Scienza e salute/ Parto a domicilio - Simona Minniti, socia dell’Associazione Differenza Maternità di Modena, ostetrica e mamma, racconta la sua esperienza sul parto a domicilio, vissuta in un intreccio tra i diversi ruoli.
Daniela Ricci Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2005
Come è avvenuto il tuo ingresso nell’Associazione?
Sono entrata nell’associazione nel 2000, anno in cui è nata la mia prima figlia. Ero incinta e avevo deciso di partorire in casa. Già da tempo mi ero mossa su questo tema ed era bastato poco per capire quanto fosse problematico affrontare questo particolare aspetto della gravidanza a Modena, dove ancora non esistevano le condizioni istituzionali per partorire a domicilio. L’esperienza del parto a domicilio e l’ingresso nell’Associazione, con l’impegno volto a sollecitare l’applicazione della Legge Regionale 26/98 sul parto a domicilio, sono stati contemporanei. Con le altre donne dell’Associazione abbiamo organizzato diverse iniziative sul tema, sia informative rivolgendoci alla cittadinanza attraverso convegni, incontri e raccolte di firme, sia di sollecitazione nei confronti delle istituzioni, portando le nostre richieste alla Provincia, al Comune ma anche alla Direzione Sanitaria e all’Azienda Sanitaria territoriale.
Che cosa dispone la legge sul parto a domicilio?
La Legge Regionale si basa su tre punti fondamentali: l’umanizzazione del parto in ospedale, la casa da parto e il parto a domicilio. Sul parto a domicilio prevede che le aziende sanitarie locali consentano alla donna di usufruire gratuitamente del servizio, concedendole la facoltà di decidere e scegliere tra le varie professionalità disponibili, quella che la assisterà. Negli anni passati diversi movimenti e gruppi di cittadini, quali il Mipa, hanno promosso a Modena alcune esperienze sul parto a domicilio. Nonostante l’impegno profuso per muovere l’interesse generale su questo tema, fu un’esperienza limitata a un gruppo ristretto di persone molto motivate e informate, di alto livello culturale e sociale. La scelta di partorire a domicilio era fortemente condizionata dal fattore economico, perché i costi della professionista ostetrica li dovevi pagare di tasca tua. Dopo l’entrata in vigore della Legge Regionale venne riconosciuto alla donna che sceglieva di partorire a domicilio, un rimborso pari a un milione e mezzo di lire. Portando la mia esperienza diretta ricordo che, in occasione del secondo parto, questo rimborso non bastò a coprire i costi sostenuti. In quel momento, infatti, non trovai la disponibilità delle professionalità qualificate in città e fui costretta a rivolgermi all’esterno, affidandomi all’Associazione Il Nido di Bologna, una realtà di provata esperienza, estremamente qualificata.
Intanto a Modena cosa succedeva?
Già nel 1999 come ostetrica sono entrata a far parte della commissione istituita dall’Azienda Ospedaliera e dell’USL Azienda Sanitaria di Modena, su indicazione della Regione, per verificare le eventuali modalità di applicazione della Legge Regionale 26/98. Nonostante l’impegno posto da me e da altre due colleghe in questa attività, i lavori della commissione si conclusero con un “nulla di fatto”, sia per quanto riguarda l’organizzazione di una casa da parto, sia per il parto a domicilio. Mancavano le risorse, si disse.
E oggi?
A distanza di quattro anni qualcosa è cambiato. Da qualche mese è stato avviato un progetto legato al parto a domicilio, cui fanno capo Giuseppe Masellis, Responsabile Direzione Salute Donna - USL Azienda Sanitaria di Modena e Paolo Accorsi, Referente progetto Parto a domicilio - USL Azienda Sanitaria di Modena, che mi vede partecipe in qualità di ostetrica professionista, dipendente dell’Azienda Ospedaliera. Insieme con altre colleghe interessate, ho seguito un percorso di formazione sul parto a domicilio. Attualmente, grazie al progetto, abbiamo già seguito diversi parti. Oggi a Modena le donne che decidono di partorire a domicilio possono, quindi, presentare richiesta presso la sede ospedaliera e scegliere l’ostetrica che, in coppia con un’altra, le seguirà. Il protocollo di selezione ricalca protocolli internazionali ed è quindi molto severo, con una restrittiva serie di parametri che non consente a tutte le donne di poter vivere questa esperienza, pur rendendo molto sicuro il parto.
Sul parto a domicilio hai diviso il tuo impegno tra l’Associazione Differenza Maternità, il lavoro e il tuo ruolo di mamma. Come hai vissuto l’esperienza in quest’ultima veste?
E’ stata fonte di grande soddisfazione, come poche altre della mia vita. Mi sono sentita potente e forte. Sì, mi ha fortificato molto. Ho due figli, entrambi nati a casa e oggi sono in attesa del terzo o della terza, lo scopriremo quando arriverà perchè ci piacciono le sorprese, che nascerà con il parto a domicilio. Se sarà maschio si chiamerà Iuri, se femmina Frida o Morgana. Questa volta il nome lo hanno deciso loro, i miei figli: Najma, la maggiore, di quattro anni d’età e Ian, il secondo, di tre anni. Quando sono rimasta incinta della prima figlia lavoravo già in sala parto e mi procurava molta ansia l’idea di vivere l’esperienza del parto come un’interruzione rispetto alla mia vita di sempre, in un posto non mio, estraneo ai miei ritmi e alle mie abitudini. L’opportunità di partorire a casa mi ha permesso di non interrompere il mio percorso, di vivere un’esperienza non traumatica e di legare in un passaggio armonico tutte le fasi che, via via, ho attraversato: la gravidanza, il parto, la nascita della bambina. E’ stato un cammino naturale e sereno, che ha contribuito a creare un clima di grande coinvolgimento anche intorno a me. A partire dal mio compagno che era molto motivato ed ha partecipato attivamente all’esperienza del parto. Ho vissuto con libertà il momento del travaglio, facendo tutte le cose normali che fai quando sei a casa: sono stata nell’acqua, ho girato per casa, mi sono fatta da mangiare, ho fatto l’amore con il mio compagno. Con il secondo figlio è andata ancora meglio. Il travaglio è stato veloce e Ian - 4 chili di peso - è nato con sole tre spinte. Certo ero più serena rispetto alla prima gravidanza, che è arrivata dopo un lungo periodo ininterrotto di lavoro. Ero molto stressata e condizionata dagli aspetti professionali che mi facevano temere tutte le possibili patologie del primo trimestre, poi del secondo, poi del terzo. Ho vissuto la seconda gravidanza, invece, in uno stato di completa beatitudine. Non ero più un’ostetrica, una professionista, ero finalmente solo una donna gravida.
Quali fattori hanno inciso su questa serenità?
Ha inciso molto la consapevolezza di poter decidere e gestire le scelte in prima persona. E la fiducia incondizionata nella professionista che mi seguiva e che ha rappresentato un grande sostegno. Ma anche il supporto delle donne dell’Associazione, persone che ti comprendono e che ti approvano, con le quali puoi confrontarti, insieme alle quali puoi lottare per un obiettivo comune. Perché la scelta di partorire a domicilio, anche nel mio ambiente di lavoro, resta ancora una scelta di poche.
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