Intervista a Giusi Pitari - Riprendere possesso della verità e degli spazi per la rinascita della comunità
Di Sabatino Guendalina Lunedi, 03/05/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2010
Giusi Pitari, 53 anni, docente di Biotecnologie e Prorettore delegato dell'Università dell'Aquila, fino al 6 aprile 2009 abitava con i suoi due figli nel quartiere San Francesco, in un bel condominio al quinto piano di un palazzo di sette piani. Subito dopo il sisma, per poter rimanere a L’Aquila, ha acquistato un camper dove ha vissuto per mesi. Nel camper, accanto alla sua città, ha scritto “Trentotto secondi”, (Ed. L’Una), in cui racconta la paura, la confusione e la tragedia di quella notte seminatrice di lutti. E descrive la città, così come l’ha percepita immediatamente dopo: “storta, disordinata, vuota”. Ora abita in un appartamento del progetto C.A.S.E. a Cese di Preturo. Impegnata nella doppia veste di docente e cittadina per la ricostruzione del capoluogo abruzzese, il giorno di S. Valentino ha sfondato le transenne ed è entrata nella “zona rossa”. È tra i promotori della “protesta delle carriole”. Desidera condividere una speranza con i concittadini: la rinascita di una comunità.
Dopo dieci mesi ha rivisto il centro storico.
Il 14 febbraio, giornata memorabile, in 300 abbiamo violato la cosiddetta zona rossa. Non pensavo che mi prendesse così male: avevo paura di sfondare le transenne e pensavo che fosse dovuta al fatto che c’era la Digos, che cercava di convincermi a prendere il megafono e consigliare ai miei concittadini di andare via. Poi è successo tutto in un attimo. Siamo entrati e ho sentito persone urlare, le ho viste piangere, correre, allargare le braccia: L’Aquila è nostra. Di questo avevo paura: di vivere quell’emozione forte in una piazza che non c’è più, dentro una città che non c’è più. Al suo posto palazzi puntellati, macerie, immondizia, segnali stradali divelti. Tutto fermo, tutto freddo. Montagne di macerie che coprono la vista dei vicoli adiacenti, mischiate con immondizia di ogni genere. Ho dovuto commettere un reato per vedere quello scempio.
Poi la decisione dei cittadini di rimuovere autonomamente le macerie, l’autoconvocazione settimanale e la partecipazione straordinaria del 28 febbraio. Seimila.
Abbiamo 160 ettari di storia sotto-sequestro. Quando il 14 febbraio abbiamo visto la nostra amata città abbandonata a se stessa, in uno stato pessimo, si è decisa la “protesta delle carriole” per porre all’attenzione dell’Italia intera questo problema. Le tonnellate di macerie, che nessuno ci dice con esattezza quante siano: 1milione e mezzo? 4 milioni? 5 milioni?, sono “rifiuti preziosi”. Abbiamo dimostrato che, selezionando le macerie, si possono recuperare tonnellate e tonnellate di materiale immediatamente riutilizzabile per la ricostruzione: coppi, mattoni cotti, pietre, pietre di pregio. Più altre tonnellate di materiale da riciclare: inerti, ferro, legno, plastica, rame, alluminio, vetro. Insomma ciò che rimane di indifferenziato è poca cosa.
Fin quando l'appuntamento nella "zona rossa"?
Fin quando non avremo restituito alla città la nostra Piazza Palazzo, la Piazza del Municipio. Solo 100 passi ci separano da lei. E poi ancora le altre Piazze, fino a 99.
Lei ha scritto una lettera al direttore del tg1.
Perché la più ascoltata rete pubblica nazionale non ha mai raccontato la verità.
Quali testate hanno informato correttamente sul dopo sisma?
Nessuna in realtà. Chi avremmo disturbato, il sonno di chi? Le risate di chi? Quello che sta capitando alla mia città è ingiusto. Umanamente ingiusto. Perdere il centro è perdere l'anima. Il TG3 regionale ha informato correttamente, a volte anche quello nazionale, SkyTG24, Rai News24 e le reti locali. La vera informazione gira sul web.
Qual è la situazione dell'Università?
La didattica è ripartita tutta, ben 9 Facoltà. Uno sforzo sovrumano. Siamo stati la prima istituzione a ripartire. Durante questi faticosi mesi ho lottato, assieme all’Ateneo tutto, per assicurare agli studenti una vita universitaria degna di questo nome, a cominciare dagli alloggi per tutti i numerosi fuori sede. “Gli studenti dovranno viaggiare”, hanno sentenziato i vertici della Protezione Civile, gettando nello sgomento non solo l’Istituzione Universitaria, ma anche gli studenti, che in massa hanno scelto nuovamente L’Aquila. Ventimila in totale, quasi la metà fuori sede, viaggiano tutti i giorni, a volte anche per ore. Ce l’abbiamo messa tutta, ma ora si ha la terribile sensazione che il fallimento del piano di interventi della Protezione Civile per le priorità post-catastrofe (lavoro, case, scuole) possa risucchiare il difficile lavoro svolto finora dall’Ateneo. La più importante realtà economico-culturale-storica rischia di regredire, e con essa tutta la città cui è indissolubilmente legata.
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