La rivoluzione di Anna e Lou - L'epistolario tra Anna Freud e Lou Andreas Salomè fa emergere il mondo sconosciuto di un pensiero femminile. Forte, intenso e profondo
Providenti Giovanna Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2007
Una delle cose che più amo del mio lavoro di studiosa delle donne è quando mi capita di scoprire personalità e relazioni femminili che hanno il potere di mettere in discussione conoscenze scontate, ribaltare certezze consolidate. E questo vale più che mai quando le donne che scopro appaiono d’improvviso brillare di luce propria, non più del riflesso maschile alla cui imponente ombra, per destino o per scelta, avessero trovato riparo. O occultamento.
Mi riferisco ad Anna Freud (1895-1982), dal cognome ingombrante. E a Lou Andreas Salomè (1861-1937), le cui riflessioni politiche e filosofiche, arricchite da una profonda conoscenza della psicoanalisi a partire dal 1912, non riescono ad emergere come dovrebbero: perchè quando si parla di lei immediatamente la mente va ai suoi rapporti con Nietzsche, al fatto che sia stata l’amante del poeta Rilke, l’allieva di Freud, e in generale alle sue abilità di tessitrice di relazioni più che alle sue riflessioni, sconosciute ai più. Non che le trame relazionali siano meno importanti dell’elaborazione del pensiero, ma quando le due cose camminano insieme ci troviamo di fronte a un portato rivoluzionario potenzialmente enorme e presente in molte delle donne che vado studiando. La rivoluzione sta nella capacità di calarsi pienamente nella realtà, di districarsi tra cielo e terra, astrazione e pratica, creando spazi vitali autentici sia per sé che per le persone con cui entrano in relazione.
La rivoluzionaria luce propria delle donne che vado conoscendo mi appare quando le scovo da sole nella loro stanza ‘tutta per sè’, o anche a parlare tra loro, donne da sole appartate, per qualche momento, dall’imponente figura maschile a cui, magari, devono il loro incontro: è certamente il caso della figlia di Freud e di Lou Salomè, per come mi si sono svelate leggendo il loro interessantissimo epistolario. Si tratta di 451 lettere scritte tra il 1919 e il 1937, recentemente “scoperte”, in Italia, dalla regista e attrice Maria Inversi e dalla germanista Laura Bocci, che le sta pazientemente traducendo, e che ne ha diffuso un primo piccolo assaggio nel corso di un incontro tenuto presso l’Università Roma Tre nel novembre 2006. Il titolo dato all’epistolario dall’editore tedesco è “Come se tornassi a casa da un padre e una sorella”. Ma l’aspettativa data dalla scelta di un tale titolo – che fa apparire l’illustre “padre” centrale nella loro relazione - viene in buona parte tradita dal contenuto delle lettere. In questo fitto e intenso dialogo tra Anna e Lou la presenza di Freud, sempre sullo sfondo, è quella di un uomo certamente molto amato, ma già vecchio e più fonte di preoccupazione per il suo stato di salute, che fonte di ispirazione intellettuale. Le due donne appaiono nutrirsi e illuminarsi a vicenda, più che nutrirsi insieme alla grande mammella del padre della psicoanalisi. Questo risulta già evidente dalla risposta alla lettera da cui è estrapolata la frase del titolo. Ecco come Anna risponde a Lou: “sono così felice di potere essere tua sorella. E tuttavia guardo sempre così in alto quando guardo verso di te”. E in un’altra lettera aveva scritto: “è come se mentre eri qui, io avessi messo su una grande quantità di grasso e ora la consumassi molto lentamente, e tuttavia continuassi ad assaporare che buon sapore abbia…”. E ancora, dopo averle scritto del sentire emergere dall’analisi ‘qualcosa di insensato’, le svela: “è sempre presente il desiderio di potere condividere con te qualcosa di questo aspetto”. E Lou, pur trentaquattro anni più grande di Anna, non è da meno: “ti bacio infinite volte e penso spesso alle tante cose che mi hai detto per aiutarmi”; “cara Anna, quando potremo avere di nuovo uno scambio di idee di persona?”. E così scrivendo: un epistolario lungo e intenso pieno di riflessioni sempre aderenti al proprio vissuto e ai differenti ambienti culturali in cui le due donne vivono e con cui si confrontano. Coltivando una relazione tra loro per niente formale e sempre autentica, le due donne creano uno speciale “spazio vitale”, al tempo stesso autonomo e comune. Il loro è una sorta di esperimento d’amore, inteso non come assoggettamento all’altro, ma come espressione di sé in una relazione di reciprocità. Scrive Lou a Anna il 16 marzo 1925: “su quello che scrivi riguardo a delusioni e incertezze, la penso forse in maniera diversa da te: per me, il distacco può avvenire quasi solo per una propria colpa, o per un proprio cambiamento, perché per amare intendo esclusivamente il mantenere il proprio spazio vitale; e, allo stesso modo, per essere amati, intendo il ricevere (dall’altro) tale spazio vitale. Ma anche questo non è un argomento da trattare per lettera!”.
La conoscenza approfondita di epistolari femminili di questo calibro permetterebbe a noi studiose di alleggerire la storia delle donne dal peso di vicende fatte solo di esclusione, e, soprattutto, potrebbe contribuire a dare un respiro più ampio alla storia del pensiero occidentale, che pecca proprio di eccesso di teoria svincolata dalla pratica. Per questo il nostro compito è quello di rivelare come in figure quali Lou Andreas Salomè dietro il personaggio leggendario ai limiti del parodistico, dietro la donna passionale dalle molte storie d’amore con uomini rinomati della letteratura e delle filosofia (non noti per avere amoreggiato con lei, ma per avere scritto sterili trattati teorici), dietro il suo appassionato agire per amore e anche raccontarsi con amore, non vi sia tanto la debolezza della donna preda dei propri sentimenti amorosi, bensì una elaborazione di pensiero ed una persuasione talmente forti e sicuri della propria valenza da non volersi limitare a fare teoria, ma fortemente volere sperimentarsi nella pratica. E la pratica di ogni teoria è quasi esclusivamente all’interno di relazioni interpersonali reali.
Lou Andreas Salomè nella sua autobiografia dal titolo “Il mito di una donna” intreccia continuamente il filo delle proprie riflessioni, in perenne evoluzione e discussione, con il racconto delle sue relazioni. Ed anche se i nomi che cita appartengono a uomini molto famosi quello che conta nella tessitura del suo libro non è tanto la notorietà del suo interlocutore quanto quello che il dialogo avuto con lui ha comportato per lei e per la sua crescita personale: nel suo spazio vitale sempre autonomo, nella sua inguaribile voglia di crescere ogni giorno un po’ di più.
Anna Freud, già dal breve epistolario da me letto appare come una donna al tempo stesso volitiva e dall’ampio respiro intellettuale, pur tra le molte preoccupazioni famigliari, riguardanti per lo più la malattia del padre e la società Psicoanalitica di Vienna, le cui necessità pratiche sono in entrambi i casi gestite da lei. Ma mi sento di potere affermare che non deve essere un caso se Anna Freud un anno dopo avere scritto il suo libro più teorico, dal titolo “L’io e i meccanismi di difesa”, fonda e organizza a Vienna, assieme a Dorothy Burlingham, un asilo a conduzione psicoanalitica (aperto soprattutto a bambini poveri) in cui mettere in pratica quanto aveva teorizzato. E non deve essere neanche un caso che a costruire questo asilo fossero due donne in relazione tra loro, e ad incoraggiare il loro lavoro ci fosse proprio lei, Lou, madre simbolica, che tre anni prima della fondazione dell’asilo scriveva ad Anna, a proposito del suo lavoro e della relazione con la Burlingham: “Nonostante il superlavoro ce l’hai fatta e ‘ti viene in mente sempre qualcosa’, come dici tu: il tuo cervello deve funzionare a meraviglia se non è ancora stanco, nonostante tutto. Ne parli anche direttamente con Dorothy? Poiché lei stessa è così attiva nel pensiero psicanalitico, questo è probabilmente un modo nuovo di stare insieme. Darei volentieri un’occhiata da lontano, in questo momento quel che riguarda voi è tutto speranze e aspettative” (9.12.1934).
Ecco quello che vorrei emergesse dalla storia delle donne: la ferrea volontà di mettere in pratica le riflessioni teoriche (ad esempio, attraverso la costruzione di istituti educativi o di centri sociali, come anche nel caso di Maria Montessori e Jane Addams) e il loro modo di stare insieme in modo nuovo, come scriveva Lou Salomé ad Anna Freud.
(4 gennaio 2007)
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