“Il sesso è la grande offa che ci tiene al nostro posto” scriveva Dana Densmore. “La famosa rivoluzione sessuale di cui si blatera tanto – incalzava Mary Daly – è una trappola, è una falsa liberazione inflitta alle donne che sono semplicemente diventate più “libere” di essere quello che sono sempre state: oggetti sessuali per i signori maschi”.
E a quanto pare lo ha capito anche qualche giovanissima. Su una rubrica di lettere in redazione, infatti, leggiamo: “Sono un’adolescente stufa della prepotenza dei mass media e stupita dall’incapacità dell’uomo di trovare qualcos’altro per intrattenere i telespettatori che non siano le solite graziose sciacquette in costumi succinti e pressoché inesistenti…”.
Una volta si faceva pressione sulle donne affinché non si rendessero disponibili nemmeno al futuro sposo. Adesso si fa pressione affinché si rendano disponibili a tutti. E i mezzi per raggiungere lo scopo sono sempre più sofisticati e fraudolenti, per esempio, la prostituzione viene definita un mestiere come un altro, la pornografia la spacciano come arte, e sia le prostitute che le pornodive vengono invitate ai talk show gomito a gomito con intellettuali, scrittrici, opinioniste così che possano sembrare “alla pari”.
Ma dove casca l’asino? Casca laddove le prostitute continuano a chiamarle troie, zoccole e puttane. In compenso loro, le prostitute e le pornodive sedicenti “di alto bordo”, si vantano di guadagnare più delle amiche che si spremono il cervello, nella pia speranza che l’invidia colmi il gap della rispettabilità.
Finché ormai prostituzione e pornografia sono in stato di avanzata normalizzazione, soprattutto presso alcune giovanissime le quali si chiedono perché mai non intraprendere una bella carriera di pornodiva visto che ormai è diventato un mestiere rispettabile. Non immaginano, le pischelle, che per quanto alta sarà la tariffa della prestazione, resteranno ugualmente troie, zoccole e puttane. O baby-squillo come scrivono certi giornali che, invece, gli sporchi abusanti delle minorenni li chiamano elegantemente “clienti”.
Stando così le cose, assistiamo ad un progressivo, inarrestabile degrado della sessualità: sempre più separata dalla relazione umana, sempre più brutale e consumistica, che prepara e legittima lo stupro.
“Il crollo del tabù della sessualità – scrive Galimberti – lungi dall’essere un’emancipazione progressista, è libertà della pubblicità, quindi un fatto esclusivamente commerciale. Per poter agganciare il consumatore – continua Galimberti – il mercato deve colpire, ma più colpisce e più si abbassa la capacità di reazione, più si abbassa la capacità di reazione e più forte il mercato deve colpire”. Cioè con sempre maggiore spudoratezza, indecenza, truculenza, in una spirale di cui non si vede la fine.
A New York, nella leggendaria Quinta Strada, c’è un negozio che sembra un sexy shop, invece è un museo del sesso con tanto di comitato scientifico e accademici illustri che, attraverso decalcomanie, cartoon e fotogrammi, offre ai visitatori due secoli di truce pornografia, orge, prostituzione, sadomasochismo (incluso quello delle SS) e quant’altro si possa immaginare e non immaginare su un cosiddetto erotismo praticato all’insegna della disponibilità infinita, della più totale promiscuità e del più assoluto anonimato. Alla fine arriva il conto sotto forma di aids, di prostitute torturate e uccise, di sparizioni e di suicidi. Un conto altissimo che tuttavia non scoraggia nessuno. Perché l’argomento non fa più notizia.
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