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LA RISOLUZIONE 1325/2000

LA RISOLUZIONE 1325/2000

Strumento di pace - Le donne nei processi di pace: spunti per un dibattito italiano in una prospettiva internazionale

Giovedi, 10/12/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2009

Adottata del Consiglio di Sicurezza dell’ONU nell’anno 2000, la sua peculiarità è nel riferimento ai diritti delle donne in un settore specifico e cruciale, quello della pace e della sicurezza.

La 1325 rafforza - estendendoli a tutte le parti in conflitto e nonché alle parti "terze” - importanti impegni derivanti dal più ampio trattato sui diritti delle donne (CEDAW), quali: la piena partecipazione delle donne nei processi decisionali a tutti i livelli; il ripudio della violenza contro le donne e l’istanza della loro protezione; la valorizzazione delle loro esperienze e la consultazione con gruppi di donne.

“Madre” di risoluzioni successive dal contenuto più specifico (come la 1820 del 2008), essa delinea un sistema ampio di obiettivi a garanzia della prevenzione e della partecipazione e protezione delle donne nei contesti di conflitto (paradigma delle 3”P”), rappresentando - per il riconoscimento del loro ruolo attivo nella promozione della pace - ancora oggi uno degli strumenti, pur meno noti, più cari alle donne.

Mentre il quadro normativo si rafforza, rimangono tuttavia ancora deboli gli strumenti a garanzia della piena attuazione degli impegni assunti in sede internazionale: anche nei 16 paesi che hanno già adottato un Piano d’Azione Nazionale (NAP) per l’implementazione della 1325, lo sviluppo di indicatori e di sistemi di verifica rimane uno dei principali obiettivi di azione dei gruppi di donne che sostengono lo sviluppo delle politiche in materia a livello nazionale, regionale e globale.

Un segnale positivo si registra oggi anche in Italia, dove è stato avviato il processo per la elaborazione di un Piano Nazionale d’Azione.

Un passo decisivo nella giusta direzione, che si auspica possa portare al raggiungimento dell’obiettivo entro la tappa cruciale del prossimo ottobre, quando – in occasione del 10° anniversario della risoluzione - in sede EU e ONU ci si confronterà sui risultati finora raggiunti, in vista delle immancabili nuove sfide.



Luisa Del Turco



 





FONDAZIONE PANGEA



Il diritto alla Pace negli ultimi anni sta diventando sempre di più un’urgenza a livello mondiale. L’evidenza ci porta a dire che non basta l’impegno solo dei politici o gli interventi esterni di Paesi stranieri per ricostruire la Pace dove questa è stata messa completamente in discussione. La società civile è la vera chiave di volta per ristabilire la PACE duratura nelle aree di conflitto, senza il suo coinvolgimento difficilmente si potranno garantire sicurezza e sviluppo nel mondo. Le donne sono fortunatamente sempre più presenti ed attive in questi processi di riconciliazione e ricostruzione del tessuto sociale, culturale, economico nelle aree di conflitto e post conflitto. Malgrado tutti gli ostacoli e le discriminazioni che devono affrontare quotidianamente, senza mai dimenticare i ruoli che ricoprono a livello familiare, la cura per la loro famiglia, il lavoro per portare qualcosa da mangiare a casa, le donne pensano e agiscono sempre di più esponendosi in prima persona. Tessono relazioni, influenzano punti di vista e posizioni, alzano la voce per reclamare i loro diritti, primo fra tutti quello a vivere in Pace ed in sicurezza. Questa è l’esperienza di Fondazione Pangea con le donne in Afghanistan, in Nepal, nella Repubblica Democratica del Congo, donne che ricominciano da se stesse come soggetto politico nuovo, senza considerarsi vittime tout court, né imbracciando armi. La risoluzione ONU 1325 ha riconosciuto l’importanza del loro ruolo e delle loro pratiche. Oggi sta a noi, Governi e società civile dei “paesi in Pace”, riconoscere il giusto peso “politico” e gli aiuti necessari allo sviluppo delle loro azioni nella costruzione della pace.

Simona Lanzoni



Per ulteriori informazioni sul lavoro di Fondazione Pangea si può visitare il sito:

www.pangeaonlus.org



 





GENDER E DDR



I programmi di DDR (disarmo, smobilitazione e reintegrazione degli ex combattenti), nei paesi in post-conflitto assicurano i processi essenziali per ristabilire la pace, promuovere profonde trasformazioni all’interno della società ed eliminare le cause che hanno generato il conflitto.

Se le donne vengono escluse dal processo di DDR si perdono molte delle opportunità finalizzate a trasformare la società e ricostruirla su riforme istituzionali che assicurino relazioni di genere più giuste e paritarie.

La SC Res. 1325 raccomanda di prendere in considerazione le prospettive di genere, includendo i bisogni specifici delle donne e delle giovani, durante il rimpatrio ed il reinserimento degli ex combattenti e nei programmi di ricostruzione subito dopo la guerra, ponendo un’enfasi particolare alla partecipazione delle donne nella pianificazione delle attività di DDR.

Nella Repubblica Democratica del Congo numerose donne e ragazze hanno preso parte attiva al conflitto, alcune di loro si sono arruolate volontariamente altre sotto la costrizione dei comandati dei gruppi armati, la loro partecipazione al conflitto si è svolta sotto varie forme, fornendo supporto logistico per trasportare armi, per riferire messaggi, come schiave sessuali ed in molti casi come vittime di stupri.

L’applicazione di un approccio squisitamente militare nella definizione dei contenuti ed obiettivi del programma nazionale di Disarmo Smobilitazione e Reintegrazione degli ex combattenti e della relativa designazione dei beneficiari dei progetti di reintegrazione, privilegiando quelli che provenivano dal fronte e che avevano usato le armi, ha escluso dai progetti di reintegrazione socio economica degli ex combattenti migliaia di donne e ragazze che hanno preso parte al conflitto.

Le associazioni delle donne per la Pace della RD Congo hanno promosso campagne d’informazione a livello nazionale sui contenuti della Risoluzione1325, sul ruolo delle donne nei processi di pacificazione e nella riforma del Sistema di Sicurezza lottando affinché nelle riforme istituzionali dei programmi di ricostruzione nazionale il principio di parità di genere venisse garantito.



Augusta Angelucci*



*Ha lavorato dal 2003 al 2007 in DRC per l’UNDP in qualità di Senior Gender Advisor

 







ACTIONAID NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

LE SFIDE DELLA UNSCR 1325 sul Campo




Da anni la regione del Kivu nell’est della Repubblica Democratica del Congo è teatro di violenze e stupri che solo nel primo semestre del 2009 hanno superato i 5000 casi. "Attualmente la RDC ha la più alta incidenza di stupri al mondo, ma le statistiche rappresentano solo una parte di ciò che realmente succede", ha recentemente affermato Dede Amanor-Wilks, direttrice di ActionAid per l'Africa centro-occidentale. ActionAid ha iniziato a lavorare in Kivu nel 2002: tra le attività svolte nella zona ci sono progetti di supporto alle donne vittime di violenza per garantire loro cure mediche, riparo, sostegno psicologico, risposta all’HIV/AIDS, accesso alla giustizia e partecipazione nelle iniziative che livello locale tentano di costruire la pace.

Nel conflitto che insanguina l’area, lo stupro è un'arma a tutti gli effetti e il corpo delle donne è campo di battaglia. Un anno fa insieme al partner locale SAUTI (Sauti ya Mwanamke Mkongomani, Voci di Donne del Congo), ActionAid ha sostenuto un evento pubblico a Goma, dove diverse centinaia di donne vestite di nero si sono ritrovate per chiedere con forza la pace e la fine dell’impunità nelle violenze. Un segno di coraggio per denunciare le violenze subite – parole e silenzio per sottolineare la solennità e l’importanza del loro trovarsi insieme. Gli stessi gruppi di donne attive sul fronte della mobilitazione hanno incontrato rappresentanti ufficiali a livello nazionale e presso la Missione delle Nazione Unite (MONUC) per chiedere un più serio ingaggio da parte delle autorità. Consapevole di quanto sia importante la formazione, ActionAid ha organizzato iniziative con personale di polizia, militare e paralegale per contribuire alla fine dell’impunità, accrescere la consapevolezza da un lato degli specifici abusi subiti dalle donne in condizioni di conflitto e dall’altro di quanto sia cruciale includere autenticamente le donne nei processi di pace.



Beatrice Costa



Per ulteriori informazioni sul lavoro di ActionAid si può visitare il sito:

www.actionaid.it



 





Il 10 Dicembre 2009 alle ore 16.00, si è tenuta la conferenza internazionale “La risoluzione ONU 1325 del 2000. Le donne nei processi di pace: spunti per un dibattito italiano in una prospettiva internazionale” presso la Provincia di Roma, sala del Consiglio Provinciale, Palazzo Valentini - Via IV Novembre 119/A. Presenti ospiti dall’Afghanistan e dalla zona dei grandi laghi in Africa, che lavorano per l’implementazione della 1325 con le diverse comunità nel post-conflitto per costruire relazioni di pace a partire dalle donne. Inoltre delle rappresentati europee della società civile impegnate nella redazione e nell’implementazione del piano di azione dei rispettivi paesi per la 1325. Verrà presentato il filmato “Pray devil back to hell” una prima italiana sul decisivo contributo delle donne liberiane nella costruzione del processo di pace del proprio paese.

La conferenza è organizzata dalla Fondazione Pangea onlus in collaborazione con il Centro Studi Difesa Civile, le Donne in Nero, Action Aid e la rivista NoiDonne.

L’evento, è promosso dal Forum Pace, Diritti Umani e Solidarietà Internazionale della Provincia di Roma, in collaborazione con la Presidenza del Consiglio Provinciale, nell’ambito della IV settimana per la pace e i diritti umani dal titolo “Onora la madre, tutti figli della stessa terra”.



(10 dicembre 2009)

 



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