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La rivoluzione ‘confiscata’

La rivoluzione ‘confiscata’

Tunisia - Pragmatiche, lucide e combattive. Le tunisine lottano, oggi, per preservare diritti già conquistati

Marcella Rodino Domenica, 14/07/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2013

"Oggi le associazioni femministe e la società civile in Tunisia non lottano più per ottenere l’uguaglianza effettiva e totale, ma lottano per preservare i diritti che avevano già acquisito”. Sono le parole della giornalista e blogger tunisina Leena Ben Mhenni, ospite in Italia in un incontro tutto al femminile sulle Primavere arabe promosso dalla Fondazione Carical. Al suo fianco Joumana Haddad, giornalista e scrittrice libanese, e Jamila Hassoune, “libraia itinerante” di Marrakech.

“Il risveglio delle coscienze è ormai in atto - spiega Mario Bozzo, Presidente della Fondazione Carical, che da sette anni sostiene il Premio per la Cultura Mediterranea – e, se attraverso il dialogo interculturale, si riuscirà a riscoprire e a rilanciare punti di contatto e convergenze su ideali comuni, le sponde del Mediterraneo potranno tornare a essere una sorgente di civiltà e di progresso”.

Realiste, pragmatiche, lucide e combattive. Donne in prima linea, pronte a continuare a lottare per ottenere quelli che definiscono “diritti di tutti”. Il riconoscimento della parità di genere non è per loro un lusso. Uno stato civile e democratico deve fondarsi sull’uguaglianza, dicono, sul riconoscimento dei diritti di tutto il popolo.

Negli occhi di Leena Ben Mhenni non si vedono gelsomini. È una donna minuta, di 29 anni, con l’espressione di chi non ha vinto nessuna battaglia e che si vede ancora in prima linea. Con lo sguardo fisso davanti a sé, pronuncia parole dure, di chi sulla sua pelle vive quella che noi amiamo chiamare “transizione democratica”. “Dopo due anni dalla rivoluzione la situazione in Tunisia non è buona - afferma Leena -. Si è registrata una regressione da più punti di vista: economico, politico, sociale e dei diritti, in particolare quelli delle donne”. La Tunisia, rispetto al resto del mondo arabo, era un paese all’avanguardia per i diritti riconosciuti alle donne, dentro e fuori la famiglia. Risale al 1955 il Codice dello statuto personale, motivo di orgoglio di fronte al mondo occidentale. Il contesto della Tunisia è veramente differente da quello di altri paesi della regione araba, ci spiega Leena, come l’Egitto, il Libano, i Paesi del Golfo, dove per esempio la poligamia è una pratica riconosciuta. “In Tunisia la poligamia non esiste dal 1955 e anche prima non faceva parte della nostra tradizione – racconta Leena -. Ma oggi stiamo assistendo a una regressione oscurantista che parla di poligamia, di introduzione della Sharjah nella Costituzione e nella società”. Altra situazione quella raccontata da Jamila Hassoune: “In Marocco – spiega -, ci sono state nel 2011 manifestazioni, sollevamenti popolari, ma il paese aveva già vissuto periodi di forti cambiamenti 10-15 anni prima. Con l’arrivo del nuovo Re, infatti, è stato per esempio redatto il nuovo Codice di Famiglia”. Nel 2011, comunque, il “Movimento 20 febbraio” scendendo in piazza ha portato in pochi mesi alla modifica della Costituzione, passo importante nel processo di democratizzazione del Marocco”.

L’intellettuale libanese Joumana Haddad chiarisce lo stato d’animo di chi ha creduto nella rivoluzione. Parla di popolazioni che vivono l’incubo dei due mostri, quello della dittatura appena scacciato e quello islamista, attualmente al potere. “Purtroppo quello che sta succedendo da due anni nel mondo arabo non si può considerare una primavera - afferma -, anche se le dittature dovevano cadere e hanno anche tardato a farlo. C’è un nuovo mostro, islamista, che ha in qualche modo preso in ostaggio quelle rivoluzioni”. Il mostro islamista di cui parla Joumana è però stato eletto a maggioranza dai cittadini, con regolari elezioni democratiche. “Sono convinta – continua Joumana - che non ci possa essere un cambiamento positivo per i popoli del mondo arabo se non si conquista la laicità dello Stato”, portando ad esempio il caso della Turchia e il partito al potere AKP, che ha saputo conciliare l’ispirazione religiosa con la laicità dello Stato. “Purtroppo nel mondo arabo siamo ancora lontanissimi da questo ideale. Persino in Libano i leader religiosi hanno il permesso di interferire di continuo nella vita politica, sociale, privata dei cittadini”. Altrettanto dura sui partiti islamisti al potere è Leena Ben Mhenni: “Ho l’impressione che la rivoluzione tunisina sia stata confiscata, che sia necessario continuare a lottare per rimetterla sui binari e per creare veramente uno stato democratico”. Leena racconta che in molti dei paesi occidentali in cui è stata dalla caduta di Ben Ali l’informazione circolante parla di una rivoluzione compiuta, del successo della Primavera araba. “Se Ben Ali faceva propaganda giocando sul tema dei diritti riconosciuti dallo stato tunisino - spiega Leena - ora chi è al potere gioca sulla propaganda della moderazione”. Una moderazione che secondo Leena e Joumana non risponde alla realtà. “Forse dovremo ancora aspettare 10-15 anni - afferma la scrittrice libanese - per poter finalmente arrivare a una primavera, di cui abbiamo bisogno non solo come donne, ma anche come uomini”. E aggiunge, non solo nel mondo arabo. “Ogni volta che vengo in Italia, leggo storie orrende di violenza a cui sono sottoposte le donne. Mi fa male al cuore che questo Paese, dove è stata fatta una lotta importantissima negli anni ‘60 e ‘70, stia adesso affrontando questi problemi. Credo che sia necessario continuare a lottare, svegliarsi ogni giorno e andare a fare la guerra. Non possiamo considerare i nostri diritti come assicurati. Li dobbiamo difendere ogni giorno”.

A Jamila chiediamo quale potrebbe essere il ruolo dell’Occidente nel sostenere la nascita di nuove democrazie. “Non so dire se l’Occidente ha o avrà un ruolo nei processi democratici, perché ognuno di noi deve essere e rimanere indipendente. Bisogna però che l’Occidente cambi i suoi stereotipi e che ci sia comprensione, dialogo egualitario a partire dalle stesse basi”. La battaglia quotidiana di Jamila è quella di elevare i giovani, di renderli curiosi e capaci di informarsi. “Ed è in questo modo - conclude - che si diventa un buon cittadino”.



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