Intervista a Rita Bernardini - Abbiamo raccolto le opinioni della segretaria nazionale del Partito Radicale
Daniela Ricci Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2006
Il V Congresso dei Radicali italiani ha espresso un vertice tutto al femminile. Com’è che il suo partito elegge tante donne?
Anche il partito Radicale non è esente dal deficit di partecipazione femminile. Le donne tra gli iscritti sono solo il 21%. Di fronte ad un problema che è di tutta la politica italiana, i Radicali si sono dati delle regole che hanno consentito alle donne di avere più spazio. Già nel 1976, quando per la prima volta il Partito Radicale si presentò alle elezioni, le donne ebbero il 50% delle candidature e i primi posti in lista. Il contributo delle donne radicali sul fronte dell’aborto fu fondamentale e spianò le resistenze di alcuni all’interno del partito: sull’onda della vittoria sul divorzio Emma Bonino si era fatta arrestare e con lei Adele Faccio. Grandi alleati del protagonismo femminile sono stati uomini illuminati e capaci, come Marco Pannella e Gianfranco Spadaccia. Il V Congresso, sebbene anche Emma Bonino abbia rilevato le difficoltà di un confronto per certi versi drammatico, ha segnato una nuova affermazione che ha reso possibile l’elezione di tre donne. Dal ragionamento collettivo sono emerse la mia candidatura a Segretaria di partito, espressa in precedenza, e quelle di Elisabetta Zamparutti e di Maria Antonietta Coscioni, ora Tesoriere e Presidente.
Come dobbiamo chiamarla: Segretaria o Segretario?
E’ stato un dilemma! Alla fine ho scelto il termine Segretaria. Anche se la parola non mi piace molto perché vorrei che la politica fosse un luogo più aperto, privo di “segreti”.
Rita Bernardini è il terzo segretario donna della storia del Partito radicale dopo Adelaide Aglietta ed Emma Bonino, senza scordare la figura di Adele Faccio. Lei si è ispirata a queste figure?
Queste figure hanno avuto tutte un’importanza notevole nella mia formazione. Ho vissuto intensamente la vita del Partito Radicale fin dalla vittoria del divorzio, nel 1974 e in quella fase ho capito qual’era il valore della disobbedienza civile fatta alla maniera dei radicali, persone disposte ad andare in galera per affermare un diritto delle donne, il diritto alla libera maternità e quindi anche all’aborto. Mi emozionò Adele Faccio al Teatro Adriano di Roma, nel gennaio 1975: una donna non più giovanissima che rientrava clandestinamente in Italia per farsi arrestare di fronte a migliaia di persone. Di Adelaide Aglietta ricordo il coraggio di accettare, nel “fuggi fuggi” generale, di far parte della giuria popolare nel procedimento contro le Brigate Rosse: fu proprio quella sua fiducia radicale nello stato di diritto a consentire la celebrazione di quel processo. Con Emma abbiamo condiviso molte battaglie; trascorsi con lei, all’epoca Commissaria Europea, non so quante notti in sacco a pelo di fronte a Palazzo Chigi per la vita di Radio Radicale, per il diritto all’informazione dei cittadini.
E’ stata definita “l’angelo del focolare del partito”. Una provocazione o un attacco alla sua leadership?
Mi piace definirmi segretaria-operaia. Credo moltissimo nel lavoro costante, il lavoro fatto ora dopo ora assieme ai miei compagni e alle mie compagne. Non mi ritengo un’intellettuale, ma so ascoltare e risolvere i problemi, questa mi pare una buona garanzia. Non mi sottraggo al ruolo di protagonista voglio però condividerlo con tutti gli altri.
Cosa pensa dell’assenza delle donne dalla scena politica?
Le donne vedono la politica come una realtà molto distante. Nelle ultime elezioni abbiamo proposto a Donatella Poletti che cura una serie di trasmissioni su Radio Radicale e collabora con l’Associazione Luca Coscioni, di candidarsi per essere eletta. Era dubbiosa perché aveva appena avuto una bambina, Alice: «Ma come faccio – mi rispose - sto allattando! Non posso assumere impegni istituzionali, di politica, così importanti». Ci ha pensato un po’, poi ha accettato. In questi primi cinque mesi, Donatella ha presentato in Parlamento interventi importanti e qualificanti per le donne e, grazie al suo contributo, per la prima volta verrà aperto un asilo nido all’interno della Camera. E’ un esempio che mi auguro incoraggi altre donne a farsi avanti in tutti i campi della vita pubblica: nella politica, nelle istituzioni, nelle organizzazioni, nelle professioni.
E delle quote rosa?
Sarebbe molto più forte una presa di coscienza, una discesa in campo delle donne. Se questo non avverrà spontaneamente, le quote rosa diverranno inevitabili, ma non sarà una conquista di cui vantarsi.
Quali rapporti ha con le altre donne in politica?
Molto buoni con Katia Zanotti e Barbara Pollastrini, che ho avuto occasione di conoscere e apprezzare durante il referendum sulla fecondazione assistita e con Stefania Prestigiacomo che mi pare determinata a invogliare altre donne, soprattutto quelle vicine al centro-destra, a farsi avanti.
Che cos’è per lei la politica?
La passione civile. La politica consente di provare a risolvere, spesso mi è capitato, i problemi umani. Negli anni ’70, insieme al mio compagno che era disabile, ci siamo battuti con la disobbedienza civile contro le barriere architettoniche, causa di segregazione e di ostacolo a una vita civile. A distanza di anni vedo che questa sensibilità si è affermata ed è entrata nel sentire comune. Questo è molto gratificante. Oggi c’è la drammatica vicenda di Piero Welby, un uomo costretto a vivere attaccato a delle macchine, in continuo stato di sofferenza; Piero chiede alla politica di poter morire dolcemente, ma la politica è cieca e sorda. Sapremo risvegliarla anche a costo, ancora una volta, di pagare con la galera.
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