Intervista a Manuela Tomei - Fino al 18 giugno a Ginevra, Svizzera, si tiene la 99^ sessione della ILC, International Labour Conference. In via di definizione un nuovo quadro normativo internazionale sul lavoro domestico
Ribet Elena Lunedi, 14/06/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2010
Manuela Tomei dirige il Dipartimento per il Lavoro, Settore protezione sociale, presso l’ILO (International Labour Office).
Laureata in Scienze Politiche Cum Laude presso l’Università di Torino e in Lingua e Letteratura spagnola presso l'Università di Panama, è consulente ed esperta di lavoro. Tra i suoi incarichi quello di Senior Specialist sulla Discriminazione.
Cosa emerge dalle consultazioni avviate dall’ILO con gli Stati Membri per definire un quadro normativo internazionale sul lavoro domestico?
Il dato positivo è l’alto tasso di risposta al questionario inviato a tutti gli stati membri da parte dell’Organizzazione. Sono state raccolte opinioni sulle proposte fatte dal’ufficio in numero molto elevato. Questo è un punto di partenza incoraggiante che testimonia un interesse reale per questa problematica.
Un altro dato incoraggiante è che, su un totale di 90 risposte, la maggioranza dei governi, per la precisione i due terzi, si sono espressi a favore di uno strumento vincolante.
La maggioranza dei governi è favorevole sia all’ipotesi di una convenzione, vincolante per lo stato che lo ratifica, sia a quella di una raccomandazione, che possa fungere da orientamento e guida su come raggiungere i risultati indicati.
Ne emerge un sentire comune e generalizzato sulla necessità di eliminare le disparità che oggi esistono tra lavoratori domestici e altri lavoratori in materia di condizioni di lavoro, sicurezza sociale, sicurezza e salute nel posto di lavoro.
È necessario eliminare il gap che esiste in termini di diritti e per fare questo la raccomandazione farà luce e darà gli elementi concreti su COME raggiungere l’eguaglianza nei fatti.
Il lavoro domestico è in una fase di espansione?
Abbiamo chiesto agli stati se ritenessero indispensabile stabilire norme internazionali a riguardo e perché. Tra le risposte è significativo rilevare l’esigenza di fare questo passaggio adesso: c’è un riconoscimento del fatto che il lavoro domestico è in forte ascesa in tutti i paesi del mondo; non è un fenomeno circoscritto ai paesi industrializzati rispetto a quelli cosiddetti in via di sviluppo, ma è un fenomeno globale.
L’aumento di domanda di servizi domestici remunerati permette il riconoscimento del fatto che parliamo di milioni di lavoratori e lavoratrici: non si tratta di marginale o residuale forza lavoro.
Si tratta di persone che a causa della loro invisibilità molto spesso non sono protette dalla legge, nonostante il loro contributo sociale ed economico. Sono quindi vulnerabili ad abusi di diverso tipo.
Stiamo parlando di una categoria deficitaria in termini di lavoro dignitoso. Ovunque, dal punto di vista giuridico e legale, non sono riconosciuti lavoratori a tutti gli effetti ed è in atto un trattamento differenziato e discriminatorio nei loro confronti.
Infine, tra le altre ragioni per affrontare questi temi, ricordiamo che si tratta spesso di lavoro informale, non dichiarato.
Stabilire e identificare principi, misure, incentivi, politiche per far emergere il lavoro domestico contribuirebbe anche alla lotta contro il lavoro nero.
A cosa è dovuto l’aumento della richiesta da parte delle famiglie di servizi domestici?
Ci sono molti fattori concomitanti: i cambiamenti demografici, l’invecchiamento della popolazione, elementi che presuppongono maggior carico per la famiglia. È in atto inoltre un processo di erosione dello stato di benessere (carenza o assenza di servizi o strutture di carattere sociale e di assistenza, asili, Tech Centres, case adatte a persone con disabilità o persone avanti negli anni, semiautonome, che magari abitano sole).
Poi c’è il fenomeno universale delle donne, maggiormente occupate, che continuano a rimanere nel mercato del lavoro retribuito anche dopo la nascita dei figli. C’è inoltre una stagnazione del potere d’acquisto dei salari, c’è sempre più bisogno di un stipendio in più per sbarcare il lunario.
Un altro elemento è quello della femminilizzazione dell’emigrazione in cerca di lavoro. Si tratta in maggioranza di donne, e l’occupazione per loro nei paesi di accoglienza è essenzialmente nel settore dei servizi e in particolare quello della cura.
9 su 10 colf o badanti, in Italia, sono donne. Sebbene i lavori domestici di per sé non siano ‘maschili’ né ‘femminili’, sembra che la maggioranza degli uomini non ci pensi affatto a fare la sua parte… Cosa ne pensa?
Esiste una segmentazione, ma nella definizione di lavoro domestico rientrano anche occupazioni eseguite prevalentemente da uomini: autisti privati, giardinieri, maggiordomi, guardie del corpo, guardiani… attività essenzialmente “maschili”, ma se compariamo i salari e le condizioni di lavoro rispetto a chi fa la cuoca o la donna delle pulizie, il trattamento è sempre superiore. Le pulizie o il lavoro di cura fatto dalle donne è percepito come lavoro storicamente senza valore, senza remunerazione, quindi si pensa che non richieda particolari conoscenze e competenze, che chiunque sia in grado di farlo, come se le donne avessero scritto nel dna di rammendare, cucinare, occuparsi dei bambini. Invece, come in tutti i mestieri, sono competenze che nascono con l’esperienza.
Come si potrebbero definire le competenze del lavoro domestico?
Il lavoro porta dignità e valore. Il lavoro domestico tradizionalmente non è considerato un vero lavoro. Mi sono sentita ripetere in più occasioni che la lavoratrice domestica “non è una lavoratrice, ma fa parte della famiglia”. È una frase retorica con implicazioni molto precise. Siccome ci sono vincoli affettivi, la tratto molto meglio di un lavoratore e in qualche modo il diritto non interviene, perche va aldilà, diluendone però il valore socioeconomico. Riconoscere il lavoro domestico come tale, quindi avente un diritto uguale agli altri, ha una portata molto importante a livello concreto e a livello di immaginario collettivo.
Il lavoro domestico è multitasking, richiede di prendere decisioni rapidamente, richiede capacità di gestire bambini piccoli o adulti non autonomi, persone anziane. Bisogna saper dare risposte immediate a problemi che sorgono sempre diversi, ci vuole adattamento, flessibilità, capacità organizzativa. È un tipo di lavoro
che può mutare da un giorno all’altro, pieno di imprevisti, che richiede un continuo aggiustamento.
Ci vuole capacità di ascolto, di empatia, è un lavoro che coinvolge una interazione costante con altre persone, oltre alla conoscenza del know-how e a una buona salute. Queste capacità si chiamano softskills.
E poi c’è il problema della sicurezza…
Certamente. Bisogna eliminare o correggere le sottovalutazioni di tutto ciò che accompagna il lavoro domestico come non associato a rischi. Il fatto che “lavorare in casa” sia più “gradevole” che in fabbrica, non significa che non ci siano dei rischi. Senz’altro le morti dovute al lavoro domestico sono meno frequenti rispetto ad altri settori, ma gli incidenti invalidanti detengono il primato con un tasso di incidenza molto più alto della media. Non si muore, ma ci si fa male proprio a causa della sottovalutazione dei rischi professionali: uso di sostanze tossiche, sollevare pesi o persone, cadute, utilizzo strumenti elettrici, bruciature. “A casa” ci si sente in un posto sicuro e protetto, ma non è così.
Quali soluzioni pratiche possibili?
Uno degli elementi chiave è la remunerazione. Si prevede che laddove esistano salari minimi (attraverso contratti collettivi o leggi ad hoc), siano stabiliti su base di criteri obiettivi che tengano conto di competenze, responsabilità, condizioni.
In Francia ad esempio già c’è una grande attenzione per questo settore in grande sviluppo e lo stato è intervenuto con forza attraverso partnership pubbliche e private che prestassero attenzione alle condizione di lavoro e ai rischi professionali.
Pur essendo retribuito, spesso il lavoro domestico è considerato poco importante. Qual è la sua opinione?
Un altro nodo è proprio quello della “Professionalizzazione” del lavoro domestico. Se questa avviene, una “donna di servizio” diventa una donna che fa le pulizie per un’impresa, ma si tratta sempre di un passaggio in orizzontale e non in verticale. Io credo che ci sia bisogno di una “professionalizzazione” del lavoro domestico, in primo luogo per mettere in rilievo la molteplicità delle funzioni, quindi per rafforzare l’identità professionale di chi fa questo lavoro, di cui si può essere orgogliosi/e. Il riconoscimento del valore, la certificazione delle competenze hanno come effetto non solo il rafforzamento dell’identità anche collettiva come lavoratrici e lavoratori, ma anche il miglioramento del potere negoziale verso lo stato e verso il datore di lavoro. È necessario un riconoscimento giusto, senza regali a nessuno: è un lavoro estremamente importante che si dovrebbe tramutare in uno status sociale più elevato. Questo dovrebbe contribuire a far sì che divenga più attraente anche per gli uomini.
La femminilizzazione delle occupazioni ha luogo anche perché il lavoro in questione è caratterizzato da un basso status e remunerato così poco che gli uomini non ci si adeguano. La rivalutazione del lavoro attraverso un riscontro monetario contribuirebbe alla diversificazione del genere, di pari passo con una più equa divisione di lavoro domestico non remunerato nelle famiglie. È una rivoluzione che deve avvenire simultaneamente nel privato e nel mercato del lavoro.
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