Login Registrati
La prima Università di Ossigeno

La prima Università di Ossigeno

Riccione / diritti e violenza - Dedicata a Hina Saalem la prima iniziativa di Ossigeno, l’associazione presieduta da Katia Bellillo che punta a ‘dare ossigeno’ alla cultura del rispetto e battaglia alla violenza di genere

Isabella Rossi Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2007

A Riccione, in concomitanza con la grande manifestazione nazionale tenutasi a Roma il 24 novembre e la giornata internazionale contro la violenza di genere del 25 novembre,
si sono svolti i tre giorni della “Prima Università di Ossigeno”, dedicata ad Hina Saalem. L’Associazione Ossigeno, presieduta da Katia Bellillo, ex ministro per le pari opportunità e attualmente deputata alla camera ha voluto esprimere in questo modo il suo “no alla violenza sulle donne” invitando, cioè, una molteplicità di donne e uomini, molti dei quali attivi in organizzazioni sindacali, enti e partiti, a riflettere sulla violenza di genere.
“Ossigeno - ha spiegato Katia in apertura dei lavori - è inspirata all’attività di Ingrid Betancourt, una donna che non ha esitato a scendere in campo per portare il suo contributo all’umanità. Anche se questo le è costato la perdita della libertà, purtroppo”. “Il nostro obbiettivo è quello di combattere le discriminazioni prima di tutto. In Italia non è stata attuata la direttiva europea che ha per oggetto proprio la discriminazione delle donne”. Non solo combattere le discriminazioni di ogni tipo, ma anche riaffermare i principi fondamentali dell’uguaglianza, della pluralità e della laicità sono i principali obbiettivi che l’Associazione Ossigeno si è data per controbattere le logiche di sopraffazione che si vanno riaffermando con forza nell’Italia del XXI secolo. Gli interventi previsti per la prima giornata si aprono con il contributo di Federica Pezzoli, responsabile delle tematiche Trans, Laicità e Multiculturalità per l’Arcigay di Roma. “Uno stato tanto più è laico tanto più è democratico”, afferma Federica. “Ed i confini tra laicità e laicismo è la chiesa a tracciarli.” E sulla attualità dell’emergenza democratica si incentra anche la relazione del professore Nicola Tranfaglia, membro della Commissione di Vigilanza Rai e deputato alla camera. “Sono più di dieci anni che viviamo un tempo particolarmente critico per la Repubblica, ma gli strumenti per superare le crisi sono già contenuti nella nostra Costituzione. In particolare l’art. 3 - ricorda lo storico - che sancisce la pari dignità e l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e stabilisce che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. “Tuttavia - riflette il professore - lo Stato italiano non è interamente laico”. Ed è questa una questione centrale dato che è proprio sulla laicità che si fonda uno stato democratico. Come sarebbe stato possibile il riconoscimento del diritto al voto alle donne italiane, 60 anni fa, se non in uno stato laico? Quello stesso che ora dovrà intraprendere azioni per responsabilizzare tutta la cittadinanza su questo fenomeno aberrante. Un vero e proprio femminicidio, come lo ha definito la stessa Barbara Pollastrini, il Ministro alle Pari Opportunità. E oltre gli omicidi ci sono le cifre dell’indagine Istat che segnala più di 7 milioni di donne vittime di violenza di genere, di cui 7 casi su 10 sono a carico di partner o ex partner. Elena Bistocchi, vicepresidente del Comitato Ossigeno di Perugia, rivela che il problema della violenza sulle donne sul territorio umbro è una necessità, alla quale il Comitato stesso intende fornire una risposta concreta. A questo scopo si attiveranno, dunque, un pool giuridico e un pool di psicologi. L’obbiettivo a lunga scadenza è quello di creare anche una residenza per poter ospitare donne che si trovano in serie difficoltà. Il comitato, intanto, non ha perso tempo e il 6 Dicembre, nella sala della Vaccara del Palazzo dei Priori di Perugia, presenterà il “Manifesto degli uomini contro la violenza di genere”. Un gesto importante che vuol allargare il dibattito sulla violenza di genere a tutta la cittadinanza di Perugia e dell’Umbria. Sempre all’insegna dell’impegno trasversale e pluralitario sono gli interventi della seconda giornata. Ada Donno individua le radici della misoginia dei paesi islamici nel patriarcalismo arcaico già preesistente nella religione greco romana e ritiene inappropriata la proposta di imporre il modello del femminismo occidentale nelle civiltà islamiche. Non è dello stesso avviso Anissa Smati, avvocatessa algerina, che offre un breve spaccato degli strumenti legislativi che nel suo paese hanno permesso la legittimazione giuridica
de “l’ inferiorità della donna”. Attraverso l’istituzione della poligamia maschile e di una serie di normative che non riconoscono alla donna degli stessi diritti dell’uomo in caso di divorzio e affidamento dei minori, infatti, la libertà delle donne in Algeria è ormai divenuta una semilibertà vigilata. La testimonianza di Schahrzad Sholeh, presidentessa dell’Associazione donne in Iran, lascia la sala gremita del convegno letteralmente senza parole. Per meglio descrivere la situazione Shahrzad sceglie di enunciare, senza ulteriori commenti, alcuni stralci di leggi, numeri e dati riguardanti “il trattamento delle donne in Iran”. “L’uguaglianza non è paritaria rispetto alla giustizia” sancisce la legge iraniana. Forza fisica e dimensioni della massa cerebrale testimonierebbero, secondo una norma legislativa, la “superiorità maschile”. Le conseguenze di questi articoli di legge sono scritte con il sangue delle donne iraniane che continuano a morire sotto un regime che ha portato la misoginia, comune a tutte le culture arcaico patriarcali, ad eccessi inammissibili. In Iran centinaia di donne di diverse età sono state lapidate a morte. Le bambine possono essere comprate e vendute. A nove anni, secondo la legge, le bambine raggiungono la pubertà. Centinaia di donne sono state giustiziate in Iran. I loro nomi sono tutti contenuti in un lunghissimo elenco. Prima di essere giustiziate le donne vengono stuprate e alla famiglia viene mandato un certificato di matrimonio ed una scatola di dolci. Il 50% delle donne tra i 15 e i 25 anni sono analfabete. Nella società iraniana è stato registrato un aumento dei suicidi delle donne di 4 volte superiore a quelle degli uomini. La prostituzione è spesso l’unico mezzo per sopravvivere. Nell’ ultima indagine effettuata l’età media delle prostitute era di 13 anni. L’aumento della prostituzione dall’introduzione del regime dittatoriale è stato, sembra, del 683%. Le bambine si vendono per un pasto. Raramente si sente parlare di questi fatti nel nostro paese, legato all’Iran da fortissimi interessi economici. Ma al convegno di Riccione un’intera sala, affollata quasi esclusivamente da donne ha espresso in un silenzio religioso i sentimenti che, forse, esprimerebbe un’ intera nazione se ne fosse messa al corrente. Lo sgomento era palpabile e a tratti la commozione ha preso il sopravvento. Anche in Italia, infatti, si conosce la bestialità della violenza di genere, la stessa che ha stroncato la vita ad una donna all’ottavo mese di gravidanza, Barbara Cicioni, alla quale sarà dedicata la prossima Università di Ossigeno. Ma non è solo questo. Il dolore provocato dalla violenza di genere è un sentire comune e trasversale che ha lasciato nei millenni profonde tracce nell’immaginario collettivo femminile. Ciononostante per molte donne la violenza di genere, anche in Italia, è e rimane un tabù. I dati Istat riferiscono, infatti, che nella maggioranza dei casi le violenze non vengono denunciate. E ancora più pesante è la condizione delle donne emigrate in Italia, come riferisce la deputata Mercedes Lourdes Frias, mettendo in chiaro la stretta relazione tra sessismo e razzismo. “Il meccanismo è sempre lo stesso”, riferisce Mercedes: “inferiorizzazione e strumentalizzazione al fine di giustificare altro”. E intanto le donne immigrate, più di tre milioni in Italia, si sostituiscono alle donne italiane nei lavori di cura, spesso prestando servizio a ritmi disumani, anche di 24 ore al giorno. “Per loro l’accesso ai diritti non è lo stesso”, denuncia Mercedes, “ci sono enormi disuguaglianze e uomini e donne immigrati subiscono spesso violenze di cui non si parla”. Come porre fine a queste dinamiche? Come riuscire a costruire reti di solidarietà internazionali? Di certo il lavoro da fare è ancora tanto in Italia. Si tratta, prima di tutto, di riuscire a fare informazione. Rendere, cioè, fruibili a tutti quei dati che riguardano la vita delle donne in Italia e all’estero e che sarebbero in grado di incidere in maniera significativa sull’opinione pubblica. Le donne di molti paesi, del resto, sono accomunate dal ruolo assegnato loro da quelle culture patriarcali che nella schiavizzazione femminile trovano, di fatto, un comune denominatore e un presupposto alle loro politiche. La priorità del no alla violenza di genere resta, pertanto, un punto di partenza di un cammino che richiede molteplici e complesse strategie da parte di una società civile che non ha sesso, ne’ bandiera politica, ma che riconosce l’urgenza del problema della violenza sulle donne in Italia, come in molti altri paesi del mondo. Per arginare questa triste tendenza Katia Bellillo propone la diffusione di una cultura del rispetto, da contrapporsi anche e soprattutto nelle scuole ai sempre più preoccupanti fenomeni di bullismo, e un patto di solidarietà internazionale come risposta immediata e concreta e come segno di un’ importante presa di coscienza. La firma dell’accordo internazionale con Sihem Habchi, la presidentessa dell’associazione francese “ni putes ni suomises” - il nome anche slogan di un movimento di donne partito dalle banlieu e diffusosi in tutta la Francia - è in questo senso il coronamento delle tre intense giornate di confronto, coordinate con professionalità e molta umanità da Silvana Bisogni, segretaria nazionale dell’Associazione Ossigeno. Bilancio positivo, dunque, per questa intelligente iniziativa che ha dato spazio ad una pluralità di prospettive e a voci autorevoli fra le quali ricordiamo Piera Levi Montalicini, Consigliera comunale a Torino, Elias Vacca, avvocato e deputato Pdci, Leonina Grossi Consigliera alle pari opportunità di Rimini, Antonio De Filippo presidente dell’associazione “La Maieutica” e la Consigliera di Parità di Modena Isa Ferraguti.


(4 dicembre 2007)

Lascia un Commento

©2019 - NoiDonne - Iscrizione ROC n.33421 del 23 /09/ 2019 - P.IVA 00878931005
Privacy Policy - Cookie Policy | Creazione Siti Internet WebDimension®