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La scatola, il racconto di Matilde Tortora

La scatola, il racconto di Matilde Tortora

"... mi capitava di dovere prendere posto a ridosso di una colonna, e per tutta la durata dello spettacolo dovevo poi fare equilibrismi e .....vedere lo spettacolo con quell’ossuto pilastro che mi faceva da ostacolo..."

Lunedi, 14/02/2022 -

La scatola, il racconto di Matilde Tortora 

C’è stato un tempo in cui sedevo nel loggione a teatro, era tanto il desiderio di vedere quel dato spettacolo che mi accontentavo e acconsentivo al costo più accessibile del biglietto per andarvi.

Ma salire in alto e accedere al loggione, per lo più era affrontare una sequela di scale, contare i piani, accelerare i passi in modo tale che si potesse poi sedere su quegli scranni in un posto dove qualcosa dello spettacolo era possibile vedere, riuscire a seguire.

Ci furono volte in cui, pur essendomi dato vigore nel salire, essendo anche riuscita a dribblare chi voleva sorpassarmi, arrivata lì, mi capitava di dovere prendere posto a ridosso di una colonna, e per tutta la durata dello spettacolo dovevo poi fare equilibrismi e sporgermi di lato e, nonostante tutto, vedere lo spettacolo con quell’ossuto pilastro che mi faceva da ostacolo. E tutto questo faceva di me una spettatrice eroica, eroina anch’io al pari dei personaggi in scena. Ma quanto poi davvero una spettatrice è pure lei un’eroina?

Ieri, domenica di sole qui a Monaco di Baviera, sono stata a vedere una Mostra e mentre mi dicevo che, certo, avrei poi anche fatto una passeggiata, ho trovato nelle belle sale dov’era l’interessante esposizione sui pittori belgi un quadro che in particolare mi ha colpita: Die Loge del pittore Henri Evenepoel, del 1896.

Vi era ovviamente posto a lato anche la traduzione in inglese del titolo: The Box.

Vi ho sostato a lungo. Così tanto è il desiderio della donna ritratta, che Ella fa tutt’uno con la poltrona in cui siede. In mano tiene il binocolo. L’unico chiarore è quello del suo incarnato, tutto il resto è scuro, perfino il rosso della poltrona è scuro. Come deve essere d’altronde in teatro, le luci sono spente, si sta tenendo una rappresentazione e la spettatrice acconsente con tutto il corpo a quella scatola rossa che la contiene, sta interpretando pienamente e volutamente l’essere spettatrice.

Mentre il vigilante in sala mi sbirciava ogni tanto, forse domandandosi che cosa mi stava trattenendo così a lungo a guardare quel quadro, Egli costretto per lavoro alla scatola - stanza dedicata in mostra a quel pittore, io andavo pensando che in teatro è notte, lo deve essere, il buio è essenziale anche se qualche volta ho assistito anche a spettacoli in piena luce, e che quel buio ci consente di vedere “il cielo delle rose” di cui già Ovidio scrisse nelle Metamorfosi e inoltre anche in noi, purché si stia in quella scatola, induce delle trasformazioni, a volte perfino diveniamo cervi come Atteone nel magnifico spettacolo Actéon di Marc Antoine Charpentier la cui prima si è tenuta il 24 gennaio scorso al Théâtre du Châtelet a Parigi, teatro di cui pure sperimentai ossute colonne tanti anni fa in gioventù.

E se quel vigilante avesse potuto leggermi nella scatola del pensiero, avrebbe saputo che mi erano tornate in mente tante altre cose, alcune anche molto peregrine, che ripensavo alla scatola dove mio padre teneva l’occorrente per pulire le scarpe e alla, per me bambina, accattivante scatolina colà riposta della cromatina per le scarpe che mi era interdetto toccare.

E stavo pensando a quanto aguzza pure può essere una scatola con i suoi estremi e che può anche a volte procurarci ferite alle mani, ma tuttavia vi riponiamo memorie, foto, cianfrusaglie solo per noi eloquenti assai che, a volte e tristemente, ritroviamo riversate alla fine su bancarelle, alla portata di mani indifferenti, estranee.

E ripensavo alla bravura di questo pittore che visse solamente ventisette anni ma che seppe porre sulla tela quello che davvero ho poi tante volte anch’io provato, quando finalmente ho potuto permettermi di comprare il biglietto e sedere e divenire tutt’una anch’io con la poltrona rossa fino a che essa pure diventava rosso scuro e a luci spente, ogni volta io davvero mi accingevo a prendere consapevolezza che là sul palco era invece giorno e avrei scorto che l’aurora ha  veramente dita di rosa, qualunque fosse lo spettacolo che si rappresentava, e che di noi sarebbe riuscito sempre poi a dire ogni volta la prossimità e la lontananza e quanto il teatro tutto sia davvero una mirabile, prodigiosa faccenda sempre di corpo, e di aderirvi stando interamente e tanto fortemente là.

Immagine: Die Loge / The Box di Henri Evenepoel, olio su tela, 1896


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