti delle grandi aziende pubbliche.
E così, tanto per prepararci psicologicamente, vale la pena leggere le 10 migliori scuse per non mettere donne nei CDA. Una ricerca fresca fresca promossa dal Governo Britannico (lo ripeto: il governo britannico. Sì, proprio quello lì. Quello Conservatore).
1. Non credo che le donne possano adattarsi all’ambiente di un CDA.
2. Non ci sono molte donne con le giuste referenze e il livello di esperienza necessario per sedersi in un CDA, gli argomenti affrontati sono estremamente complessi.
3. La maggior parte le donne non desidera i problemi o la pressione di fare parte di un CDA.
4. Gli azionisti non sono solo interessati alla composizione del CDA, quindi perché dovremmo esserlo noi?
5. Gli altri miei colleghi del CDA non vogliono nominare una donna nel Consiglio.
6. Tutte le donne capaci sono già andate a ruba.
7. Abbiamo già una donna nel CDA, siamo a posto, è il turno di qualcun altro.
8. Non ci sono posti liberi nel CDA al momento, se ci fossero valuterei il caso di nominare una donna.
9. Abbiamo bisogno di costruire la strada dal basso - semplicemente non ci sono abbastanza donne senior in questo settore.
10. Non posso solo nominare una donna solo perché lo voglio.
Certo, sono scuse compassate, un po’ troppo British per i nostri gusti. Poca, pochissima fantasia. Niente colpi di genio, argomentazioni alate, rigurgiti di infantilismo neonatale, botte di narcisismo virile, gusto per il paradosso, metafore dotte, ironia. Noi italici, stirpe maschia inarrivabile, sappiamo fare molto, ma molto meglio. Quindi fatevi avanti. Si lancia, qui e ora: #scusepernonpromuovereledonne.
Alla fine, una risata li (ci?)seppellirà.
Articolo pubblicato in Ladynomics il 13 giugno 2018
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