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La proposta più che la protesta

La proposta più che la protesta

Movimenti/8 - 'Nasciamo pari e cresciamo dispare' ha detto in TV Emma Bonino. Con lei professioniste e ricercatrici sono scese in campo. Intervista a Cristina Molinari

Bartolini Tiziana Lunedi, 28/02/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2011

Idee chiare e approccio pragmatico. Cristina Molinari, presidente di Pari o Dispare (sito www.pariodispare.org), è distante anni luce da una visione vittimistica delle donne e ha messo a disposizione ‘della causa’ relazioni e metodi che sono frutto di una vita di lavoro da manager. Il suo punto fermo, condiviso dalle tante e giovani donne che costituiscono la linfa vitale dell’associazione, è lavorare per obiettivi e nella situazione data: “quando le donne hanno potere - nelle aziende o in politica - lo devono usare per portare modifiche, anche se piccolissime. È nella loro responsabilità. Penso anche alla famiglia e ai cambiamenti culturali che al suo interno possono essere imposti: se non sono le madri ad insegnare ai figli a rifarsi il letto, chi altro potrà farlo? Il ‘ci vuole ben altro’ è un rifugio. Sì, d’accordo, servono leggi e servizi, ma cominciamo ad intervenire nel privato”. L’altro punto di forza dell’associazione, nata nel 2009, è Emma Bonino con tutto il portato della sua autorevolezza sul versante politico.



L’innalzamento dell’età pensionabile per le donne del pubblico impiego è stata una delle prime questioni che avete affrontato. In che modo?


Invece di protestare, come hanno fatto quasi tutte, abbiamo chiesto i conti scoprendo che il risparmio sarebbe stato di 3.750 milioni in 10 anni, di cui 1.450 dalla sola equiparazione nella P.A. Abbiamo chiesto che questa somma sia destinata a finanziare misure a favore della conciliazione tra vita familiare e attività lavorativa, quindi interventi per le donne e non genericamente per le famiglie. Sottolineo che tanti soldi così non li abbiamo mai visti per le donne. Ora vigileremo affinché queste richieste siano prese in considerazione e poi rispettate. Ecco, questo secondo noi è un modo concreto per sostenere le donne.



Vi muovete poi sul versante dell’immagine della donna e delle discriminazioni, come fanno anche altre associazioni. Cosa hanno di particolare le vostre proposte?

Ci occupiamo del mercato del lavoro perchè abbiamo esperienza nel campo e idee da proporre. Osserviamo che ci sono tanti discorsi sulla conciliazione, ma pochissimi sulle carriere e vediamo la questione degli stereotipi dell’immagine femminile come un fardello che rende difficilissimo per una donna affermarsi con le sue capacità. Per non parlare della raffigurazione delle donne manager, disegnate come nevrotiche, pessimi capi, infelici e incapaci di relazioni. Ci concentriamo anche sugli stereotipi perchè sono causa ed effetto della discriminazione. Abbiamo scelto di proporre un’Autority contro le discriminazioni di genere che vigili sul rispetto del principio di uguaglianza tra uomini e donne e rafforzi l’effettiva parità; deve essere un soggetto ‘terzo’ con autonomia e potere di sanzione. Sul versante della rappresentazione lesiva della donna, nell’intento di incidere sulla cultura, abbiamo proposto un ‘Manifesto per un utilizzo responsabile dell’immagine femminile’ che è stato già sottoscritto da importanti aziende multinazionali (Accenture, Kroll, Johnson&Johnson, Microsoft, L’Oreal, Unilever/Dove, Vodafone). Bisogna mettere fuori moda i comportamenti cretini, ecco puntiamo a fare in modo che pubblicizzare un termosifone con una donna nuda sia considerato ‘da cretini’.



In Italia sono state conquistate tante leggi a favore delle donne, ma o sono poco applicate o aggirate. Qual è la ragione secondo lei?


Mi faccia fare l’avvocato del diavolo: mica tanto disattese, una donna incinta è un problema per un’azienda, specie se piccola. Domandiamoci anche perchè la percentuale delle gravidanze a rischio delle donne dipendenti è molto più alta che tra le artigiane o le professioniste. Inoltre se il principio è ‘mantenere il posto di lavoro’ per un tempo spesso assai prolungato, anche in posizioni di alta responsabilità, il sistema reagisce semplicemente espellendo le donne. Un eccesso di protezionismo ha come effetto che non ti assumono...e non è un grande risultato. Credo che sarebbe più efficace una maggiore dinamicità del lavoro e un diverso welfare, quindi metterei i fondi più nella protezione della persona invece che nella protezione del ‘posto’. Il tema centrale, per quanto riguarda la maternità, è comunque la clamorosa carenza di servizi che rende la gestione dei figli estremamente gravosa.



La flessibilità nel lavoro c’è, ma si è tramutata in precarietà e stipendi bassissimi. Perchè?


Sono disegni perversi e vanno cambiati: chi non è garantito dovrebbe guadagnare di più. È inoltre importante differenziare i lavori a bassa e ad alta professionalità, e deve esserci proporzione tra salari e costi dei servizi, avendo attenzione per le differenti situazioni. L’esempio più classico di queste distorsioni è il quoziente familiare, il cui effetto - se mai dovessero essere trovati i fondi per applicarlo - sarebbe quello di incentivare le donne a basso reddito a stare casa, uscendo dal mondo del lavoro, in un ruolo di cura non rispettato né riconosciuto o retribuito, ruolo che non crea reddito né pensione. Oppure a lavorare in nero!



Lei per lavoro ha viaggiato molto e ha visto le donne nel mondo del lavoro in varie realtà. Al di là dei numeri, che certificano i ritardi italiani, che situazioni vivono, come sono viste?

Nelle aziende degli altri Paesi (parliamo dei grandi paesi europei o degli Stati Uniti) la condizione femminile non è che sia così facile, ma più facile che in Italia. La differenza più significativa è che lì essere maschilisti non è un vanto, in Italia ancora sì. Escludere le donne dalle carriere è diventato indifendibile, mentre in Italia persiste una cultura molto maschilista: la percentuale di uomini che pensa che una donna dovrebbe stare a casa è ancora elevatissima. Da noi, diversamente da quanto accade all’estero, ad un capo che non promuove le donne non vengono chieste spiegazioni oppure lui si può rifugiare negli stereotipi: ‘le donne fanno figli e quindi non si dedicano con abbastanza fervore alla carriera’. In Spagna la legge de Igualedad ha cambiato le cose, in Italia si parla molto ma si agisce poco. In compenso, però, neppure le donne sembrano avere molta voglia di cambiare. Tanto per cominciare il loro voto è indifferente e non risulta che puniscano chi agisce pro o contro di loro. Inoltre le donne richiedono alle donne in politica la perfezione, ma non lo fanno di tutta evidenza con gli uomini. Un altro aspetto molto italiano è la pressione sociale e psicologica che subiscono le donne che fanno carriere alta professionalità: quando hanno un figlio e si organizzano per gestirlo sono guardate come madri degeneri. D’altra parte le mamme italiane delegano poco e niente ai loro compagni.



Quali i prossimi obiettivi di Pari o Dispare?

Contando sulle nostre risorse e sulle tante competenze che abbiamo al nostro interno (avvocate, economiste, dirigenti d’azienda, esperte di comunicazione) consolideremo una proposta di legge sull’istituzione di un ‘Authority per l’Equiparazione di genere e vigileremo che i risultati conseguiti sulla protezione dei fondi derivati dalla equiparazione e sul nuovo contratto di servizio Rai siano confermati. Inoltre stiamo progettando eventi per promuovere il consenso intorno alle nostre proposte e cercheremo di utilizzare tutti i network possibili e immaginabili, interagiremo con le associazioni di tipo professionale e con quelle specializzate in diversi ambiti. Oltre a sostenere le questioni su cui ci siamo già impegnate puntiamo ad estenderci sul territorio nazionale e, in vista della prossima tornata elettorale, stimoleremo i candidati (almeno nelle città principali) ad esporsi sui problemi di genere.



(28 febbraio 2011)



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