L'ascesa di Giorgia Meloni, il patriarcato di sinistra e la paura del confronto con l’ambizione politica e il potere
“Se volete bene ad una persona non votate qualcuno che possa farle del male”.
Quattordici parole di semplice buon senso che riassumono, in vista del 25 settembre 2022, il perché non votare a destra, condivise via social dall’attrice e regista Giorgia Mazzucato, classe 1990.
Dal basso dei suoi poco più che trent’anni Mazzucato spiega, con approccio comico asciutto, anche perché sia profondamente sbagliato pensare ‘almeno è una donna’, nel caso Fratelli d’Italia risulti il primo partito della coalizione a destra e quindi Giorgia Meloni diventi la prima premier nella triste storia dell’assenza femminile ai vertici della politica istituzionale. Una ipotesi per nulla remota, che incarna i peggiori incubi di quante, e quanti, si sono in questi decenni impegnati affinché fosse una donna (ma non qualunque donna) a rappresentare le più alte cariche istituzionali e di governo.
Una per tutte, come esempio, Emma Bonino alla Presidenza delle Repubblica.
Sottolineo istituzionali perché in Italia sono in maggioranza donne, di tutte le età, provenienze culturali e sociali quelle che si impegnano quotidianamente nella politica diffusa: nelle associazioni, nei gruppi, nei circoli, nei movimenti. Diffuse,operative e numerose salvo che ai vertici, dove le leadership sono maschili, le donne reggono la quotidianità della politica, ovvero la gestione, il mantenimento e la trasformazione della vita umana: della polis, appunto.
Tutto questo avviene in una cornice ancora solidamente patriarcale, in cui evidentemente sono molte anche le donne che fanno da portatrici d’acqua al sistema e alla cultura misogina. Nei decenni di analisi femminista nessuna studiosa si è mai tirata indietro nel considerare fondamentale l’apporto delle donne, consapevoli o inconsapevoli, al perdurare di un ruolo di subalternità femminile funzionale allo status quo: collaboratrici zelanti, anzi spesso più efficaci e accurate degli uomini nell’alimentare la misoginia, ancelle e vestali della tradizione,(nel mondo laico così come in quello religioso), delatrici e controllore dei comportamenti devianti delle ribelli e delle non allineate, imitatrici e supporters del sessismo (anche dentro agli ambienti considerati progressisti o addirittura ‘rivoluzionari’) fino a negare l’uso del femminile nella grammatica che invece lo prevede (sono uno scrittore, un architetto, un tecnico, un segretario, un direttore d’orchestra, non usate il femminile per definirmi), le donne nella storia remota e recente sono state protagoniste attive di drammatiche regressioni dei loro stessi diritti, diritti universalità ed essenziali nella convivenza tra i sessi e nella costruzione della cittadinanza.
La nostra fragile democrazia occidentale oggi si trova a fare i conti, dopo la tragedia della pandemia e la guerra vicina, con la miseria simbolica di una grande parte del mondo maschile che dentro e fuori dal palazzo esprime e persegue con diversa intensità e fortuna progetti tesi alla restrizione della libertà delle donne: l’anomalia italiana consiste nel fatto che, rispetto alle vicine Polonia e Ungheria, o ai più remoti Afghanistan e Stati Uniti, rischiamo seriamente di avere una donna di estrema destra leader del nuovo governo, come si temeva per la Francia lo scorso anno.
Ma tra Marine Le Pen e Giorgia Meloni c’è una differenza sostanziale: la prima resta la figlia di, (nonostante il tempestoso rapporto con il celebre padre) mentre Meloni è una tenace e temibile one woman in chief, senza eccessivi debiti verso uomini potenti.
Ha l’età giusta, il giusto aspetto, la giusta storia personale non allineata con quelle in voga tra le maggiori ‘influencers’ in questa fase storica dell’Italia per attrarre il voto anche di donne giovani, certamente non a sinistra e non nel femminismo, ma di una parte di elettorato femminile che in lei si può identificare.
Ne Il corpo delle donne Lorella Zanardo riflette sul successo di una delle prime icone del Grande Fratello, la cui presentazione era: “Piacerò agli uomini per le mie forme, ma alle donne piacerò perchè di me diranno: questa è una ragazza con le palle”.
A destra, e in generale nella vulgata che per avvalorare una donna ha bisogno di negarne l’autenticità,essere una con le palle è sinonimo di capacità, quindi di essere nel mondo (maschile) dei decisori. Sennonché, questa volta, il decisore sarebbe una donna.
Nel suo libro Io sono Giorgia- le mie radici, le mie idee Meloni, (fondatrice non a caso di un partito di fratelli e non sorelle) racconta se stessa così, con accenti di introspezione quasi auto coscienziali difficili da rintracciare in analoghi scritti maschili: “Ho sempre pensato che la sfida più profonda di chi sceglie la strada della politica sia riuscire a lasciare un segno del proprio passaggio senza rinunciare a rimanere fedele alla propria parte più pura, solitamente quella che ti ha spinto a impegnarti in prima persona. Al termine del percorso ognuno di noi dovrà rispondere a questa domanda implacabile: ‘Sono riuscito a cambiare qualcosa del sistema, oppure ho lasciato che fosse il sistema a cambiare me’? Voglio mettere nero su bianco chi sono oggi per rileggermi tra dieci, venti, magari trent’anni e non poter mentire a me stessa. Ma anche per consentire agli altri, a chi oggi crede in me e nelle cose che faccio e dico di avere un’arma da utilizzare se dovessi tradire le mie idee e i miei propositi. Insomma niente trucchi e niente inganni. In un mondo nel quale tutti puntano a diventare qualcuno la sfida che ho imposto alla mia vita è riuscire a rimanere me stessa, costi quel che costi. Per farlo ho bisogno di raccontarmi, e di raccontarvi, chi sono”.
Rigorosissima difensora della famiglia tradizionale eppure non sposata, convivente con un giornalista non di destra e con una figlia fuori dal matrimonio, contraria a qualunque forma di legame che non sia eterosessuale, Giorgia Meloni ha di recente dichiarato di non voler toccare la legge 194 sull’interruzione della gravidanza (diversamente dai maggiorenti della Lega), nonostante l’allineamento con le posizioni oltranziste di Ungheria e Polonia.
Ha pubblicamente rinnegato in diverse lingue, parlando quindi al resto dell’Europa come una leader in pectore, i suoi legami con il pensiero e la storia fascista pur restando circondata, nelle amministrazioni comunali, da uomini e qualche donna che si dichiarano apertamente fascisti, e mai cancellando dai simboli elettorali la fiamma tricolore cara al fascista Almirante; non sono un mistero rapporti stretti con esponenti dell’estrema destra nazionale, oltre ai legami oltralpe con Orban e il movimento Vox.
Per questo, quando la stampa progressista ha iniziato a fare la lista delle sue pericolosissime relazioni politiche passate e presenti lei subito ha fatto sapere di aver raccomandato ai suoi di “verificare che nessuno dei nostri rappresentanti offra spunti utili con scivoloni, frasi e comportamenti non consoni (...) Non possiamo consentire alcuna leggerezza su razzismo, violenza, discriminazione o fanatismo”.
Se arriverà il tragico momento nel quale Giorgia Meloni diverrà la prima premier al governo di quello che Piero Angela ha definito, poco prima di morire, il nostro difficile Paese, ci sarà chi parlerà di raggiunta parità tra uomini e donne.
Sperando che questa ipotesi non si verifichi è imprescindibile che a sinistra e nei movimenti si affrontino in modo laico, e in fretta, due questioni: la prima è perché il patriarcato di sinistra sia stato così tenace (parlo anche di quello introiettato dalle donne) nel bloccare le ‘compagne’ al di sotto del tetto di cristallo.
La seconda è perché le ‘compagne’ temano l’ambizione politica, la propria e quella delle altre, e perché, nonostante eccellenti analisi, studi e ricerche femministe sul tema del potere e dell’autorevolezza sia stato lo stesso femminismo nostrano, fin qui, ad evitare di confrontarsi con la politica istituzionale, lasciando di fatto alle donne di destra voce e volti da proporre al vertice.
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