Medio Oriente - Un anno dopo le rivolte, un Rapporto di Amnesty International fa il punto sui (pochi) diritti conquistati. E su quelli (tanti) ancora violati
Lunedi, 06/02/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2012
L’avevamo chiamata ‘Primavera araba’ assistendo alle rivolte che in Medio Oriente avevano acceso speranze di un futuro migliore per le persone e per la democrazia. A distanza di mesi la realtà racconta un’altra storia, ed è Amnesty International a farcela conoscere in tutta la sua crudezza attraverso un rapporto recentemente diffuso: “Un anno di rivolta. La situazione dei diritti umani in Medio Oriente e Africa del Nord”. Nel documento si sostiene che la caduta dei regimi di Tunisia, Egitto e Libia non sono stati cementati dalle riforme istituzionali che dovevano evitare il ripetersi di violazioni dei diritti umani che avvenivano in passato. Secondo le ricerche di Amnesty International, in Egitto, ad esempio, “il Consiglio supremo delle forze armate (Scaf) si è reso responsabile di una serie di violazioni dei diritti umani per certi versi persino peggiori di quelle dell’era di Mubarak. L’esercito e le forze di sicurezza hanno violentemente soppresso le proteste, causando almeno 84 morti negli ultimi tre mesi del 2011. Sono continuate le torture durante la detenzione e le corti marziali hanno processato più civili in 12 mesi che nei 30 anni precedenti. Alle donne sono stati inflitti particolari trattamenti umilianti, con l’obiettivo di farle desistere dalla protesta”.
In Tunisia la rivolta “ha prodotto significativi miglioramenti sul piano dei diritti umani, ma un anno dopo sono in molti a ritenere che il cambiamento stia procedendo con troppa lentezza”. Assai critica la situazione della Libia, dove “nonostante le richieste del Consiglio nazionale di transizione (Cnt) di evitare attacchi di rappresaglia, le gravi violazioni dei diritti umani commesse dalle forze ostili a Gheddafi sono state raramente oggetto di condanna”.
In Siria contro gli oppositori “l’esercito e i servizi segreti si sono resi responsabili di uccisioni e torture che costituiscono crimini contro l’umanità. Alla fine dell’anno il totale dei morti in carcere era salito a oltre 200, ben più di 40 volte la media annua per quel paese”. Nello Yemen, “lo stallo intorno alla presidenza del paese ha causato ulteriori sofferenze alla popolazione. Oltre 200 persone sono state uccise nelle proteste e altre centinaia sono morte negli scontri armati. La violenza ha reso sfollate decine di migliaia di persone, provocando una crisi umanitaria”.
Secondo Amnesty International “la risposta agli avvenimenti del 2011 da parte delle potenze internazionali e degli organismi regionali quali l’Unione africana, la Lega araba e l’Unione europea, è stata incoerente e non ha saputo cogliere la portata della sfida posta ai regimi repressivi della regione”. Philip Luther, direttore ad interim per il Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International ha dichiarato: “In tutta la regione i movimenti di protesta, guidati in molti casi dai giovani e che hanno visto le donne svolgere un ruolo centrale, hanno dimostrato di avere un’incredibile resistenza di fronte a una repressione a volte furibonda e di non essere disposti a farsi prendere in giro da riforme che modificherebbero poco o nulla il modo in cui sono stati trattati dalla polizia e dalle forze di sicurezza. Questi movimenti vogliono cambiamenti concreti nel modo in cui sono governati e pretendono che chi in passato ha commesso violazioni dei diritti umani sia chiamato a renderne conto”. Purtroppo, continua Luther, “il sostegno dei poteri mondiali alle popolazioni del Medio Oriente e dell’Africa del Nord è stato esemplarmente irregolare. Tuttavia, ciò che fa impressione è che, con poche eccezioni, il cambiamento è stato in larga parte ottenuto grazie agli sforzi delle persone che sono scese in strada e non all’influenza e al coinvolgimento delle potenze straniere. Le persone comuni di tutta la regione non ci stanno a vedere fermata la loro lotta per la dignità e la giustizia”. Ecco, dunque, dove riporre le speranze che il 2012 possa continuare il cammino per l’autodeterminazione di quelle donne e quegli uomini. E per democrazia in quella regione.
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