Europa orientale e meridionale - Uno sguardo d’insieme su donne e lavoro nelle giovani democrazie dell’Est e del Sud evidenzia un preoccupante e generalizzato arretramento dei diritti
Cristina Carpinelli Lunedi, 20/06/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2011
Con la crisi economica mondiale, le giovani democrazie dell’Europa dell’Est e del Sud stanno arrancando in una seria recessione. Il crollo si è abbattuto su finanza, assicurazioni ed edilizia, settori tipicamente maschili, ma anche su servizi e commercio, dove gran parte delle maestranze sono donne. Molti lavoratori sono espulsi dal mondo del lavoro. Di questi, le donne sono in numero superiore: tenendo conto delle differenze nei livelli occupazionali tra i sessi, si può affermare che le donne sono le vittime predestinate della recessione. L’impatto della crisi ha colpito in modo particolare le donne già provate dagli anni della transizione durante cui i tassi d’ingresso e d’uscita dal lavoro (maschile e femminile) si ripartirono iniquamente a loro grande svantaggio.
Quando l’indice GEI (Gender Equity Index) segna regressioni a livello nazionale, per la maggior parte dei casi si tratta di passi indietro nella partecipazione delle donne all’economia. Questo, come afferma il Social Watch (Report 2010), è il caso dell’Europa orientale e meridionale, che presenta il peggioramento più consistente. L’indice GEI 2009, riferito allo Stato di Slovenia, che è il paese con il Pil più alto tra le c.d. economie in transizione, corrisponde al 65%. Un valore piuttosto basso, principalmente causato dalla scarsa presenza femminile negli organi legislativi (12,2%). La situazione è decisamente migliore nel settore degli affari dove le slovene occupano circa il 20% delle cariche direttive.
La Repubblica di Macedonia, che nel passato aveva goduto di elevati livelli di partecipazione femminile all’economia, si trova nel gruppo di quelli che hanno fatto marcia indietro (43,5% - dati Eurostat, 2010). Slovacchia, Croazia, Ungheria e Bulgaria presentano tassi di disoccupazione femminile sotto alla media europea (9,5%) e in costante peggioramento nel corso degli ultimi anni (dati Eurostat - 2010) . Il Forum delle donne indipendenti d’Albania ha di recente denunciato l’alto tasso di disoccupazione femminile delle albanesi (19%), connesso alla privatizzazione del mercato del lavoro e agli elevati tassi migratori.
La globalizzazione dei mercati ha prodotto la delocalizzazione degli impianti produttivi da parte di imprese e multinazionali. Si è esteso, in questo modo, il lavoro dipendente mal pagato e precario, specialmente fra le donne. Molte realtà imprenditoriali italiane hanno trasferito in Romania considerevoli investimenti finanziari e tecnologici. Queste realtà imprenditoriali si sono insediate, in particolare, nella provincia di Timişoara, che attualmente dà parecchio lavoro alla manodopera autoctona dal costo “contenuto”: nelle imprese calzaturiere, dove le occupate sono tutte donne rumene, i lavoratori percepiscono un decimo del salario italiano.
Un dato in controtendenza arriva dalla regione del Baltico. Nelle tre piccole repubbliche, la crisi economica si è pesantemente abbattuta tra il 2007-2010. I settori dell’economia che sono stati colpiti sono il primario (agricoltura e allevamento) e il secondario (costruzioni navali e industria meccanica, chimica ed elettronica) dove è occupato il 50% della forza lavoro del paese, quasi tutta maschile. Il settore terziario, in cui è al contrario concentrata gran parte della manodopera femminile, non ha subìto i contraccolpi della crisi. Questa situazione si è riflessa sui tassi di disoccupazione: l’Estonia è al primo posto per il tasso maschile di disoccupazione più elevato di quello femminile (rispettivamente 19,7% e 11,2%). Seguono Lituania (18,6% e 10,6%) e Lettonia (26,6% e 19,2%) - dati Eurostat 2010. Questo orientamento, spiccatamente marcato nel Baltico, si è riscontrato anche in tutta l’Ue-27. Ciò è dovuto al fatto che i settori dell’industria e della costruzione, a prevalenza di manodopera maschile, sono stati duramente segnati dalla crisi. Negli ultimi mesi del 2010, però, i tassi di disoccupazione femminile e maschile sono cresciuti allo stesso ritmo e questo riflette l’allargamento della crisi ad altri comparti, in cui la composizione degli occupati per sesso è più equilibrata di quella dei settori ridotti per primi.
La condizione delle donne serbe non è dissimile a quella che si riscontra in molti altri paesi: stipendi più bassi rispetto a quelli degli uomini, scarsa presenza femminile nei ruoli dirigenziali, difficoltà a conciliare famiglia e carriera, ecc. Le donne serbe, però, appaiono meno consapevoli dei loro diritti. Un sondaggio del Centro belgradese per i diritti umani e dello “Strategic marketing” (2009) ha rivelato che più della metà delle donne interrogate non sapeva che al colloquio di lavoro il datore non ha diritto di chiedere informazioni sulla situazione familiare della candidata. Secondo i dati 2010 dell’Eurobarometro, le disuguaglianze delle retribuzioni tra donne e uomini sono nella Repubblica Ceca tra le più alte dell’Ue. La Cechia si colloca al penultimo posto tra i 27 paesi europei. In media le retribuzioni delle donne sono inferiori del 26% rispetto a quelle degli uomini (la media europea è del 18%.).
Secondo una ricerca condotta nel 2010 dal sito fizetesek.hu, le donne ungheresi guadagnano in media un quarto in meno rispetto agli uomini. La differenza tra gli stipendi cresce sino al 31% tra coloro che possiedono un titolo universitario. Il gap fra le retribuzioni delle donne e degli uomini a livello dirigenziale figura essere pari al 29%, mentre è del 23% per gli operai specializzati e solo del 7% per i lavoratori non specializzati. Di recente il governo ungherese ha deciso di ripristinare il congedo di maternità di tre anni con effetto retroattivo. Inoltre, le madri che opteranno per il ritorno al lavoro con orario part-time otterranno i rimborsi per la maternità solo se lavoreranno per un massimo di 4 ore al giorno. Il precedente sistema di maternità dava alle madri la possibilità di mantenere il loro posto di lavoro durante i loro 3 anni di assenza per prendersi cura dei neonati, con pagamenti di maternità in misura decrescente ogni anno. La Bulgaria è, invece, il paese dove si registra l’offerta più scarsa di servizi all’infanzia, con un tasso d’occupazione femminile che diminuisce sensibilmente con l’aumentare del numero dei figli: donne con un figlio (77,6%); donne con tre o più figli ( 44,3%) - Eurostat 2009. Infine, in Croazia, il divario maggiore fra retribuzioni maschili e femminili emerge innanzitutto nelle imprese straniere occidentali, presso cui i lavoratori guadagnano di media il 29,8% in più delle lavoratrici, demolendo il senso comune secondo cui queste imprese sarebbero esportatrici di modelli del lavoro avanzati.
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