La prospettiva di genere è una battaglia culturale
- I risultati ottenuti e i nuovi orizzonti dell’Accordo di azione comune per la democrazia paritaria
Carlà Daniela Venerdi, 01/07/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2016
A 70 anni dal diritto di voto alle donne, nel ripercorrere le tappe storiche e le proiezioni della democrazia paritaria nel nostro paese, fa piacere constatare negli ultimi anni l’intensificarsi di decisivi e importanti risultati. E fa piacere, in particolare, a noi dell’Accordo di azione comune per la democrazia paritaria che, a partire dal 2010 - prima con l’elaborazione di Noi Rete Donne e il sostegno alla doppia preferenza di genere, poi con la promozione della rete di oltre 60 associazioni - ci siamo poste l’obiettivo esplicito di completare (o almeno di raggiungere importanti traguardi) il quadro normativo di riferimento per la democrazia paritaria. Eravamo consapevoli - e lo siamo - che ciò non esaurisce i nostri obiettivi, che resta da compiere una grande battaglia culturale per la trasformazione anche qualitativa della politica e delle relazioni tra istituzioni e cittadini, ma che i meccanismi per il riequilibrio tra i generi, a tutti i livelli istituzionali, costituiscono il presupposto anche per rivisitare oggi il funzionamento e le finalità della democrazia politica. Ci da soddisfazione aver contrastato la rassicurante e infondata credenza che tutto fosse compiuto e a posto, che non ci fossero ulteriori obiettivi sul piano normativo, che la democrazia paritaria si potesse conseguire in automatico. Ma quando? Invece questi sono stati finalmente gli anni di leggi importantissime per il riequilibrio di genere nelle giunte comunali e per i consigli, per le leggi elettorali nazionale ed europea, per i consigli regionali. Ci fa piacere pure aver contraddetto il caricaturale pregiudizio sulla perenne litigiosità personale e sulla frammentazione politica dell’universo femminile e femminista.
L’Accordo ha riunito, su obiettivi temporanei, mirati, non ideologici, oltre 60 associazioni, da quelle “storiche“ - che tanto hanno contribuito allo sviluppo legislativo e al miglioramento della condizione sociale delle donne - a quelle più recenti, significativa testimonianza e motore di passaggi decisivi della storia negli ultimi tempi.
L’Accordo ha scelto di operare per obiettivi definiti, con un’agenda obiettivamente praticabile. L’Accordo si è mosso, tenacemente, con un approccio inusuale, che potrebbe davvero rappresentare anche una bella pratica per tutti, per attrarre energie e forze verso obiettivi espliciti e condivisi. Si è scelto chiaramente di non schierarsi rispetto alle scelte sugli assetti, alle ingegnerie istituzionali, alle tecniche legislative, ponendo l’esclusiva condizione che qualunque opzione fosse declinata in base al genere. La scelta di non schierarsi, è ovvio, è stata dell’Accordo in quanto tale e non delle singole persone e delle associazioni, più o meno “partigiane” e impegnate anche sui profili della definizione delle specifiche opzioni. Si sono così garantiti l’impatto ampio e la trasversalità dell’Accordo, e si è agevolato il lavoro prezioso di collaborazione tra le parlamentari. Non siamo ancora al 50e50, e la crisi istituzionale e di tensione etica comunque non agevola acritici entusiasmi. Sarebbe però un errore non riconoscere i risultati sino a ora conseguiti, non valorizzarli, non monitorarne gli sviluppi. Non gioverebbe disconoscere gli apprezzabili esiti: l’italico e scoraggiato disincanto è l’altra faccia e presupposto del familismo amorale, alimentatori di scetticismo e di populismo. Così come pure sarebbe una sottovalutazione, ora, non dislocare energie e iniziative per risultati ulteriori e per obiettivi più articolati, sul piano anche e soprattutto dei cambiamenti qualitativi della nostra democrazia, per sinergie sistematiche tra centro e territorio, per nuovi e strutturati “ponti” tra individui e Stato, tra comunità e istituzioni, per fluidificare partecipazione e trasparenza, per riformare democraticamente la vita interna dei partiti politici.
Siamo partite nel 2010, realisticamente, dal riconoscimento dell’utilità della doppia preferenza di genere, consapevoli che quest’ultima non avrebbe di per sé innescato processi di trasformazione qualitativa, ma altrettanto convinte che la maggiore presenza femminile sia comunque nel medio periodo fattore trasgressivo e rivoluzionario, motore di trasformazione, a prescindere dai curricula, dalle storie personali, dalle alleanze di chi, contingentemente, usufruisce nell’immediato dei meccanismi introdotti dal legislatore.
La prospettiva di genere è dirompente e comunque dinamica, soprattutto in realtà, come quella italiana, ancora troppo bloccate. Ma è importante che l’ottica di genere si coaguli, strutturandosi non solo come fattore critico, ma anche come chiave di lettura e sguardo generale, collante ricostruttivo e aggregante nella evoluzione necessaria della democrazia politica verso nuovi ambiti e ricomposizioni. Il femminismo ha messo definitivamente in discussione la dicotomica e schematica contrapposizione verticale tra pubblico e privato. La dimensione ultima dell’immigrazione - nei termini quantitativi e qualitativi con i quali si presenta - ha fatto cadere irreversibilmente la separatezza dello Stato nazionale rispetto alle regolazioni Regionali e internazionali, e i muri costruiti nevroticamente rilevano la loro inutilità. L’ampliamento di ambiti della democrazia e della politica e il rinnovamento della governance si impongono, invece, e a tutti i livelli, invocando nuovi assetti, equilibri, gerarchie.
Nell’immediato nel nostro paese - e a prescindere anche qui da quale che sia l’esito del referendum sulle riforme istituzionali - occorrerà intanto trarre ogni conseguenza e applicare al meglio tutte le norme recentemente approvate, e operare anche per impegnare le energie nuove degli uomini e delle donne delle istituzioni - anche ora delle tante sindache - per sviluppare e per valutare anche le politiche pubbliche in un’ottica di genere, affinando e diffondendo bilanci di genere, utilizzando tutti gli strumenti, sistematizzando le statistiche di genere.
Si contribuirebbe nel concreto ad avvicinare così maggiormente le istituzioni alla concretezza della vita degli uomini e delle donne. E si contribuirebbe anche a una maggiore fiducia verso le istituzioni, alla loro autorevolezza e credibilità.
Le istituzioni del nostro paese devono risultare meno distanti, per divenire effettivo punto di riferimento e dimensione riconosciuta e praticata per il concreto esercizio di un’etica laica, accogliente, plurale, coerente, con le contemporanee e articolate identità - fragili ma esigenti - degli individui nella dimensione pubblica e in quella privata. Ciò dipende molto da chi abita le istituzioni, e anche dalla capacità di rappresentare effettivamente e visibilmente le diversità presenti nella popolazione, a partire dal genere. Non vi è dunque trionfalismo inutile nel valorizzare alcuni significati progressi che, sino a ora, l’Accordo ha contribuito a realizzare; piuttosto, vi è la volontà di prefigurare ulteriori e necessari passi in avanti nella governance nazionale e internazionale, sempre più interagenti, verso l’obiettivo della parità di genere e il 50e50, a tutti i livelli. Il nostro non è un impegno disgiunto da quello (fortemente avvertito come urgente da tanta parte della opinione pubblica) per la legalità e per il contrasto alla corruzione. Sarebbe infatti contraddittorio e poco plausibile e credibile dispiegare l’impegno istituzionale per l’imparzialità, la legalità, l’avversità alla corruzione, se le istituzioni non rimuovessero al proprio interno, nella composizione e nel quotidiano operare, ogni discriminazione. L’illegalità e la corruzione restituiscono continuamente ai cittadini l’immagine di istituzioni e amministrazioni parziali e discriminanti, che operano proprio con parzialità al proprio interno e generano conflitti, ingiustizie, disparità ulteriori. Come essere così miopi da non cogliere tutti i nessi? Come non sventagliare ulteriormente l’obiettivo di progressi per la democrazia paritaria, riproponendo forte l’intreccio con le pari opportunità tra i generi, e non solo? Il principio di non discriminazione deve agire in positivo, non solo contrastando le discriminazioni, ma anche imponendosi come fattore trainante di innovazione.
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