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La rivoluzione (mancata) di Francesco

La rivoluzione (mancata) di Francesco

- Il tentativo di Bergoglio di rinnovare la Chiesa cattolica è profondo, ma sa che l’apertura alle donne provocherebbe una rottura con la parte più conservatrice

Stefania Friggeri Sabato, 30/08/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2014

 Papa Francesco nel settembre 2013 ha chiamato anche i non credenti, insieme ai credenti di ogni confessione, a digiunare e a pregare perché la Siria non venisse attaccata. Se a questo aggiungiamo la lettera a Putin ne viene che il pontefice si pone non solo come guida spirituale ma anche come leader politico che non teme di apparire amico di Assad e dunque di Mosca e Pechino. Con Bergoglio dunque la Chiesa cattolica pare avviata ad uscire dall’autorefernzialità, da quella sorta di autismo per cui i gruppi dirigenti, a cominciare dai papi, si sono sempre preoccupati in primo luogo di “difendere i privilegi che proclamano legati alla propria essenza divina” (Gramsci); e infatti il papa ammonisce i pastori a svegliarsi “dal torpore, dalla pigrizia, dalla meschinità, dal disfattismo” affinché la Chiesa possa rispondere alle domande delle genti che la storia globalizzata , dominata dall’ipermodernità e dalla sovranità della tecnica, ha travolto. E forse solo un papa che viene “dalla fine del mondo” può operare una rottura così innovativa: l’Argentina, dove è nato, è terra di emigrazione (lui stesso appartiene ad una famiglia di emigranti italiani) dove si incrociano etnie e culture molto diverse, dove si possono leggere i connotati del futuro: meticciato, megalopoli enormi e violente come Buenos Aires, la compresenza di fame ed enormi ricchezze, ecc… Un compito così arduo - rinnovare le modalità dell’annuncio evangelico per evitare discordanze e stonature con l’anima di una società fluida attraversata da molteplici, drammatiche contraddizioni - può essere affrontato solo da un gesuita, cioè da un pastore di frontiera come padre Matteo Ricci che nel 1582 andò missionario in Cina dove rimase fino alla morte, stimato e rispettato. Ricci, nella consapevolezza di essere vissuto come l’ “Altro” lontano ed astruso, non predicò il Vangelo come un compendio di verità astratte, come era d’abitudine secondo il modello di un clericalismo autoritario e molto spesso violento. Il padre gesuita non solo imparò a parlare, a leggere e scrivere, a vestire e mangiare come un cinese, ma presentò il messaggio evangelico secondo una modalità rispettosa della secolare cultura cinese che, per sensibilità e percorsi mentali, non era incline ad accogliere il credo cristiano. La lezione sul tema dell’inculturazione di Matteo Ricci è preziosa anche oggi e papa Francesco, guidato dalla sua formazione di gesuita e dall’ esperienza maturata in una metropoli come Buenos Aires, intende liberare la Chiesa dal clericalismo vecchio e nuovo e trasmettere la fede vivendo vicino alla gente, dentro ai processi che permettono di incontrare la vita di tutti. “Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze”, queste sue parole riprendono il messaggio uscito nel 2007 dalla conferenza di Aparecida dove i vescovi latinoamericani hanno indicato la via per affrontare i mutamenti epocali che hanno sconvolto le società del Sudamerica: uscire dal torpore della routine e scendere nelle strade ad incontrare i fedeli uno ad uno. E forse è questo spirito gesuita di frontiera che sta dietro la scelta di Bergoglio di vivere a S. Marta, rifiutando l’appartamento riservato alla sovranità papale che l’avrebbe ristretto nella gabbia della curia. A S.Marta invece il pontefice si muove con maggiore libertà e, nel rapporto più vario e ricco col mondo, può mantenere una vita di relazione più larga e feconda. Una decisione - volta a rompere la tradizionale immagine di sovranità vissuta nella solitudine e nella pompa - che può essere letta anche come un segno dei tempi (che reazioni susciterebbe oggi l’immagine di un papa vestito di ermellino che benedice dall’alto di una sedia gestatoria?) e sta al pari con altre innovazioni, come il Consiglio dei cardinali, ribattezzato C8. Il Consiglio, formato da 8 cardinali provenienti dalle diverse parti del mondo in rappresentanza di tutti continenti, è stato istituito dal papa per consigliarlo sul governo della Chiesa universale e per studiare la revisione della “Pastor bonus” sulla curia romana. Accade così in modo paradossale che papa Francesco, col piglio risoluto ed autoritario del governo monocratico, porti dentro la Chiesa di Roma una riforma come il C8 che rappresenta il primo organismo collegiale in Vaticano. Questo timido passo verso il governo democratico della Chiesa non significa però che papa Francesco, unico sovrano “assoluto” d’Europa, intenda rinunciare al suo potere “ab-solutus” (sciolto da vincoli), anche perché la sua azione di rinnovamento sta scandalizzando molti religiosi reazionari e pertanto Bergoglio ha bisogno di tutta la sua autorità di fronte al rischio che la Chiesa, dopo gli scandali e la moltiplicazione delle “chiese fai da te”, continui a perdere consensi. Ma per evitare che, come ha detto Mazzini, la Chiesa diventi “un ramoscello secco”, il pontefice dovrebbe fare l’unica vera rivoluzione: accogliere la voce delle donne. Ma non vuole e non può: sia perché lui stesso è figlio di una cultura patriarcale che vede in Dio la figura del Padre e permette di ricoprire le cariche religiose solo ai maschi che non hanno rapporti carnali con le femmine; sia perché, rispetto ad altre chiese cristiane, la Chiesa cattolica è la più arretrata e se Bergoglio osasse rompere la tradizione, provocherebbe una deflagrazione incontrollabile culminante nella scissione del ramo conservatore dalla pianta madre. Inoltre, nel rivendicare i diritti della donna, a partire dalla parità di genere, la voce femminile delle donne cattoliche non si alza ferma e risoluta, come quella di Lutero ieri o come quelle di Lefebvre oggi. Forse perché, anche se non manca chi cerca di farsi udire, l’impostazione gerarchica della Chiesa ha creato attraverso i secoli una cultura allergica alla contestazione energica, ai gesti di rottura che spezzano il guscio prezioso sotto il quale si trova identità e protezione: e se le donne cattoliche, guardandosi dentro, si interrogano sulla reale profondità e forza dei loro convincimenti in tema di diritti, può essere che arrivino a qualche conclusione spiacevole.

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