Il romanzo d'esordio di Sara Valieri, Cento Lune, uscito per la milanese Autodafé Edizioni, racconta il sogno quotidiano logorato dall'infertilità, sullo sfondo disilluso della provincia padana.
Martedi, 03/10/2017 - Non avevo idea di quanto la narrativa, chiamiamola così, genitoriale fosse popolare fino a quando è nato mio figlio. È stato lo scorso anno, e le pagine fatte dei giorni di mamme e papà accompagnavano i miei scampoli di notti di mamma appena nata. I miei interrogativi sospesi erano così mitigati dal balsamo dell’esperienza altrui, messa su carta con parole che convertivano la quotidianità spicciola in pagine di piacevole letteratura. Al tempo, lavoravo con l’editor della casa editrice con cui avevo appena firmato il contratto di pubblicazione della mia opera narrativa d’esordio. Avevo scritto anch’io di quotidianità - tanto che il mio è stato definito romanzo quotidiano – ma la realtà di Lia, la protagonista della mia storia, stava giusto dall’altra parte rispetto a quella che aveva creato i libri che tenevo impilati sul comodino tra pezzette e baby monitor. La quotidianità di genitore, Lia la brama e la rincorre: il mio romanzo nasce da una maternità che non c’è, da un lutto reiterato che logora le stagioni passate nel limbo della ricerca di un figlio che pare destinato a essere solo un’idea, da una mestizia che si rinnova luna dopo luna. Le lune di Lia sono cento. E Cento lune narra di una giovane donna come tante ce ne sono, che si accontenta di un impiego anonimo benché rassicurante, in un contesto lavorativo duro e inflessibile come l’acciaio che viene lavorato al di là della parete dell'ufficio, una donna che dell’infertilità senza aggettivo porta le stimmate fisiche e soprattutto, in un contesto chiuso come quello del paese, sociali. Nella provincia veneta fatta di nebbia e piccole e medie imprese che ieri erano il fiore all’occhiello dell’industria locale e oggi sono travolte dalla crisi economica e dalle sue conseguenze sociali trasversali, la vita sospesa di Lia si intreccia con le vite degli altri, così diverse dalla sua eppure accomunate dal destino di una quotidianità che, in un senso e nell’altro, si fa sopravvivenza e autodeterminazione. Le cento lune di Lia sono state le mie cento lune. Tuttavia, non è mai stata mia intenzione fare del romanzo un diario del dolore per una vita che non si rigenera o una cronistoria di un’infertilità. Per quanto il tema dell’attesa di un figlio che tarda ad arrivare potesse essere centrale nella mia opera, mi interessava mettere su carta il mosaico vivo che compone la società che mi circonda. Perché Lia è Persona e Donna completa e ricca e presente nella sua realtà, anche grazie a quello che per lungo tempo è un ventre vuoto. Cento lune (Autodafé edizioni) è una storia che non mi appartiene più ma che è diventata collettiva nel momento in cui è stata pubblicata, all’inizio dell’estate, da Autodafé Edizioni, quando il cordone che a lei mi legava è stato tagliato e il travaglio intimo è stato esternato. Ed è una storia che spero possa essere il balsamo che lenisce gli interrogativi sospesi di coloro che perseverano nell’idea di un figlio. Perché a loro è dedicata.
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