Sabato, 01/12/2012 - Dopo il ventennio di “regime” vissuto all’insegna del “nuovo”, per una persona cresciuta secondo alcuni valori meno avvelenati dalla strisciante omologazione dei media e delle mode, appare subito chiaro il concetto di “nuovo”. Troppo spesso usato come propaganda, con labili contenuti intercambiabili secondo le circostanze, il nuovo a persone non infiammabili solo dall’impatto straripante delle immagini, può apparire come un déjà vu. Dopo tanti anni di realtà stravolta da fantomatiche versioni, mai come in questo momento le persone anelano a un soffio d’aria pura, perché la vessazione è troppo toccante, e proprio per questo motivo il terreno diventa facilmente permeabile, come dopo una forte tempesta. Facile condividere il disappunto, anche il disprezzo, ma ciò che diventa meno facile per chi si è sentito oltraggiato nella dignità di persona pensante è riconoscere in tempo l’enorme distanza esistente tra i veri contenuti e una dialettica infarcita di simpatiche battute. Eppure i contenuti veri, chi ha un minimo d’esperienza, li sa riconoscere, almeno intuire, così come distingue la metafora da uno stile demagogico. La satira ci ha sempre dato una mano nel riconoscere l’affidabilità contrapposta all’etichetta di moda, ma lo stile demagogico colma i cuori giovani di speranza, alla ricerca di quell’idealità perduta e forse per questo ha una componente seduttiva, accattivante, onnipotente. Rispecchia l’onnipotenza della gioventù stessa, della pretesa di essere invincibile sfidando le regole, il bon ton, sfidando il modello paterno, quel padre che deve dare il consenso al figlio per essere superato. La tematica adolescenziale piace a molti, anche ai meno giovani, perché chi ha mai avuto un padre perfetto capace di restare autorevole nel rispetto della libertà del figlio? Eppure se non si riscopre tale autorevolezza nessun figlio potrà mai passare quel confine tra adolescenza e vita da grandi. Resterà tutta la vita in cerca di consensi, di programmi difficili se non impossibili da realizzare, perché la sfida matura parte dal riconoscere il valore dell’altro e non certo dal disprezzo. Non a caso si parla di epoca borderline, e il termine si addice al vissuto di frontiera che giovani e meno giovani devono tollerare.
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